Henry Moore torna a Firenze. A quasi cinquant’anni dalla memorabile mostra al Forte di Belvedere che vide protagonista il maestro della scultura inglese, il Museo Novecento decide di rendergli omaggio con Henry Moore. Il disegno dello scultore. La mostra resterà aperta fino al 18 luglio, curata da Sebastiano Barassi, head of Henry Moore collections and exhibitions, e Sergio Risaliti, direttore artistico del museo fiorentino. Organizzata in collaborazione con la Henry Moore Foundation, propone un’ampia selezione di disegni, circa settanta, insieme a grafiche e sculture.
Henry Moore. Il disegno dello scultore porta il Museo Novecento a posizionarsi a livello internazionale, con una mostra cge ha richiesto due anni di preparazione e di collaborazione tra il direttore dell’istituzione fiorentina e la direzione scientifica della Fondazione Moore. Le forme naturali – rocce, ciottoli, radici e tronchi – gli animali, ma anche i teschi e poi la relazione tra il creatore e la materia, esemplificata anche dai disegni che ritraggono le mani dell’artista o l’artista al lavoro nel paesaggio, divengono il fulcro della mostra. Traendo spunto da una rilettura di alcuni temi centrali nella produzione di Moore, l’esposizione intende proporre un approfondimento sul valore del disegno nella sua pratica e sulla sua relazione con la scultura.
Henry Moore. Il Disegno dello scultore
Henry Moore. Il Disegno dello scultore «vuole essere un dono alla città che ha sofferto una crisi pandemica drammatica e che sta uscendo a fatica ma con coraggio e orgoglio da questa situazione così difficile – dice Sergio Risaliti – La presenza in questo momento storico delle opere di Henry Moore a Firenze è anche un richiamo alla forza dell’arte nelle massime difficoltà umane e sociali. Moore è stato un faro artistico nei giorni più bui della storia europea e le sue opere ne sono una testimonianza. Abbiamo caparbiamente creduto in questo progetto, compiendo ogni sforzo per portare a casa il risultato quando le avversità si facevano insormontabili anche dal punto di vista delle risorse. Grazie alla generosità degli sponsor e al convinto sostegno dell’Amministrazione il traguardo è stato raggiunto. Ci auguriamo che questo progetto funga da modello per altre realtà, tanto per qualità scientifica che per sostenibilità – spiega – C’è un altro aspetto che va evidenziato: il carattere inedito della selezione delle opere, che consentirà di entrare nel vivo della genesi concettuale e formale del lavoro del grande scultore che qui si palesa grandissimo disegnatore. Abbiamo detto fin dal 2018 che una dei filoni di ricerca del nuovo corso del Museo Novecento sarebbe stato l’opera grafica degli artisti del novecento in un legame stretto con la grande tradizione rinascimentale fiorentina.. E così è stato. Questa mostra aggiunge un altra conquista nel percorso di educazione e aggiornamento, funzione principali di ogni istituzione museale moderna. Infine il legame con il territorio, così necessario e originario del museo: un territorio – la Toscana, la Versilia, Firenze – cui Moore fu legato fin dalla giovinezza, sancito dalla mostra del 1972 al Forte di Belvedere, una delle più importanti del XX secolo a livello mondiale – ricorda ancora Sergio Risaliti – Henry Moore è artista erede e interprete dell’umanesimo in arte, ma con la sua arte che pur resta di avanguardia ha saputo dare un contributo enorme alla genesi di quel nuovo umanesimo artistico che ha saputo definire diversamente le nozioni di bellezza e forma, in un rapporto con la natura e gli archetipi della conoscenza quanto mai attuali, rivelazioni figurative di grande empatia e poesia, che il pubblico potrà finalmente scoprire con la desiderata apertura dei musei».
Un cranio d’elefante dallo studio di Henry Moore
Nella sala al piano terra, la presenza eccezionale di un cranio di elefante proveniente dallo studio dell’artista, su cui Moore si è applicato costantemente anche per realizzare una serie di incisioni, sottolinea l’analisi delle forme da punti di vista variati e con soluzioni formali molteplici, nate forse sull’esempio di un’identica performance grafica di Picasso, quasi ossessionato dalla possibilità decostruttiva della figura di un toro.
