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Il gemello (Antonio Sbarra)

La lezione era stata, come al solito, un pochino noiosa e solo la visualizzazione sul quinto palmare delle loro mani aveva reso l’excursus geo/planetario accettabile da parte della scalmanata pattuglia di studenti, che erano presenti in aula quella mattina.
Il Prof. XsWesty spense il suo trasduttore sub-ionico e, raccolti i vecchi appunti delle sue lezioni, si avviò stancamente verso l’uscita dell’Istituto Superiore di Planetologia Applicata di SOL, dove da numerosi anni – troppi? – la sua carriera di Docente di Astrofisica Planetologica Molecolare si era spesa, con onore, oneri, plausi e soddisfazioni accademiche rilevanti.
L’Istituto, vera “perla” culturale di Ares, il quarto pianeta dalla sua stella lontana circa 150 asgrest, occupava l’estrema periferia della città di Tredsw, prossima al Polo Nord del Pianeta, e da sempre era il riferimento scientifico per antonomasia di tutto il pianeta. E lui ne era, ancora per poco, il Magnifico Rettore, carica che occupava da moltissimi grutyuws, l’anno marziano, e che tra poco avrebbe dovuto lasciare, insieme all’insegnamento, avendo raggiunto e superato i limiti di età che le consuetudini claniche e normative prevedevano per questi casi.
«Già», pensò con malincuore e malcelata sofferenza, «cosa me ne farò “poi”? vero, potrò sempre frequentare biblioteche e laboratori dell’Istituto a mio piacimento, ma non sarà certo la “stessa” cosa, non vivrò quegli studi con la identica padronanza scientifica ed accademica di sempre, non potrò più – infine – “godere” di quella pur minima aura di dominio e di referenzialità auto-generata che gli incarichi, le benemerenze culturali, il ruolo stesso di Rettore mi avevano concesso e garantito, con piacere e soddisfazione ad onor del vero.
Ma, pazienza!
La ruota della vita gira così ed è semplicemente inutile – dannoso financo – tentare di arrestarla od opporvisi; inutile, dannoso ed allora? Procedere, procedere, lentamente, stancamente ma pervicacemente procedere, sempre e comunque. Non sono certo il primo né sarò l’ultimo a lasciare incarichi e funzionalità, ancorché emeriti e benemeriti, per avviarsi ad un “tramonto” biologico e culturale – pensa – mentre lentamente si trascina sulle tetrapodi squamate, che già da qualche tempo mostrano irreversibili segni di incipiente vecchiaia metamorfica.
Comunque!»
La fresca aria serotina, carica di ossido di carbonio, tonifica in parte il suo respiro esapolmonare, anche se da qualche anno il tasso di O2 è pericolosamente aumentato: e lui ne conosce bene il perché, anzi è stato giusto l’oggetto accademico del corrente suo corso semestrale: la relazione tra le modificazioni del campo magnetico di Ares e le connaturate implementazioni del tasso di O2 nell’atmosfera, con le inferenti modifiche eso-biochimiche.
Lo sguardo gli si rivolge, quasi senza volerlo, verso il cielo, verso quel punto luminoso che da eoni brilla nel firmamento marziano all’imbrunire, ad accompagnarne la sera sino al sorgere di SOL nuovamente: è il pianeta “gemello”, il terzo da SOL, quello che i suoi studi e quelli dei suoi colleghi eso-planetari hanno fatto da sempre oggetto del loro interesse, non solo scientifico ma anche “umano” si potrebbe dire, se questo lemma aggettivale avesse per XsWesty un senso, non solo filologico ma anche filosofico ed esistenziale.
Ma sente dentro di sé che un “nesso” deve pur esserci tra quello strano vocabolo “alieno” per loro e l’empatia involontaria che prova per quel pianeta, così vicino e pure così lontanamente lontano da Ares; avverte, in modo epidermico quasi – sul tessuto connettivo cheratinoso che è la sua pelle – un feeling, un legame culturale con quel pianeta, che percorre un’orbita, si ripete per l’ennesima volta, così vicina e pure così lontanamente lontana da Ares.
