Ma poi che cos’è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, un più preciso patto o un apostrofo rosa tra le parole ti amo? Il problema non è tanto ricordarsi la giusta serie terminologica della definizione di bacio data da Cyrano de Bergerac. Il problema è un altro: provare a definire l’indefinibile, la poesia dietro la materia, l’infinito spazio tra due bocche che si sfiorano.
Fuor di metafora, ci hanno provato tutti. Poeti, scrittori, artisti, sceneggiatori. Persino un gruppo di ricercatori americani del College Lafayette in Pennsylvania ha tentato di dare una spiegazione plausibile alla reazione scatenata dal bacio, alla combinazione di ormoni e molecole maschili e femminili che genera quella che in gergo viene chiamata la scintilla. Ovviamente, la scienza si è limitata ad indagare soltanto una parte del fenomeno, gli effetti visibili, non ad occhio nudo, ma almeno ad un’analisi in profondità.
Sondare le cause del fenomeno sarebbe come camminare su un pavimento in pendenza, cercare di intrappolare in categorie concettuali e dunque razionali, ciò che per natura non lo è, né potrà mai esserlo.
Il bacio, infatti, non è fisica, non è attrazione di due poli opposti. È soprattutto chimica, che fin dalle origini nasce come arte magica e non come scienza esatta.
Il bacio dunque può essere soltanto magia e quindi, chiudendo il sillogismo aristotelico, torniamo al punto di partenza: non può essere spiegato.
A complicare ulteriormente la questione c’è il fatto che di baci ne esistono diversi tipi, nonché diverse tecniche di baciare. Ad esempio, gli Eschimesi si baciano naso-naso, i Francesi usano la lingua, mentre i Russi si danno tre baci consecutivi sulle guance. Anche se Dante Alighieri e William Shakespeare ci hanno insegnato –con buona pace di Paolo e Francesca e di Romeo e Giulietta- che l’amore, inteso come passione, inizia e finisce con un bacio, non obbligatoriamente l’equazione matematica è sempre e comunque soddisfatta. Bacio rappresenta anche un’altra forma di affetto, come il bacio della buonanotte, oppure segno di riconoscimento come il baciamano di altri tempi o il bacio accademico per gli studenti universitari, nonché di tradimento come il bacio di Giuda.
E mentre nell’arte i vari Hayez, Klimt, Munch, Bansky e Doisneau davano la loro versione del bacio, è arrivata lei, Tatia Pilieva, la regista che ha realizzato il cortometraggio First Kiss, divenuto poi la campagna pubblicitaria dell’azienda di abbigliamento Wren.
“Abbiamo chiesto a venti sconosciuti di baciarsi per la prima volta”, si legge in una delle prime schermate del video, ultimo fenomeno virale del web. Niente è stato detto alle dieci coppie che si sono trovate di fronte la macchina da presa, se non appunto darsi un bacio. Le reazioni delle persone sono state svariate, timidezza, intraprendenza, velocità d’esecuzione.
Il cortometraggio non ha nessun valore sociologico o pedagogico, non vuole spiegare il bacio. Vuole soltanto mostrare, con una buona dose di leggerezza -ogni tanto serve anche quella- che il bacio, soprattutto se è il primo, è un punto di partenza per coprirsi e per scoprirsi. Coprirsi di energia e scoprirsi in tutti i sensi. Buttando giù il muro della timidezza e scoprendo così se stessi e la persona che si ha di fronte, che sarà a sua volta coinvolta nello stesso processo.
Se potesse essere sempre così, sarebbe bello allora che il bacio fosse sempre il primo e che si potesse vivere sempre di inizi o citazioni da prima volta.
Valentina Cirri