Claudio pensava alla felicità provata da ragazzino correndo su e giù per i colli bolognesi, tra querce e vigneti, superando terreni in discesa e casolari in salita. “Scuola Media Tamburi” era la destinazione scritta in una lettera del Ministero dell’Istruzione, con quel treno lasciava “Via Indipendenza” dove una ragazza dai capelli biondi conosciuta sotto i portici di San Luca e un accogliente appartamento di proprietà lo aspettavano tutte le sere.
Appena sceso Claudio alzò lo sguardo sopra la stazione deserta ma vide soltanto due gru immobili, giganti sterili tra baracche desolate. Prese un piccolo autobus blu prima di giungere al suo nuovo appartamento in affitto. La periferia metropolitana si mostrò a Claudio pregna di fabbricati diroccati, monumenti sporcati dalle esalazioni dei gas di scarico, strade dominate da una superbia meccanica frustrata per la velocità ridotta.
Aziende agricole e campi da dissodare invasi dal cemento, dalla terra non più frutta e verdura, sostentamento dell’uomo ma traffici commerciali, cantieri abbandonati, officine chiuse. L’angoscia aveva invaso quei muri, lasciando i suoi abitanti nel bisogno di un aiuto che il pudore non permette di chiedere.
Tanti chilometri per una sola classe ma una laurea in “Scienze delle Attività Motorie” doveva divenire mezzo d’insegnamento, non voleva che l’educazione fisica fosse solamente un passatempo per perdere due ore.
All’appello del primo giorno risposero solo tre ragazzini su quindici.
«Sono malati professore» – replicarono i compagni.
Claudio non fece troppe domande, con i tre rimasti data la calura andò al campo sportivo comunale: una recinzione divelta, l’anello della pista pieno di erbacce, la sabbia del salto in lungo zeppa di escrementi, nella zona adibita al lancio del peso gli abitanti del rione avevano ricavato una piccola discarica privata. Sembrava tutto abbandonato come se nessuno utilizzasse quelle strutture da anni.
Guardò le nuvole grigie e sospirò: «Dove andate a giocare?»
«Nel boschetto della chiesetta di Santa Barbara» – risposero all’unisono.
«Andiamo là di corsa» – perché nel vuoto metropolitano se corri hai sempre qualcosa da fare, pensò.
All’appello del secondo giorno risposero i soliti tre ragazzini.
E così il giorno seguente.
All’indomani gli si avvicinò il bidello: «ancora tre oggi?»
«La febbre quest’anno è terribile» – sorseggiando un caffè.
«Lei non ha ancora capito» – scuotendo la testa.
Il giorno dopo si recò dal bidello che stava spazzando per terra: Cosa non ho capito ?
Si fermò, aspettò un attimo e con le spalle girate: Apra quella finestra, cosa vede ?
«Vedo solo strutture sportive in sfacelo» – rispose Claudio.
«Qui è la cosa meno importante! Ciò che conta è sopravvivere» – e se ne andò.
Tornato a casa mise le scarpe da ginnastica ed iniziò a correre a perdi fiato: l’angoscia lo stava avvolgendo piano piano, ad ogni semaforo il suo sguardo si soffermava su vetrine accatastate, serrande abbassate e giardini anonimi. Insegne pubblicitarie infestavano vecchi caseggiati e catene d’abbigliamento orientali imponevano i loro marchi a migranti d’ogni nazione, dovute dovizie sulle loro apparenze. Tutto sembrava appiattito al richiamo della globalizzazione.
Dalla vetrata di un Fast Food due ragazze giocavano con il ketchup delle patatine fritte lasciando intravedere le giovani gambe. Dietro di loro, una madre stava ripulendo la bocca del figlio dalla salsa grondante di un hamburgher spezzato in due.
Poco più avanti delle bianche seggiole di plastica ospitavano divoratori di kebab, in piedi dietro al bancone, davanti alle loro bottigliette di birra d’importazione, avventori in ciabatte e telefonino esultavano ai gol in TV.
Alla fine della strada donne in tailleur, sedute comodamente su poltroncine imbottite, sceglievano abiti scollati per compiacere la borghesia di un marito che nella notte imprimeva sul marciapiede miseri bagliori stillati di lacrime.
Uscì dal centro, prese una strada sterrata, l’oscurità avvolgeva l’andatura sempre più veloce delle sue gambe, chi corre non cede mai al giorno come alla notte… ed infine eccolo… il mostro. Le luci dei lampioni rendevano incandescenti i tubi d’acciaio mentre i fari sprizzanti delle macchine illuminavano le sue mura di cemento. Il mostro aveva alte ciminiere bianche e rosse che spruzzavano fumi acidosi per oscurare la luminosità delle stelle. A Bologna, come Dante, di torri così ne aveva già viste ma quelle respiravano, invadevano il cielo sporcando con la loro lordura quell’aria che ancora non si poteva fatturare.