Le poche sonde automatiche, che da Ares è stato possibile far scendere su Uitghew – così le antiche leggende marziane hanno sempre chiamato il pianeta gemello – hanno potuto trovare una landa desolata, del tutto senza atmosfera, e solo qua e là tracce di antiche costruzioni e di manufatti ridotti ormai a frammenti.
La mitografia relativa al pianeta gemello, cui è abituato sin dalle favole apprese da bambino, gli sovviene tutta e tutta insieme, mentre tornando a casa non riesce a staccare lo sguardo da Uitghew, che riluce nella tiepida sera marziana.
Lo guarda, lo ammira, lo ama perfino: la sua storia gli è del tutto nota e non a caso la più alta onorificenza accademica, il Premio Quertyuiop del 13° parsec dell’Era Volgare, gli era stato conferito proprio perché dai pochi dati delle sonde aveva intuito prima e dimostrato poi come quel pianeta fosse “morto”, pur godendo di una condizione astrale più favorevole di Ares, per quanto attenesse alla distanza media da SOL, all’orbita che percorreva e via così.
Era morto, e da innumerevoli parsec, perché il suo campo magnetico si era prima spostato e poi addirittura dileguato, lasciando il pianeta privo delle difese dai raggi cosmici, vuoi del vicino SOL, vuoi provenienti dallo spazio galattico più profondo. Il suo nucleo interno, costituito da metalli pesanti, specialmente il NHIRES e il DWASKIO, aveva cessato il suo turbinio vorticoso e, per elementare legge di elettromagnetismo, era finita l’inferente formazione di un dipolo magnetico, situato nel centro del pianeta e inclinato di 11°30′ rispetto all’asse di Uitghew.
E, i suoi studi avevano appunto dimostrato come il magnetismo del pianeta gemello avesse una notevole importanza per la vita su di esso; infatti, esso si estende per decine di migliaia di kilometri nello spazio, formando una zona chiamata magnetosfera la cui presenza genera una sorta di scudo elettromagnetico che devia e riduce il numero di raggi cosmici. In definitiva, esso era stato per Uitghew un “mantello” protettivo, come detto, e molto probabilmente la sua scomparsa doveva aver generato anche la “scomparsa” di ogni forma di vita, se mai ve ne fosse stata una su Uitghew.
Ma, quei manufatti – ancorché minimali e ridotti a pochissimi frammenti – stavano a dimostrare, o no?, che su Uitghew una qualche forma di vita doveva essersi sviluppata e non solo nelle forme primigenie di esseri unicellulari e/o batterici. Una “mano” intelligente doveva pur aver prodotto quei reperti, allo stato per lui incomprensibili per quanto attenesse alla loro funzionalità o alla progettualità “culturale” che sottintendevano agli stessi.
Nel Museo, annesso al suo Istituto Universitario, ne aveva visto un paio, portati su Ares dalle sonde, almeno da quelle poche che erano riuscite a non sfracellarsi al suolo di Uitghew e a ripartire, dopo aver raccolto appunto qualche campione aresologico (ma si saranno mai chiamati così) e qualcuno di quei reperti archeologici: strani materiali, sconosciuti del tutto alla pur vasta Tavola degli Elementi di Ares, spesso frutto di una “lega” tra più di quegli elementi, il che ne rendeva ancor più problematica la conoscenza fisico/chimica e meno che mai la funzione e/o il progetto cui esso materiale tendeva.
Ma uno in particolare aveva subito attratto la sua attenzione, la sua curiosità ma soprattutto il suo empatico sentirsi – in modo inspiegabile – attratto verso l’intelligenza sua esecutrice (ci doveva, e lo sapeva bene, pure essercene stata una, “dietro”!): una lamina tondeggiante, lucida sulla sua superficie, con incisi su un lato una serie di solchi paralleli.
Inodore, insapore, flessibile ed altre caratteristiche fisiche di varia natura erano riportate sul dispositivo luminescente che custodiva il manufatto, ma oltre queste peculiarità rilevabili anche ad un esame superficiale del manufatto non si andava, ed esso rimaneva davvero un mistero avvolto in un buio totale all’interno di una stanza scura!
