Poggio alla Malva

In preparazione del sabotaggio di Poggio alla Malva: una fabbrica di morte

La fabbrica, denominata anche Dinamitificio Nobel, era posta vicino alla stazione di Carmignano, un binario la collegava con la stazione stessa. Al momento del sabotaggio occupava tremila lavoratori, gran parte residenti nelle frazioni circostanti. Dallo scoppio avvenuto nella notte dell’ 11 giugno, la fabbrica non ebbe se non trascurabili danni e lamentò la morte di un guardiano, colpito da un peso caduto dall’alto per lo spostamento d’aria causato dall’esplosione; il danno più grave lo subì la ferrovia, perché si aprì una voragine enorme, profonda fino al livello dell’Arno, riuscendo là dove non erano riusciti gli alleati coi bombardamenti, cioè a distruggere o danneggiare, ma anche ad isolare dal punto di vista dei trasporti, il polverificio, che, dopo l’esplosione, smise di produrre, i lavoratori furono licenziati e mai più riassunti.
L’esplosivo prodotto veniva caricato sui vagoni dentro la fabbrica, i vagoni erano poi dislocati lungo un binario morto della stazione e quando ce n’era a sufficienza venivano spediti sui teatri di guerra, laddove erano ritenuti utili. Bogardo deve averne parlato a lungo coi propri ragazzi, con Faraoni, con Spinelli, con altri che avevano lavorato alla Nobel. Deve aver pensato che quei vagoni carichi di tritolo spediti a intervalli più o meno regolari servivano per distruggere infrastrutture, monumenti, fabbriche, a causare dolore e morte e deve aver maturato l’idea di distruggere il carico che aveva davanti agli occhi in quei primi giorni di giugno, quegli otto vagoni che stavano per essere spediti.
Il clima generale, in quei giorni, doveva essere ottimistico: Bogardo e i suoi sapevano sicuramente che Roma era stata liberata, che l’esercito alleato risaliva la penisola abbastanza celermente e che la guerra stava per finire; è probabile che, come accadde in altre parti dell’Italia, si volesse dare una spallata, nel tentativo di affrettare quanto più possibile la fine della dominazione nazifascista. In questo clima nasce l’idea del sabotaggio. Tuttavia, Bogardo non agisce di testa sua, ma ne parla con i dirigenti di cui si fida all’interno della Resistenza : Guido Mazzoni e Loris Cantini.
Mazzoni ricordò in anni più recenti di aver espresso dubbi sulle modalità con cui Bogardo aveva pensato l’azione e di avergli consigliato di attendere che da Firenze fosse inviato un esperto di esplosivi, per valutare bene il da farsi, in particolare la potenza esplosiva che il materiale contenuto nei vagoni avrebbe sprigionato. Il Cantini aveva fatto un’ispezione con Bogardo e il fratello Alighiero sul luogo dove si sarebbe dovuto compiere il sabotaggio, ma non era stato in grado di assumere una decisione e i giorni passavano…

Giuseppe Gregori

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