Henry Moore sintesi di storie e di confronti
Con Henry Moore. Il disegno dello scultore si accende un faro sulla produzione grafica di un protagonista della scultura contemporanea, che nel corso della sua intensa attività ha avuto modo di confrontarsi non solo con la scultura primitivista ed extraeuropea e con le sperimentazioni formali e linguistiche delle avanguardie storiche – su tutte, le esperienze di Brancusi e Picasso – ma anche con la tradizione della grande arte italiana dei secoli precedenti, in particolare con quella dei maestri attivi a Firenze e in Toscana, i grandi artefici dell’umanesimo in arte.
Scelte inedite per la mostra al Museo del Novecento
La mostra, significativa per presenza di opere e per il carattere inedito della scelta, rinsalda pertanto il legame di Moore con il territorio, che tuttora ospita opere monumentali dell’artista e che ha accolto, oltre all’importante esposizione del 1972, una mostra nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio nel 1987. Va ricordato poi che Firenze ha rappresentato un momento saliente e forse cruciale nella formazione del genio artistico di Moore, giunto in città per la prima volta nel 1925, durante il suo primo viaggio di studio in Italia, realizzato grazie ad una borsa di studio messa a disposizione dalla Royal College of Art. Fu quella l’occasione per ammirare e osservare le creazioni dei grandi maestri del passato, tra cui Giotto, Donatello, Masaccio e Michelangelo.
Temi e dettagli della mostra fiorentina
A partire da un’indagine sul rapporto di Henry Moore con il dato naturale e con i principi di ritmo e forma ad esso sottesi, verrà costruita una narrazione che muove dalla relazione tra l’immagine dell’artista e il paesaggio roccioso, per poi svilupparsi intorno allo studio della natura e delle vicendevoli mutazioni tra elemento naturale e figura umana, fino ad arrivare alla rappresentazione della forma primordiale. L’attenzione per la forza strutturale che soggiace alle diverse conformazioni naturali, unita all’osservazione dell’anatomia umana e dello spazio circostante, costituisce il fondamento di una ricognizione su alcuni motivi iconografici ricorrenti nella produzione grafica di Moore. Tra questi, si distinguono i paesaggi, le rocce, gli alberi, gli animali, i monoliti, le mani dell’artista.
La scelta dei temi è dettata dalla volontà di scavare in una zona del lavoro di Henry Moore finora poco indagata e meno nota al grande pubblico italiano, la cui conoscenza è legata soprattutto alle sculture che rappresentano figure sdraiate e ai disegni della Seconda Guerra Mondiale. Collegati da una comune ricerca sulla struttura e sulla forma, i soggetti individuati consentono di rileggere la produzione di Moore rivelando importanti richiami alla tradizione anglosassone, tra pittura romantica di paesaggio (il riferimento è, in particolare, ai disegni dedicati agli eventi atmosferici, a Turner ad esempio) e osservazione più prettamente scientifica (si pensi ai disegni dedicati agli animali tipici di una certa cultura anglosassone). Il motivo delle mani permette infine di approfondire un altro tema caro all’artista. Per Moore, infatti, esse non costituiscono solamente uno strumento indispensabile dell’attività artistica, ma sono a loro volta un soggetto che consente di veicolare un ampio spettro di emozioni, sensazioni, sentimenti. Al motivo della mano viene inoltre ricondotta l’origine della creazione e della costruzione della forma nello spazio.
A Firenze dopo mezzo secolo
Era tempo ormai che la città di Firenze, culla dell’umanesimo in arte tornasse a rendere omaggio a Henry Moore, lo scultore moderno che più di ogni altro ha saputo interpretare e sviluppare la lezione dei grandi maestri del Rinascimento, dando vita a un’esperienza nuova, diversa anche se consequenziale per molti aspetti a quella di Masaccio e Donatello, di Brunelleschi e Michelangelo. «Un’arte che oggi è ancora più che mai esemplare in quanto al di là di argomentare sul suo astrattismo o meno si avverte sempre la presenza dell’uomo, nel suo rapporto con la storia e la natura, con i suoi tormenti e le sue inquietudini, con i suoi conflitti e le sue riconciliazioni», osserva Sergio Risaliti.