A cosa sarà servito, se sarà servito a qualcosa? Era la domanda che su Ares circolava da quando la sonda lo aveva riportato dal pianeta gemello, suscitando meraviglia e gioia – allora non siamo soli nell’infinita teoria di sistemi simili a SOL che ci circondano – ma anche stupore e, talora, stizzosa impotenza nella incapacità di decifrazione funzionale e culturale del manufatto!
E lui non era venuto meno a questa “regola” scientifica, ma anche popolare dei suoi simili! Anzi, per lui quei sentimenti erano acuiti da quella strana empatia che provava ogni volta che al calare di SOL, come una compagnia usuale ma sempre “fresca” e nuova, il punto luminoso di Uitghew appariva in cielo, compagno e solacio al termine di un’ennesima giornata di duro lavoro su Ares! Quel puntino era “qualcosa” di vivo e che sapeva – doveva? – suscitare in lui empatia fraterna ed emozionale, proprio perché una civiltà vi si era sviluppata, civiltà sì, se era stata capace di creare quei manufatti, ancorché astrusi al suo intelligere sino al punto che era tentato di definirli “alieni”!
Una gocciola di linfa semi-gelante gli è intanto scivolata da due dei suoi otto ommatidi: semplice raffreddamento per l’incipiente calo delle temperature nelle sere di Ares o, forse, qualcos’altro? Un moto dell’animo irrefrenato ed irrefrenabile lo ha fatto rabbrividire ed anche la dura epidermide cheratinosa non ha saputo trattenerlo: ora lo sa, si è reso consapevole del perché.
È l’eterno dolore che lo ha sempre travolto, sin dai primi suoi studi planetologici ed astrofisici, laggiù in un “tempo” lontanissimo dal presente serale rientro a casa dall’Università: la coscienza di una “fine” – ma di cui, peraltro, non se ne conosce “il” fine – di ogni elemento dell’Universo, dai piccoli atomi alle infinite Galassie, il cui destino è appunto quello di “dover” finire una volta che la loro vita si sia esaurita, il loro carburante si sia consumato, la loro energia sia cessata.
Ed anche il “gemello” deve aver vissuto la stessa sorte, deve aver subito l’implacabile destino di una “esistenza” che cessa, in modo traumatico oppure lento ed inavvertito che sia stato.
E la “mano” che ha creato quei manufatti, è il pensiero che lo coglie all’improvviso?
Ha detto mano, con riferimento all’arto enneadattilico di cui la sua specie è fornita: se la guarda, anzi se le guarda tutte e quattro con un empito di simpatia genetica e psicologica. Che forma avranno avute quelle degli esseri intelligenti del pianeta gemello? Di certo, saranno state capaci di manipolare, modellare, trasformare l’ambiente in cui sono vissuti i loro “gestori”! Solo un arto con tali capacità dinamiche porta alla “civiltà”: lo sa bene, è stata – questa – la stessa storia degli abitanti di Ares, la storia di un progresso civile e tecnologico proprio grazie all’uso intelligente, programmatico e complesso dei propri arti!
Ed ora sono scomparsi, tutti, e il loro pianeta è una landa deserta, calcinata dai raggi cosmici sia di SOL che di ogni altro “emittente” della Galassia, privo com’è dello scudo protettivo del suo campo magnetico. È un pianeta “fermo” in cui non si “muove” più niente, né nel suo nucleo né sulla sua superficie, da cui è scomparsa ogni forma vivente, pur anche ogni atomo della sua atmosfera: tutto!
XsWesty è arrivato a casa.
La routine delle sere solitarie lo accoglie con la silenziosa, usuale e monoforme ripetitività degli atti conclusivi di una normale giornata.
Ma, stasera non è così.
Il pensiero, “quel” pensiero, gli si è attaccato addosso, come una delle tante scaglie che ricoprono in suo corpo oblungo. Periferico, tangente alla sua soglia conscia ti illude e ti beffeggia anche: lo conosci, ma lo ignori; sai di che si tratta, ma al contempo è avvolto nel più buio di un mistero nero in una stanza oscura. Delle tante cose che la sua giornata lo ha visto esprimere come attore e protagonista, nessuna è in primo piano, ora: le immagini si accavallano in un caleidoscopio spento e monocolore e, per questo, monoformi e insondabili nel loro essere. Eppure qualcosa si agita là in fondo, si fa strada tra la congerie delle sensazioni che con aspetto proteiforme lo avviluppano e lo inchiodano ad uno stato di coscienza senza note di alert, senza warning su un possibile pericolo – reale o psichico che sia – che possa sopraffarlo, cogliendolo in uno stato di anossia intellettuale.
