Al processo di Tokyo, chiamato anche la Norimberga giapponese, il Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente emette le condanne definitive e si scioglie.
Processo di Tokyo è il nome che viene utilizzato in riferimento ai procedimenti del Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente (in inglese International Military Tribunal for the Far East, IMTFE), istituito per giudicare le più importanti personalità dell’Impero giapponese accusate di aver commesso, prima e durante la Seconda guerra mondiale, tre tipologie di crimini: crimini contro la pace (Classe A), crimini di guerra (Classe B) e crimini contro l’umanità (Classe C). La prima accusa si riferisce alle cospirazioni politiche messe in atto dal Giappone nel periodo pre-bellico allo scopo di causare la Seconda guerra sino-giapponese e la guerra del Pacifico; le ultime due riguardano invece i crimini e le atrocità perpetrati durante la guerra mondiale, come il massacro di Nanchino.
Le basi legali del processo furono stabilite dalla Carta del tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente (CIMTFE) approvata il 19 gennaio 1946 dal comandante supremo delle forze alleate nel Pacifico, il generale Douglas MacArthur, ed emendata per suo ordine il 25 aprile. Il documento indica le leggi e stabilisce le procedure attraverso le quali il processo dovrà essere condotto, incluse le tipologie di crimine. La carta specifica: “Né la posizione ufficiale d’un accusato, né il fatto che un accusato abbia agito conformemente agli ordini del suo governo o di un superiore saranno sufficienti, per sé stessi, a sollevare dalla propria responsabilità detto accusato in ogni crimine di cui è imputato, ma queste circostanze possono essere considerate come attenuanti nel verdetto, se il Tribunale deciderà che la giustizia lo esiga“.
Il tribunale si riunì per la prima volta il 3 maggio 1946 e si sciolse il 12 novembre 1948. Le sedute del processo ebbero luogo nel quartiere Ichigaya di Tokyo. La corte fu presieduta da un gruppo di undici giudici scelti dal generale MacArthur da un elenco di nomi presentato da ognuno dei paesi firmatari dell’atto di capitolazione del Giappone, cioè Australia, Canada, Repubblica di Cina, Francia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Unione Sovietica e Stati Uniti. L’India britannica e le Filippine furono sollecitate a fornire dei giudici. La pubblica accusa rispettava lo stesso criterio di composizione.
Fra tutti gli accusati solo Hideki Tojo si assunse la piena responsabilità dei suoi ordini e dei suoi atti. Tutti gli altri dichiararono di aver eseguito degli ordini e di non avere, per questo, nulla da rimproverarsi. Tutti i venticinque imputati si dichiararono “non colpevoli“. Le condanne a morte furono eseguite mediante impiccagione nella prigione di Sugamo a Ikebukuro il 23 dicembre 1948. Due accusati furono condannati a pene detentive minori: Shigenori Togo fu condannato a 20 anni di carcere e morì in prigione nel 1949, Mamoru Shigemitsu fu condannato a 7 anni di carcere, gli fu concessa la libertà vigilata nel 1950 e divenne ancora Ministro degli Esteri nel gabinetto del primo ministro Ichirō Hatoyama. Secondo dati giapponesi, dei 5.700 cittadini che furono accusati per crimini di guerra di Classe B e Classe C, 984 furono inizialmente condannati a morte, 475 sono stati condannati all’ergastolo, 2.944 ricevettero periodi di detenzione limitati, 1.018 furono assolti e 279 non furono mai processati
Il Processo di Tokyo condivise molte delle critiche rivolte contro il Processo di Norimberga, inclusa quella riguardo alla natura non precostituita (ex post facto) della corte. I critici si dividono tra quelli che sostengono la tesi della giustizia dei vincitori sui vinti e quelli che vedono nel processo essenzialmente una procedura legale per esonerare la famiglia imperiale dalle responsabilità criminali. Alcuni ritengono inoltre che il tribunale giudicò solo rispetto al punto di vista statunitense perché, a differenza di quello di Norimberga, l’accusa era composta da una sola squadra di procuratori, guidata dall’americano Joseph B. Keenan il cui ruolo fu predominante. Tra le molte critiche alla credibilità del processo quella del giudice indiano Radhabinod Pal il quale sostenne che l’esclusione del colonialismo occidentale e dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki dalla lista dei crimini, e la sola presenza di giudici delle nazioni vincitrici, rappresentavano il “fallimento del processo nell’offrire nient’altro che l’opportunità per i vincitori di vendicarsi dei vinti.”
Molti hanno criticato la decisione statunitense di escludere in ogni modo l’imperatore e la sua famiglia dal processo. Prima che il processo per crimini di guerra fosse indetto infatti, il Comando supremo delle forze alleate e i funzionari imperiali lavorarono in segreto, non solo per prevenire che la famiglia imperiale venisse incriminata, ma anche affinché al processo non ci fossero testimonianze che potessero coinvolgerla. Alti funzionari giapponesi collaborarono con gli alleati nel compilare le liste dei possibili criminali di guerra, mentre gli imputati per crimini di Classe A giurarono solennemente di proteggere il loro sovrano contro ogni possibile tentativo di coinvolgimento nelle responsabilità belliche. Lo storico statunitense Herbert Bix ha scritto che il brigadier generale Bonner Fellers fu inviato in Giappone per “lavorare allo scopo di proteggere Hirohito dal ruolo che ricoprì durante la guerra” e “permise ai maggiori indiziati di coordinare le loro testimonianze affinché l’imperatore non fosse incriminato“.
Immagine d’apertura: La sede del tribunale, l’ex quartier generale dell’Esercito imperiale giapponese a Ichigaya, Tokyo.
Bibliografia e fonti varie
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