Non stupitevi di trovare i libri di Kader Abdolah, scrittore iraniano, in una casa editrice specializzata in letteratura dell’Europa del Nord qual è Iperborea. Piuttosto, nel comprendere perché Abdolah, pseudonimo di Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, abbia deciso di scrivere in nederlandese, perfezionando la sua espressione letteraria fino a ottenere per il suo La casa della moschea (2006) il riconoscimento di secondo miglior romanzo olandese, ritorniamo a questioni di grande importanza quali la letteratura della diaspora e le identità ibride, già fatte proprie dal postcolonialismo, nel quale linguaggi e mondi si intrecciano e si arricchiscono reciprocamente, meticciandosi.
L’esule iraniano che scrive in olandese
Abdolah, esule dall’Iran, ha deciso di esprimersi in nederlandese per una necessità quasi imperativa di prendere così le distanze dal suo paese, dal regime degli ayatollah e dal trauma dell’esilio. Nel corso degli anni si sono succeduti numerosi romanzi, tutti di grande bellezza, che alternavano narrazioni sull’Iran degli avi a quelle sulla diaspora, l’esilio e l’immigrazione.
L’ultimo arrivato è Uno scià alla corte d’Europa (pp. 488, 19,50 euro) nel quale il percorso di un immaginario scià di Persia, ricomposto da diari reali di sovrani persiani, attraverso l’Europa, alla fine dell’Ottocento, si intreccia con la ricerca di un docente universitario, Seyed Jamal, dietro il quale è lo stesso scrittore a parlare, non solo sulle tracce dello Scià ma anche di quelle dei rifugiati siriani e di altri immigrati ed esuli come lui, financo testimone della caccia a Mehedi Nemmouche, il terrorista dell’Isis autore dell’attentato al Museo ebraico di Bruxelles nel 2014.
Un’affascinante storia d’altri tempi
Affascinante è la storia dello Scià Nadir, che parte con un imponente e barocco seguito di principi, servitori e mogli, passando dalla Russia, la Germania, il Belgio, l’ Inghilterra, per finire in Francia, incontrando grandi sovrani destinati a tramontare come lui, e scontrandosi al tempo stesso con i progressi della civiltà, quali la stampa, il telefono, la fotografia, il comunismo e… il gabinetto.
Complessa la sua figura: incrocio tra un despota orientale onnipotente, dall’insaziabile fame di donne – ha trecento mogli e settecento figli – capace tanto di fredda spietatezza quanto di inattesa tenerezza, come quando raccoglie il segreto di Leopoldo II del Belgio, responsabile di aver causato la morte del figlio in tenera età.
Personaggio comprimario è Banu, la sua moglie più amata, donna colta e intraprendente, che pure lo Scià ad un certo punto inizia a detestare, poiché gli fa ombra con la sua intelligenza. La narrazione non ha una trama serrata, piuttosto va goduta momento per momento, con quello stile tutto orientale che privilegia i singoli episodi all’intreccio complessivo. E infatti i capitoli vengono definiti hekayat, termine che si potrebbe tradurre con storielle o aneddoti esemplari. Anche questo stile profondamente radicato nella tradizione musulmana.
In sintesi, un grande scrittore europeo
Il libro è al tempo stesso umano è militante, poiché pur cogliendo la spietatezza del potere, non rinuncia per questo a riconoscere la fragilità, l’empatia, la cortesia che vi possono essere in ogni uomo. E coglie al tempo stesso la spietatezza e l’umanità del presente, in quei migranti ed esuli che vengono spesso dal potere disprezzati, e che vagano con le loro ferite alla ricerca di una nuova casa, come ha fatto lo stesso Abdolah, dimostrando che un innesto fertile può arricchire un paese contribuendo alla sua cultura e alla sua gloria. Gli xenofobi si rassegnino. Kader Abdolah, nato in Iran, è oggi uno dei più grandi scrittori europei.