“Zumpa, zampette, calcagnette.
Dammi la mano c’aggia zumpà;
e cuscin’ e matarazz’
la Madonna m’n piglia ‘mbrazz’”.
…e giù a scavezzacollo sul cumulo di paglia, odorosa di sole, di erbe, di grida gioiose, ammassata nel pagliaio, a ridosso del poggio. Poi di nuovo in cima per riprendere la caduta. Le pagliuzze seriche si infilava dappertutto ed era un grattarsi fino a sera.
In autunno correvamo a piedi nudi nella terra arata di fresco, nera come la pece, e impregnata di pioggia e di vento, fasciava i piedi a mo’ di zoccoli. D’inverno, poi, chiusi in pastrani sempre troppo grandi, passati da generazioni in generazioni di figli, uscivamo con il freddo o il gelo a cavare creta nelle forre lungo le fiumare, per costruire i pupazzi per il presepe, o a raccogliere muschio e agrifoglio…
Tutto questo rincorre la mia mente, seduta nella littorina, lenta come il tempo della mia maturità, mentre torno al paese. Dopo l’ultima curva appare la stazioncina. Quella almeno non è cambiata, coperta, ora come allora, da oleandri. Dietro s’intravedono gli ipocastani secolari nel vialone della Fontana.
Chissà se l’acqua è sempre gelata!
Francesca Amendola
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