No!
Eppure l’anziano prof. lo sa, lo sa bene: se un alert nella sua mente è scattato, qualcosa deve averlo prodotto. Il puntino luminoso, ora, si fa più ardente sin quasi ad abbacinarlo: è più vicino al suo campo sensoriale? Forse, ma resta sempre “dietro” una maschera anonima e perfino anodina, che lo precede e l’ottenebra, anche se i suoi contorni sono, ora, più definiti, più addirittura definibili sulla soglia della coscienza.
Ecco, ecco, ci siamo: come alla fine di una sublime copulazione, esplode l’orgasmo di una rivelazione, improvvisa ma come se fosse sempre stata lì, a portata di mano, e che lui non era stato abile e tempestivo nel coglierla.
Quei dati, quei dati su cui aveva un pochino tirato via, con una sorta di albagia intellettuale immotivata (ora se ne pente!), ora sono di nuovo tutti lì, presenti, incalzanti, crudeli finanche! Li aveva compulsati superficialmente, senza gli adeguati scientifici approfondimenti sperimentali e metodologici. Un lontano laboratorio, dalle parti dell’altra calotta polare di Ares, aveva segnalato in rete come i dati del campo magnetico di Ares stessero crollando o, peggio, modificandosi con velocità esponenziale: lui stesso si era reso conto dell’anomalo aumento nell’atmosfera del tasso di O2, sino a rendere difficoltoso il metabolismo aerobico ai suoi abitanti, oltre che aver notato un immotivato aumento delle radiazioni ioniche nella stessa atmosfera. Ma, l’approssimarsi delle celebrazioni del mid-term accademico, gli impegni attinenti alla pubblicazione delle sue ultime dispense su quella strana nebulosa apparsa all’improvviso sull‘orizzonte settentrionale, tutto questo lo aveva quasi estraniato dall’attenta – e dovuta – analisi di quei dati, rimasti così un po’ lontani dalla sua cura e dal suo convinto sentire.
Ma ora, no: rieccoli, pregni di un loro lugubre “fascino” ammonitore, tutti ricorrere alla mente e, soprattutto, alla vigile sua coscienza accademica e scientifica!
Sono lì, sono loro, sono suoi!
L’anomalo aumento nell’atmosfera del tasso di O2, sino a rendere difficoltoso il metabolismo aerobico ai suoi abitanti, oltre che aver notato un immotivato aumento delle radiazioni ioniche nella stessa atmosfera: fenomeni, questi, che si erano poi accompagnati ad un immotivato elevarsi del tasso di infecondità nelle altre due specie di dimorfismo sessuale necessarie alla riproduzione, i cui parti ovovivipari avevano fatto riscontrare un calo drastico del numero dei genitati, bel al di sotto dei consueti 12/15 cadauno. E che dire – infine – delle strane “aurore” lattiginose che si erano segnalate un po’ su tutto il pianeta?
«Devo controllare, devo controllare: e subito!» pensa mentre si avvia di nuovo al suo Laboratorio planetologico.
I dati, quei dati, sono ancora lì: anzi, quell’anonimo collega ve ne ha aggiunto altri e tutti convergenti, tutti collimanti verso un unico “target” scientifico, come testimoniano le interpolazioni che qualcun altro ha operato. Ma manca una “mente” ordinatrice, una cultura superiore, una capacità sommativa che lui, invece, possiede e da tempo: lui!
Sotto la sua vigile mente tutto si dipana, tutto si chiarifica, tutto si fa ialino e lampante!
I nostri due pianeti, cari Ares e Uitghew, sono davvero “gemelli”: simul stabunt, simul cadent!
«Anche sul mio pianeta», pensa sconsolato, mentre le prime folate di vento solare e di raggi gamma provenienti dallo spazio hanno iniziato la loro ferale opera distruttrice, «anche sul mio pianeta la magnetosfera si sta dissolvendo e …………..!».

Antonio Sbarra

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