Il mattino seguente andò dal preside: Perché mi avete chiamato ?
«Si sieda» – interrompendolo – «Io sono nato qui e mi ritengo fortunato ad insegnare ancora. La centrale nasce nel dopoguerra, il boom economico lo chiamavano, in questa terra solo povertà, campi incolti a pochi latifondisti e tanta gente con la fame negli occhi. Ad una richiesta di bisogno si rispose con l’industrializzazione forzata, con qualche pianta in meno ma con più lavoro alla gente. Ora ti chiedo, c’è errore in tutto questo ? Il fumo esce di notte e di giorno si deposita sui terreni e s’infiltra nelle acque. Qui c’è lavoro solo nella centrale, tutti gli insegnanti chiedono il trasferimento. Io sono rimasto». Poi alzandosi verso la finestra: «Guardo fuori ed ogni giorno vedo il mio fallimento, una scuola senza classi con alunni che partono dalla prima e non sanno se arriveranno in terza».
«Lei vuole la sua classe» – disse guardandolo negli occhi – «tre già li conosce, gli altri sono dodici come gli apostoli: Filippo affetto da un tumore al cervello che gli ha fatto quasi perdere la vista, Nicola con un carcinoma gastrico, Stefano dall’anno scorso convive con un tumore alla ghiandola salivare della bocca, Piero ha tumore allo stomaco con Luisa ha una malformazione genetica metastasi polmonari, alle gambe e non riesce più a fare un passo dopo l’altro, Marina malata di leucemia a stento si regge in piedi». – Claudio ascoltava in silenzio quell’elenco avvelenato – «Antonio cancro alla pleura, Benjamin cancro al colon retto, Valentina mesotelioma ai polmoni mentre per Simone è stato sorteggiato un mieloma multiplo, Anna ogni santo giorno convive con una paresi alla gamba ed al braccio destro per concludere con il linfoma di Hodgkin di Lara… Eccola la sua classe».
Claudio si alzò e si mise a piangere, come da tantissimo tempo non gli capitava.
Tornato a casa si rimise le scarpe da ginnastica ed iniziò a correre, come se fosse una terapia, la testa gli fremeva, quei nomi, si ripetevano nella sua mente… rifiatò vicino ad un muro dove lesse un necrologio consunto dalla pioggia: Lorenzo… anni 13… funerali…partiranno da via Art…Gentileschi, 77…
Raggiunse quella casa, è lì che la corsa lo aveva spinto: «Buonasera, mi chiamo Claudio, sono appena arrivato alla scuola».
«E’ la prima volta che un insegnate viene a trovarci… lei da dove viene?» – domandò un giovane uomo.
«Da Bologna» – risposi.
«Ricordo la grande piazza piena di ragazzi felici mentre io mi dirigevo alla caserma Minghetti per i “tre giorni”… meglio ballare che sparare sa? Educazione fisica ha detto… io da giovane ero un buon velocista, certo non ero Mennea…» – passandogli una foto da giovane con pantaloncini gialli e una pettorina nera con una folgore al centro – «questa era la mia squadra, è tanto che non guardo questa fotografia … l’ultimo anno in batteria non riuscivamo neanche a riempire le corsie».
Dalla cucina arrivò la moglie: «Lorenzo è stato all’ospedale pediatrico come tutti, da giovani mamme felici a madri addolorate, la sua classe è tutta in una stanza per nascondere la vergogna delle nostre scelte. Non è riuscito a finire la seconda media…» – iniziando a piangere.
«Mi dica lei che ha studiato… come può sentirsi un genitore che lavora in un forno che alimenta quelle ciminiere che hanno seppellito nostro figlio. Mi dica se questo è un padre che non riesce a tenere in braccio suo figlio perché gli si spezzerebbe tra le braccia».
«Mi dica se questa è una madre» – continuò la moglie – «che non riesce ad allattare suo figlio perché il suo seno è stato asportato all’età di 20 anni! »
Si svegliò con ancora i pantaloncini addosso, la televisione rimasta accesa annunciava la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024.
Claudio si alzò di scatto, le scarpe da ginnastica le aveva già ai piedi e decise che doveva pensare… correndo.
Non poteva sopportare l’idea che ragazzini così piccoli dovessero rinunciare alla gioia dello sport, ma gli occhi di quell’uomo e di quella donna, senza speranza… ma c’erano le Olimpiadi… che sono speranza… questi pensieri si accavallavano nella mente senza un preciso rigore logico, cercava ad ogni respiro un filo per ricongiungere quelle parole… all’improvviso si fermò… e se Roma vincesse ?
