L’abitudine desta una calorosa sensazione di armonia delle parti, un equilibrio che pone l’esistenza dell’individuo nella più totale semplicità e organizzazione dal quale, egli, si trova a suo agio, è cosciente del fatto di non compiere alcuno errore e, cosa più importante, lo tiene sveglio e attivo nelle sue mansioni quotidiane con una determinata coordinazione. Del resto, l’abitudine stessa, deriva da un abito da indossare, una maniera meccanica e meticolosa nel fare le cose più semplici: dall’alzarsi dal letto sempre con lo stesso piede, dal lavarsi i denti e così via. E’ anche, questa, una maniera per restare al sicuro dagli imprevisti che potrebbero compromettere quel senso di agio che si prova nel ciclo dell’abitudine. Secondo uno studio psicologico l’abitudine è suddivisa in tre sezioni: segnale, routine e gratificazione. Il primo è dato da un determinato ambiente; il secondo è l’azione prodotta dal segnale e l’ultimo, la gratificazione, è ovviamente (come dice il nome stesso) la sensazione di benessere che si prova una volta concluso l’atto. Ma come possono esserci (se mai ci dovessero essere) delle buone abitudini, ce ne sono naturalmente delle brutte, che compromettono in negativo quel ciclo continuo citato pocanzi. Che cosa siamo noi, se non il procedere meccanico, come un golem di pietra e argilla, delle nostre azioni? E cosa accadrebbe se queste nostre abitudini ci venissero portate via in un lampo di folgore senza che avessimo modo di “comportarci” di fronte all’imprevisto? Siamo dunque il procedere di noi stessi, nelle proprie nevrotiche abitudini.
Michele de Micheli era un uomo così, tutto d’un pezzo. Aveva il naso aquilino che pendeva verso il basso a sinistra e le sopracciglia folte e del colore del carbone; il viso liscio e limpido poichè, come era sua abitudine fare, tagliava la barba tutte le mattine, con lo stesso rasoio che usava oramai da quando i primi peli iniziavano a spuntargli dal mento, in età puberale, sul finire della terza media. Non si poteva dire fosse un uomo complesso ma certamente nelle sue semplicità si poteva trovare un qualcosa che potesse confondere o destare un certo fascino. Di mestiere faceva l’insegnante di italiano in un liceo ed era riuscito ad avere le ore di lezione tutte nello stesso momento della mattinata tutti i giorni della settimana, tranne al giovedì poichè, considerava, fosse il suo giorno di svago e ozio. Preferiva smezzare la settimana in due così da essere più efficiente e non recare disturbo nella sua ciclicità. Era riuscito, con fatica e dedizione, a calcolare tutto nei minimi dettagli: il cosa e quanto mangiare durante la settimana, gli impegni, gli obblighi e gli svaghi.
Aquino Simone
Continua a leggere su eccocistore.it a questo link, dove potrai anche votare il racconto