All’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, il grande scrittore e intellettuale italiano Elio Vittorini, direttore della rivista di cultura Il Politecnico, ebbe una polemica con Palmiro Togliatti, segretario del Pci, sul ruolo degli intellettuali nella lotta per il socialismo. Poiché non riteneva che tale ruolo consistesse nel fiancheggiare acriticamente la politca del partito, scrisse un articolo che è rimasto famoso e che era una domanda retorica allo stesso Togliatti: Suonare il piffero per la rivoluzione?
Mi è tornato in mente questo episodio leggendo l’ultimo libro di Mauro Calise, La democrazia del leader, pubblicato da Laterza qualche settimana fa. Calise è un sociologo di lungo corso, che ha studiato a lungo la vita politica del nostro paese: ricordo un suo libro sul potere democristiano nella Campania degli anni Sessanta-Settanta. Più recentemente ha analizzato con occhio critico e con grande intuito il fenomeno del partito personale, in particolare di Silvio Berlusconi e di Antonio Di Pietro.
Ha fatto parte del gruppo degli intellettuali che hanno affiancato Antonio Bassolino sindaco durante quello che fu chiamto “il risorgimento napoletano”; ma i leader passano e gli intellettuali restano, si modificano le situazioni e i contesti, che vanno rianalizzati e riteorizzati. Non tutti gli intellettuali mostrano la schiena diritta che ebbe Vittorini, alcuni preferiscono rinunciare a una elaborazione originale e trovare giustificazione a ciò che accade, come se fosse l’unica soluzione possibile.
Mi spiego: trovo alquanto discutibile la tesi di fondo del libro in questione, che afferma essere finita la democrazia parlamentare, che chiede un forte aumento di potere decisionale per il governo e, nel governo, per il presidente del Consiglio: toh, mi sembra di sentire ragionare un tizio di Rignano sull’Arno, già sindaco di Firenze. In forza di questi ragionamenti, o sillogismi, Calise rappresenta con molte forzature un’Europa dove ovunque ci sarebbe un uomo (o una donna) solo al comando, un uomo in grado di parlare al popolo e di rapportarsi con esso direttamente; la differenza con l’assolutismo è data dal fatto che il leader del nostro tempo è soggetto alla verifica popolare con le consultazioni elettorali. E pazienza se a votare vanno sempre meno elettori!
Gli unici pericoli sulla strada dell’uomo solo al comando sono rappresentati dalla magistratura che, pur non ricevendo legittimazione popolare, mette i bastoni tra le ruote, con inchieste non sempre giustificate, spesso destinate a concludersi con archiviazioni o assoluzioni, se non in prescrizione. I media onnipresenti sfruttano questa situazione per impiantare processi mediatici che mettono a rischio le scelte degli elettori e disturbano il manovratore…
Nessuna proposta di mettere il bavaglio ai media o di limitare l’autonomia della magistratura. Per il momento. Nel futuro non è chiaro cosa si sarà disposti a fare per restare sul carro del vincitore.