È pensato anche per i gatti e sarà sperimentato a Napoli, in estate, sull’uomo. È il vaccino italiano che verrà sviluppato dalla Takis, sulla base di due candidati che hanno dato un’ottima risposta.
«È andata bene: il saggio effettuato sul virus di Covid-19 allo Spallanzani ci ha permesso di individuare i due ‘candidati vaccini’ più promettenti. Nel giro di due settimane avremo i risultati di un mega-studio in corso a Castel Romano che ci dirà quanto dura la risposta immunitaria innescata, e ci permetterà di individuare il vaccino migliore da portare in sviluppo. E, se tutto andrà bene, potremo iniziare gli studi sull’uomo dopo l’estate: vogliamo farli a Napoli, con il gruppo dell’oncologo Paolo Ascierto». Ad affermarlo all’Adnkronos Salute è Luigi Aurisicchio, fondatore e amministratore di Takis, azienda biotech di Castel Romano specializzata in vaccini anti-cancro, in corsa per un siero in grado di proteggere dal nuovo coronavirus.
Se il gruppo di Oxford e gli americani già hanno iniziato i test sull’uomo, Takis resta in gioco. «Avevamo messo a punto cinque candidati vaccini contro il virus Sars-Cov-2 – ricorda – che nei test sui topi hanno mostrato una forte immunogenicità, con una buona risposta anticorpale. Il saggio allo Spallanzani ci ha permesso di individuare i due che danno una risposta migliore: non è tanto la quantità di anticorpi, ma la qualità che è in grado di neutralizzare bene la regione ‘chiave’ della proteina Spike», l’arpione che il virus usa per penetrare nelle cellule. I candidati vaccini Takis contengono solo un frammento di Dna e sono basati proprio sulla proteina Spike, sfruttando una tecnologia chiamata elettroporazione: l’iniezione nel muscolo è seguita un brevissimo impulso elettrico che aumenta l’efficienza del vaccino stesso.
«È vero, altri gruppi sono già ai trial sull’uomo – ammette Aurisicchio – ma noi abbiamo voluto valutare con un saggio funzionale direttamente sul virus l’efficacia dei nostri candidati. E lo potevamo fare solo allo Spallanzani. Questo ci ha permesso di individuare i due più promettenti. Nel giro di due settimane avremo altri risultati, frutto dello studio che si chiude oggi a Castel Romano. Un’azienda austriaca produrrà poi il vaccino su larga scala per avviare lo studio sull’uomo dopo l’estate. Ma la nostra speranza è quella di accedere al mega-finanziamento europeo che verrà annunciato oggi, mirato proprio allo sviluppo di un vaccino. E di riuscire a svilupparlo in Italia».
Ma perché tanti gruppi diversi sono in corsa e non si punta su una soluzione unica, convogliando vari fondi? «Questo sarebbe l’obiettivo dell’Oms. Ma c’è da dire che questo è un virus sconosciuto, e che ci sono varie tecnologie che possono produrre una risposta immunitaria qualitativamente diversa», avverte Aurisicchio. Dobbiamo capire quale sarà la migliore. «In Australia stanno sviluppando un vaccino basato sulla proteina Spike, che funziona bene come risposta immunitaria, ma meno sulla memoria immunitaria. A Oxford usano un vettore virale, approccio in genere molto promettente, ma con un neo: con questo vaccino dopo un paio di somministrazioni l’organismo riconosce e blocca il vettore, dunque se Covid-19 sarà solo il primo di una serie, questa tipologia di vaccino potrebbe non funzionare più contro un ipotetico Covid-22».
«Noi – spiega l’esperto – usiamo solo un pezzetto di Dna virale iniettato nel muscolo e sottoposto a elettroporazione. La nostra tecnologia è ripetibile nel tempo». Insomma, se questo coronavirus diventerà stagionale o il primo di una serie, «questa tecnologia potrà diventare lo standard» per l’immunizzazione. Nel frattempo, prima di passare all’uomo «faremo uno studio su scimmie e furetti. Inoltre questo vaccino è pensato anche per i gatti: vogliamo partire con uno studio, che deve ancora essere autorizzato, per vedere se il gatto immunizzato sviluppa anticorpi».
Inoltre alla Takis hanno una backup strategy: «Se ci accorgiamo che il candidato selezionato non è in grado di indurre abbasta anticorpi neutralizzanti e dovesse dare una risposta alterata, allora abbiamo il secondo di riserva». Infine «bisogna tener conto anche della maneggevolezza dei vaccini basati sulla nostra tecnologia, che a differenza di quelli con vettori virali – conclude Aurisicchio – non hanno bisogno di un’importante catena del freddo per la conservazione».
Margherita Lopes
AdnKronos