Exit – Italia è un’associazione con sede a Torino che ha fatto della promozione del diritto all’eutanasia la propria missione. Fondata nel 1996 come centro di studi e documentazione sulla morte assistita, l’anno successivo fu invitata in Lussemburgo a prendere parte alla conferenza della “federazione europea delle società per il diritto a morire con dignità”, e ne divenne subito membro. Nel 2007 Exit ha stipulato un accordo con due associazioni svizzere, “Ex International” a Berna e “Dignitas” a Zurigo, entrambe impegnate nell’accompagnamento alla morte volontaria assistita per chi ne fa richiesta. Negli ultimi anni le collaborazioni sono cresciute, includendo “Lifecircle – Eternal Spirit” di Basilea e “Liberty Life”, la prima struttura situata nel Canton Ticino, vicinissima all’Italia e dotata di personale che parla la nostra lingua.
Lo statuto afferma che l’associazione è ispirata da principi di solidarietà, assistenza sociale, tutela dei diritti civili e diritto a una morte dignitosa; che promuove una cultura di dignità della morte e attività di studio e documentazione sull’argomento. Emilio Coveri, presidente di Exit, parla di una lotta per la garanzia del diritto a decidere la fine della propria esistenza, che tutti vorremmo priva di inutili sofferenze.
In Italia, si sa, la “dolce morte” non è consentita, quindi Exit si occupa di richiedere, per chi ne fa domanda, la morte volontaria assistita in Svizzera. Il requisito essenziale per ottenere l’eutanasia è l’esistenza di una patologia grave, irreversibile, senza possibilità di guarigione e, soprattutto, clinicamente accertata.
Il testamento biologico del paziente, contenente le volontà sulla fine della propria esistenza, viene inviato alle strutture svizzere insieme alle cartelle cliniche. Una commissione medica valuta le condizioni del malato che, in caso di accettazione (in gergo si parla di “semaforo verde”), potrà scegliere la data della dipartita.
I medici svizzeri sono tenuti per legge a cercare di far desistere il paziente fino all’ultimo, ma non più del 40% ci ripensa. La morte avviene tramite un farmaco che, ingerito, provoca l’arresto cardiaco nel giro di tre minuti.
Il costo dell’operazione si aggira intorno agli 8.000 euro e comprende, tra le altre cose, apertura della pratica, valutazione medica, farmaci, permanenza in clinica, trasporto della salma e cremazione.
Coveri ha rivelato ad “Adnkronos Salute” che ogni settimana circa 70 italiani si rivolgono all’associazione. Si tratta perlopiù di uomini e donne sui 70 anni, malati di tumore o sclerosi multipla. Molti desiderano solo informarsi, per avere almeno il conforto della possibilità di non soffrire troppo.
Exit è recentemente finita nell’occhio del ciclone in seguito alla scomparsa di un pensionato di Pontedera che se ne è servito per richiedere la “dolce morte” in Svizzera. L’uomo era affetto da una grave patologia, ma non si era confidato con la famiglia e aveva preferito sparire, lasciando inizialmente pensare ai parenti che si fosse fatto togliere la vita a causa di un disagio psicologico.
Nonostante se ne parli da decenni, la morte assistita rimarrà sempre un argomento controverso che, forse, nemmeno una stessa persona potrebbe interpretare sempre in modo univoco. Il diritto ad una morte dignitosa e senza sofferenze dovrebbe spettare a chiunque versi in condizioni di salute gravi e inconvertibili anche se, inevitabilmente, la fine di una vita ha conseguenze su chi resta. Una vera e profonda comprensione di certe, delicatissime condizioni, è impossibile se non sono vissute in prima persona.
Annalisa Sichi