Francia, Svizzera, USA, Germania e Cina le prime cinque destinazioni in valore per le vendite estere di calzature
Giovanna Ceolini, Presidente Assocalzaturifici: “Nonostante l’incremento a doppia cifra del fatturato settoriale 2022, con previsione di ritorno a consuntivo sui livelli pre-pandemia, e i segni positivi in gran parte delle variabili, il forte aumento dei costi erode i margini delle imprese, costrette ad affrontare, oltre ai rincari delle materie prime, la fiammata senza precedenti degli energetici”
Il comparto calzaturiero italiano continua il percorso di recuperto post – pandemia registrando nei primi nove mesi del 2022, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, un incremento a doppia cifra del fatturato (+13,9% tra le aziende del campione di Associati). È la fotografia scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici che evidenzia anche un aumento dell’export (+23,7% in valore e +11,7% in volume, trainato dalle griffe del lusso), che ha già superato i livelli pre-Covid (con l’eccezione, però, delle scarpe con tomaio in pelle, che presentano un gap del -11% in quantità sul 2019). Risultati premianti nei mercati comunitari (con aumenti nell’ordine del +25% in valore in Francia e Germania), in Nord America (+62%) e in Medio Oriente (+58,5%). Bene fino ad ora anche la Cina, ma soprattutto per l’alto di gamma (+43% in valore, con un +34% nel prezzo medio). Pesanti le conseguenze della guerra in Russia e Ucraina (-32% nei primi 9 mesi nell’insieme, con un -40% dall’inizio del conflitto); tra gli stati dell’ex blocco sovietico cresce il Kazakistan (+33,4%).
Secondo Giovanna Ceolini, Presidente di Assocalzaturifici: “Nonostante l’incremento a doppia cifra del fatturato settoriale 2022, con previsione di ritorno a consuntivo sui livelli pre-pandemia, e i segni positivi in gran parte delle variabili, il forte aumento dei costi erode i margini delle imprese, costrette ad affrontare, oltre ai rincari delle materie prime, la fiammata senza precedenti degli energetici. Permane inoltre una rilevante disomogeneità tra le aziende, con 2 su 5 tuttora con fatturato sotto i valori pre-emergenziali. Gli effetti della crisi appaiono evidenti nei dati relativi alla demografia delle imprese (con 180 chiusure tra i produttori di calzature da inizio anno, tra industria e artigianato, -4,5%), mentre nei livelli occupazionali trovano conferma il rimbalzo già registrato nei primi due trimestri (+2,3%, insufficiente, comunque, a ripianare le perdite subìte nel biennio precedente) e la marcata riduzione, rispetto al 2021, delle ore di cassa integrazione guadagni autorizzate nell’area pelle (-81,6%, con ancora però un +80% sul 2019). Nelle aspettative a breve domina l’incertezza, in un panorama mondiale in cui – dopo il lungo periodo flagellato dalla pandemia – inflazione, caro bolletta e turbolenze geopolitiche minano il clima di fiducia, frenando la domanda di beni”.
Nel report emerge anche la risalita nei consumi interni: +13,3% in spesa gli acquisti delle famiglie, ma ancora -3,5% sulla situazione già largamente insoddisfacente di tre anni addietro. Il contestuale balzo dell’import (+30% quantità) e la propensione al risparmio indotta dal carovita rendono sempre più serrata la competizione sul mercato nazionale, sfavorito anche da una stagione autunnale partita molto in ritardo. Cresce la quota di vendite off-price. In estate ritmo sostenuto dei flussi turistici, ma il recupero nello shopping straniero è ancora parziale.
Analizzando nel dettaglio le esportazioni, le vendite estere di calzature hanno raggiunto (operazioni di pura commercializzazione incluse) l’ennesimo primato in valore, toccando i 9,35 miliardi di euro (+23,7% su gennaio-settembre 2021), per un totale di 165,2 milioni di paia (+11,7%): non un record quello delle quantità, ma comunque il miglior risultato dal 2017 ad oggi. Il prezzo medio al paio è salito a 56,60 euro (+10,7%). Sia in valore che in volume sono state superate le cifre dei primi 9 mesi 2019 pre-Covid (rispettivamente del +20,4% e di un più modesto +3,9%).
Decisamente positivo l’export verso gli USA che – dopo la fine della “guerra dei dazi” con la UE nell’autunno 2021 nell’ambito delle dispute sulla digital tax e lo scampato pericolo di imposte aggiuntive sui prodotti del fashion – nel 2022, grazie al cambio favorevole, hanno registrato nei primi 9 mesi un sensibile incremento (+61% in valore e +28% in volume). Crescita altrettanto vigorosa si evidenzia per il Canada.
La Cina, dopo la frenata nel bimestre aprile-maggio (-25% nelle quantità e -13% in valore) legata alle restrizioni adottate in diverse città per fronteggiare i nuovi focolai Covid, da giugno è ripartita con vigore. Il terzo trimestre ha registrato un aumento del +86% in valore (con un +17,4% in volume), grazie ai risultati conseguiti dalle griffe del lusso. Il cumulato dei primi 9 mesi segna così un +43% in valore, con un molto più ridotto +7% nelle paia. All’interno della top20 delle destinazioni è il mercato che presenta il prezzo medio più alto: 213,39 euro/paio, +33,6% su un anno addietro.
Forte preoccupazione destano ovviamente le notizie di questi giorni sulla recrudescenza del virus, dopo la nuova drammatica ondata di casi nel paese.
Restando nel Far East (+27,4% in valore globalmente) torna a crescere la Corea del Sud (+22,5%) dopo la battuta d’arresto del 2021 che aveva interrotto la lunga striscia positiva del decennio precedente; bene il Giappone (+25,5% in valore), che presenta però, così come Hong Kong, un gap considerevole col pre-pandemia.
Confortanti anche i dati sul Medio Oriente, dove svettano gli Emirati Arabi (15° mercato, in aumento del +68% in valore e del +49% in quantità su gennaio-settembre 2021).Tornando nel Vecchio Continente, tra i membri della UE27 cresce del 26% la Germania (+18% in paia), da sempre uno dei principali clienti delle calzature Made in Italy (è il secondo in termini di volume); positivi anche altri importanti sbocchi comunitari, quali Spagna (+23% circa in valore), Paesi Bassi (+36%), Polonia (+16%) e Belgio (+19%), tutti già abbondantemente oltre i numeri pre-Covid. Riparte l’export verso il Regno Unito (+23% in valore e +1,6% in quantità) dopo il crollo dell’ultimo biennio, successivo all’uscita dall’Unione. Le cifre attuali restano comunque marcatamente inferiori a quelle 2019: -29% in valore e -39% in volume.