Martina Benedetti infermiera al Noa di Massa e Carrara, Sara Colombo di Milano, Alessia Bonari in servizio a Grosseto sono tre giovani infermiere dal volto segnato, a volte con vere e proprie cicatrici, dalle mascherine.
«Sono stanca fisicamente perché i dispositivi di protezione fanno male, il camice fa sudare e una volta vestita non posso più andare in bagno o bere per sei ore – scrive Alessia Bonari – Sono stanca psicologicamente, e come me lo sono tutti i miei colleghi che da settimane si trovano nella mia stessa condizione, ma questo non ci impedirà di svolgere il nostro lavoro come abbiamo sempre fatto».
Alessia Bonari Martina Benedetti Sara Colombo
I selfie delle tre infermiere in trincea stanno facendo il giro dei social e di diverse agenzie di stampa. Così come i loro appelli. Sono stremate, descrivono le loro condizioni e situazioni in piena emergenza coronavirus. E vanno avanti, per combattere il Covid-19.
Martina Benedetti lavora in rianimazione, ha 28 anni, appare stravolta, con segni rossi sul naso e parte del volto. Ma va avanti.
Come lei Sara Colombo, in servizio in Lombardia, all’Azienda Ovest Milanese, che manda nonostante tutto un messaggio di speranza: «Le cicatrici sono segno di sofferenza ma anche di guarigione», dice, mostrandosi provata e segnata dalle cicatrici provocate dalla mascherina.
Alessia Bonari, l’infermiera di Grosseto, ha il volto coperto di lividi. «Sono un’infermiera e in questo momento mi trovo ad affrontare questa emergenza sanitaria. Ho paura anche io, ma non di andare a fare la spesa, ho paura di andare a lavoro. Ho paura perché la mascherina potrebbe non aderire bene al viso, o potrei essermi toccata accidentalmente con i guanti sporchi, o magari le lenti non mi coprono nel tutto gli occhi e qualcosa potrebbe essere passato», scrive. E aggiunge: «Noi giovani non siamo immuni al coronavirus, anche noi ci possiamo ammalare, o peggio ancora possiamo far ammalare. Non mi posso permettere il lusso di tornarmene a casa mia in quarantena, devo andare a lavoro e fare la mia parte. Voi fate la vostra, ve lo chiedo per favore».