Il lunedì mattina con il preside e i tre alunni andarono all’ospedale. Il dottore aprì la porta: «professore ecco la sua classe!
Buongiorno a tutti, mi chiamo Claudio e sono il vostro insegnante di educazione fisica. Sono qui insieme ai miei tre assistenti Andrea, Mario e Marco perché dobbiamo allenarci… il preside vuole creare una squadra sportiva vincente!» – disse con voce squillante.
«Ma professore noi non possiamo muoverci» – rispose con voce soffocata Stefano.
«Con la fantasia andrete ovunque, allora buon allenamento ragazzi!» – esclamò il preside.
«Io vorrei andare in barca» – «Allora diverrai canottiere».
«A me piacciono gli indiani» – «Il tiro con l’arco sarà il tuo sport».
«Io voglio correre – «Ed affronterai una lunga maratona».
«Non ho mai fatto un salto professore» – «Adesso li farai verso l’alto».
«Io sono capace di nuotare» – «E continuerai a farlo in una lunga vasca».
«Io sono il più forte di tutti» – «Sul tatami lo dimostrerai».
«Voglio essere come Rocky» – «Lo sarai sopra un ring».
«Io non sono forte a me piace studiare storia» – «Ma lo diventerai con la lotta greco romana».
«Professore non sono mai andata al circo» – «Non preoccuparti con la ginnastica diventerai un’acrobata perfetta».
«Chi è tra voi che parla più velocemente ?» – «I cento metri sono per te».
«A chi piace mascherarsi?» – Marina batté la mano sul letto – «Diverrai un’abile fiorettista. «Manco solo io signor professore» – disse Luisa – «Non riesco a fare niente ma mi piacerebbe che questo letto fosse sopra una spiaggia per poter vedere il mare tutti i giorni» – «Ti prometto che sulla sabbia ci atterrerai dopo un lungo volo in aria».
Claudio finalmente sorrise, la prima volta da quando era arrivato in quella strana città.
Il giorno dopo ritornò: «Bene ragazzi, oggi inizieremo ad allenarci. Io vi racconterò delle storie di grandi atleti che hanno vinto le Olimpiadi. Voi dovrete immaginare di essere lì al loro fianco mentre gareggiano. Poi penserete alla vostra storia di sport e racconterete la vostra gara ad Andrea, Marco e Mario che la scriveranno su dei cartelloni che faremo appendere qui, metteremo anche delle fotografie e dei ritagli di giornale.
Devi sapere Piero che gli Abbagnale erano due fratelli che insieme al loro amico Giuseppe da Castellammare di Stabia, vicino a Napoli, andarono a vincere due ori olimpici dall’altra parte del mondo, a Los Angeles e a Seul. Nel canottaggio ci sono due vogatori e un timoniere. Ora devi immaginarti lì con loro mentre le altre imbarcazioni ti vogliono superare, è faticoso, ma tu non molli, e continui a vogare con più forza…» «e poi professore» mi chiese Piero? – «ora devi continuare tu la tua storia, sei tu, anzi tutti voi dovete allenarvi se non volete essere bocciati» – ribadì alla classe. «Tu Stefano sarai con Marco Galiazzo in pedana nel 2004 ad Atene per vincere la medaglia più luccicante. Hai l’arco in mano, sei solo, intorno solo silenzio, ti mancano pochi tiri per battere l’arciere giapponese, c’è tensione nell’aria, devi fare centro, non puoi sbagliare… Antonio tu sarai con lui ad Atene, il 29 agosto entrerai con la folla urlante dentro lo stadio Panathinaiko insieme al reggiano Stefano Baldini, mancano pochi metri, hai la fronte piena di sudore, hai corso 42 km, sei stanchissimo, gli avversari ti stanno raggiungendo, il marmo degli spalti brilla alla luce del sole, le gambe sono pesanti, ma tu resisti… A Mosca nel 1980 una ragazza come te, Anna, riuscì a saltare un metro e novantasette centimetri, è come se saltassi sopra la mia testa, Sara Simeoni nel corso della sua carriera fece numerosissimi salti arrivando persino a sorpassare i due metri. E’ la XXIIª Olimpiade, è il salto della tua vita, ti sei allenata tutto l’anno, ed ora sei lì ad un salto dalla storia… Valentina, puoi metterti il costume perché andrai in vasca con una ragazza bionda, Federica Pellegrini che a Pechino nel 2008 nei 200 metri stile libero fu la prima italiana a vincere l’oro olimpico. Devi imparare a galleggiare, a non temere l’acqua, a muovere gambe e braccia più veloce delle tue avversarie, ora sei sul blocco di partenza, indossi una cuffia con la scritta ITA, cioè Italia, perché stai difendendo il tuo paese, sei pronta a tuffarti ? Sul tatami di Mosca Ezio Gamba vinse la categoria dei 71 kg battendo un judoka inglese, Mosca si trova in Russia e lui finito di combattere è diventato proprio allenatore di quella nazione, ora Filippo ti sei messo il kimono, allacciato la cintura, il tuo avversario prima del saluto ti guarda negli occhi, vuole vincere lui l’oro, ma non glielo permetterai… Benjamin tu vieni dall’Africa, una terra lontana, come fece Muhammad Ali, che dall’America venne a Roma nel 1960 per vincere, ora stai saltellando insieme a lui, stai studiando l’avversario, lui vuole metterti a tappeto… Nicola, “pollicino” era il soprannome di Vincenzo Maenza, alto poco più di te, ma aveva una grande forza, tanto da riuscire a battere tutti i suoi avversari a Los Angeles come a Seul, non devi avere paura, devi stare concentrato per atterrare il tuo avversario… Tu volteggerai perfettamente accanto a Nadia Comaneci, una ragazzina che nel 1976 a Montreal vinse 3 medaglie d’oro, nelle sezioni parallele, individuale e sbarra, dovrai essere elegante e leggera come lei, 4 anni dopo ne vinse due al corpo libero ed ancora alla trave, se vuoi prendere un dieci devi studiare molto, giusto Lara ? Qui invece serve duro allenamento… Simone se non sai dove si trova la Giamaica lo imparerai correndo più veloce del vento con Usain Bolt, detentore di sei ori olimpici, tre a Pechino e tre nel 2012 a Londra, dovrai scattare, allungare la falcata, e guardarti dalle corsie a fianco perché faranno di tutto per superarti, ma tu sei una scheggia e non li lascerai passare… Marina tu sarai vestita di bianco e salirai in pedana con Diana Bianchedi, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali, la formazione femminile di scherma che vinse l’oro a Sydney in Australia nel 2000, con il fioretto dovrai sorprendere le avversarie per portare più punti possibili alla tua squadra, dovrai essere con loro se vorrai vincere… ed infine Luisa dovrai prendere una lunga rincorsa e lanciarti verso l’alto, farai un salto poderoso come capitò a Barcellona nel 1992 alla tedesca Heike Drechsler, con lei ti alzerai in volo e potrai vedere tutte le volte che vuoi la profondità del mare e l’infinità delle sue onde».
Studiando le Olimpiadi riuscirete a viaggiare per tutto il mondo, conoscerete ragazzi e ragazze di ogni nazione, se sarete lì, vicini l’uno all’altro non ci saranno avversari perché diventerete compagni di sport, compagni di Olimpiadi, compagni di amicizia.
E’ l’ultimo giorno di scuola, è stata organizzata una festa serale nel cortile, ad un tratto si accende un proiettore: appaiono i bambini vestiti da canottiere, arciere, maratoneta, saltatrice in alto, nuotatrice, judoka, pugile, lottatore, ginnasta, centometrista, fiorettista e saltatrice in lungo. All’improvviso da un altoparlante: «Signore e Signori la squadra olimpionica della “Scuola Media Tamburi”!».
Iniziarono a raccontare le loro storie… un lungo applauso bagnato di lacrime accompagnò quelle immagini. Poi in un secondo filmato si videro Andrea, Marco e Mario, cimentarsi nelle discipline raccontate dai loro compagni per testimoniare cosa si prova ad avere un remo in mano, a scoccare una freccia, a correre per strada, ad atterrare sopra un materasso con gli occhi al cielo, ad avere l’acqua negli occhi, a combattere con i piedi nudi, ad avere i guantoni nelle mani, a camminare sopra una trave, a tagliare il traguardo chinando la testa per terra, a respirare dentro una maschera e ad affondare il palmo della mano nella sabbia.
Infine si vide inquadrato il primario dell’ospedale mettere una medaglia d’oro al collo degli atleti di quella piccola squadra tutta speciale. Claudio se ne stava lì in disparte ad osservare la sua classe. Lo spettacolo della sua classe. Alla fine l’altoparlante chiamò l’allenatore al centro del cortile, Claudio s’inchinò davanti a quella gente che non conosceva ma che lo stava applaudendo: «tra noi manca un’atleta, vinsi questa medaglia tanti anni fa, voglio donarla ad un uomo ed a una donna che mi hanno insegnato cosa significa amare il proprio figlio. Questa è per te Lorenzo».
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PS. Notiziario delle 20.00: Dopo cento anni le Olimpiadi torneranno a Parigi.
Eros Teodori