Se qualcuno pensava che la trentennale saga della guerra del Vietnam fosse oramai finita, rimpiazzata da conflitti più recenti, dovrà ricredersi, poiché proprio un romanzo sul Vietnam ha vinto nel 2016 il Pulitzer, oltre ad altri premi letterari, fino ad approdare ai nostri lidi. Stavolta però l’autore è un vietnamita, anzi, per essere più precisi, un uomo-ponte, di origine saigonese ma approdato come profugo negli Stati uniti dopo la caduta della città. Si tratta di Viet Thanh Nguyen, autore di Il simpatizzante (Neri Pozza, pp. 512, 18 euro), sua opera prima. Il protagonista del romanzo è un uomo dalle due facce, noto ai lettori come Capitano, che mentre fa da assistente a un generale statunitense invia dispacci ai vietcong. Ma la sua doppia appartenenza lo porterà in un campo di rieducazione.
Perché ha scelto di chiamare così il suo romanzo?
La parola simpatizzante ha due significati. Da una parte il Capitano è un simpatizzante del Partito Comunista, dall’altra vede la situazione da due punti di vista diversi, e coglie i lati positivi e negativi da ambo le parti. Questo fa di lui la spia ideale, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ciononostante deve agire come un rivoluzionario. Ma questo lo porta ad avere problemi, perché è diviso tra comunismo e capitale.
Cosa vede di positivo e cosa vede di negativo nelle due culture, vietnamita e americana?
Il mio scopo era mostrare la bellezza e il fallimento delle due culture. Quale figlio di profughi, sono immerso in entrambe. Credo nella democrazia, nel principio di eguaglianza e nel multiculturalismo degli Stati Uniti. Ma queste cose positive sono state rese possibili anche dal razzismo e dalla schiavitù. Vietnam vuol dire cultura, ospitalità, amore, famiglia, parenti. Questa nazione ha messo in pratica la rivoluzione e dato un insegnamento al mondo, ma a spese della libertà e dell’indipendenza. Vittoriosi, i comunisti hanno inflitto ai nemici le pene peggiori. Nel libro ho cercato di offendere tutti quelli che potevo.
Perché e chi voleva offendere?
Le persone si offendono facilmente perché chi crede nel suo paese e nella sua cultura non può credere nel suo fallimento. Gli Stati Uniti credono di aver combattuto per la libertà e l’indipendenza, ma così non è stato, e per aver detto questo ho ricevuto messaggi minacciosi. In Vietnam si sono offesi sia comunisti sia anticomunisti. Nessuno vuol sentire parlare di campi di rieducazione e molti anticomunisti si rifiutano di leggere il romanzo.
Il suo Capitano di trova a fare da sceneggiatore in un film nel quale si può riconoscere Apocalypse Now. Cosa pensa dei film americani sul Vietnam?
Sono cresciuto leggendo tutti i film sul Vietnam e non lo raccomando, fanno da sfondo a una tragedia americana. Io, sentendomi americano, mi sono identificato con loro. Questi film simboleggiano la potenza degli Stati Uniti, e la storia narrata è stata solo la loro, mentre i vietnamiti non hanno avuto la stessa opportunità di raccontare il loro punto di vista al resto del mondo. Ecco quello che volevo fare.