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Fondazione Elpis presenta

un weekend di performance e proiezioni aperte al pubblico

nell’ambito della mostra HAZE. Contemporary Art From South Asia

Sabato 25 e domenica 26 febbraio 2023 Fondazione Elpis presenta un weekend di performance e proiezioni aperte al pubblico nell’ambito della mostra HAZE. Contemporary Art From South Asia, a cura di HH Art Spaces e Mario D’Souza, in corso fino al 5 marzo 2023 negli spazi milanesi di via Orti 25. Il programma prevede la performance Let Me Get You a Nice Cup of Tea (2019-20) dell’artista bengalese Yasmin Jahan Nupur e la proiezione di tre film e cortometraggi realizzati da alcuni degli artisti in mostra: Bhairav (2017, 59’), Fjaka (2014, 13’) e Man Eats Rock (2011, 22’). Le attività sono gratuite fino a esaurimento posti, è necessaria la prenotazione tramite il sito www.fondazioneelpis.org.  L’iniziativa rappresenta un’occasione per approfondire alcuni temi chiave di un progetto espositivo, HAZE, che esplora la ricchezza e l’eterogeneità dell’arte contemporanea in Asia meridionale attraverso le pratiche di 21 artisti attivi tra India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, mettendo a fuoco, con diversi linguaggi espressivi, il ruolo delle arti visive nella narrazione di una crisi globale che investe diversi livelli: ecologico, politico e socio-culturale.   Sabato 25, dalle 11:00 alle 15:00, e domenica 26 febbraio, dalle 11:00 alle 19:00, è possibile assistere e partecipare in prima persona alla performance Let Me Get You a Nice Cup of Tea (2019-20) dell’artista bengalese Yasmin Jahan Nupur, durante la quale la performer intrattiene conversazioni individuali con il pubblico offrendo una tazza di tè che ha coltivato e preparato lei stessa. Ogni conversazione ha una durata di circa 20 minuti, a ripetizione nel corso del weekend. L’opera invita a riflettere sull’impatto dell’imperialismo e del colonialismo britannico sulla regione dell’Asia Meridionale. Il pubblico è accolto in uno spazio domestico caratterizzato da uno stile di epoca coloniale che evoca le storie di violenza legate a questa area geografica. La performance si sviluppa attorno a un tavolo: la tovaglia è ricamata con una mappa dell’Impero britannico del 1886, mentre i tovaglioli sono cuciti con fiori di oppio, una coltura che i contadini erano costretti a coltivare dalla Compagnia britannica delle Indie orientali, spesso senza alcun profitto. L’artista stessa indossa un costume che combina elementi tradizionali del Bangladesh e britannici. Per Nupur, questo ricorda che l’usanza europea di aggiungere latte e zucchero è un’adulterazione delle abitudini asiatiche di bere il tè. Let Me Get You a Nice Cup of Tea è un’installazione e una performance sviluppata durante una residenza dell’artista presso il Peabody Essex Museum in associazione con il Dhaka Art Summit ed è stata acquisita per la collezione della Tate Modern nel 2020 grazie ai finanziamenti del South Asia Acquisitions Committee della Tate Modern. Still da “Bhairav”, 2017, di Munir Kabani e Nikhil Chopra Sabato 25 febbraio dalle 16.00 alle 19.00 si potrà assistere alla proiezione di film e cortometraggi che presentano la produzione cinematografica di alcuni degli artisti che partecipano alla mostra HAZE. Introduce l’artista Nikhil Chopra, co-fondatore di HH Art Spaces.  Apre la programmazione il film Bhairav (2017, 59’) di Munir Kabani e Nikhil Chopra, con la partecipazione di Sajan ManiMadhavi Gore e il musicista Ustad Bahauddin Dagar.  Bhairav, da cui il film prende il titolo, è considerato uno dei raag (struttura melodica per l’improvvisazione) più antichi della musica classica indostana, tipicamente suonato nelle prime ore dell’alba. In questo caso, il raag stabilisce il tono dell’opera, mentre il film rivela l’architettura e il paesaggio di Goa attraverso le epoche precoloniale, coloniale e postcoloniale. L’opera esplora il rapporto dell’uomo con la terra, la spiritualità e lo scorrere del tempo, evidenziando anche i temi dell’emarginazione.  Seguirà il cortometraggio Fjaka (2014, 13’) di Nikhil ChopraJana Prepeluh Munir Kabani. Il titolo è preso in prestito da un’espressione balcanica che suggerisce una condizione di assenza di aspirazioni. Con Fjaka si intende infatti uno stato esaltato della mente e del corpo a cui l’umanità aspira. Mentre in India, e altrove, il fjaka si ottiene con una meditazione di lunga durata, in Dalmazia è considerata un dono di Dio. Il film si sviluppa attorno a un’isola, studiata come forma scultorea. Uno scoglio compare in mezzo all’oceano: è allo stesso tempo un rifugio e una trappola senza via di fuga. Anche se apparentemente disabitato, sullo scoglio c’è vita: fra gli alberi emergono otto personaggi, ognuno di loro impegnato in azioni solitarie. Tutto questo è descritto attraverso il lento orbitare della macchina da presa attorno all’isola, alludendo al sistema planetario e sottolineando il costante cambiamento nella ripetizione. La luce del sole e le calme acque blu del mare fanno da sfondo, contrapponendosi alla malinconia che ogni personaggio esprime.  Infine, Man Eats Rock (2011, 22’) di Nikhil Chopra e Munir Kabani. Il film è ambientato in tre mondi, sviluppati in tre vignette: il primo ci riporta alla preistoria, il secondo al romanticismo decadente del XIX secolo e il terzo a un mondo urbano industriale contemporaneo. Un primate nudo che esce da una grotta, scrutando una pozza d’acqua, si contrappone all’immagine di un gentiluomo elegante e vestito di tutto punto, con cappello a cilindro e mantello, che cerca di accendere un fuoco in cima a un paesaggio montuoso. Un gruppo di uomini e donne con abiti ricercati si incammina per fare un picnic. E poi? Un epilogo? Qualcosa di molto drammatico è sul punto di accadere. Una donna balla sulle note del dhrupad.  Il film tenta di mettere in discussione il nostro posto su questo pianeta, proponendo una riflessione su quanto veniamo assorbiti dal nostro bisogno e desiderio di consumare.  
Installation view_ Ph. Melania Dalle Grave, DSL StudioInstallation view_ Ph. Melania Dalle Grave, DSL Studio
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