Kito, Aza e il piccolo Issa guardavano stupefatti l’imponente nave che li avrebbe ospitati,
mentre la raggiungevano a passo veloce.
Il capitano li accolse davanti alla scaletta di imbarco, dandogli il benvenuto e invitandoli a
salire; Kito lo ringraziò con calore, in somalo. Sul ponte erano attesi da un interprete che gli
rivolse delle domande, e da alcune volontarie che annotarono le risposte e li accompagnarono
alla cabina.
Una pioggia leggera cadeva da ore.
* * *
Poco distante dalla scaletta, Jafet osservava la moltitudine di migranti che transitavano sulla
banchina: molti sembravano felici e speranzosi, altri incerti e timorosi, i più stanchi e disillusi.
Al di là del varco di ingresso si affollavano curiosi e un gruppo di militanti xenofobi.
«Potevano risparmiarsi di venire» disse Jafet, amareggiato dagli slogan che urlavano.
«La sentono come una loro vittoria e vogliono godersela fino in fondo » rispose il
comandante della capitaneria di porto.
Notarono che il capitano stava discutendo con due persone. «Mi dispiace, la nave è
riservata ai migranti» diceva con gentile fermezza.
«Ma Kanika sta con me, vive a casa mia!» protestava l’uomo, mentre la compagna faceva
altrettanto nella propria lingua.
«Purtroppo non sono possibili eccezioni» replicò il capitano e cercò lo sguardo di Jafet,
che confermò il diniego con un cenno del capo. «Lei può scegliere di restare qui, ma sarà
comunque espulsa; conoscete le nuove disposizioni del governo».
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La pioggia cresceva di intensità e il vento soffiava sul mare mosso.
«Come vi regolerete con l’uragano?» chiese il comandante a Jafet.
«Abbiamo buone probabilità di evitarlo».
Il comandante si voltò a guardare la nave. «Siete davvero convinti di potergli offrire una
vita migliore?»
«Mio padre lo è».
«Spero che sappiate ciò che fate; non so proprio quanto potrà durare questo esperimento di
comunità itinerante a bordo di una nave» disse il comandante, osservando il vecchio a prua
che scrutava le nuvole nere all’orizzonte. «Comunque vada, voglio ringraziarvi per l’aiuto che
avete dato a questi sventurati. Lei forse non lo sa, ma sono un sostenitore della vostra
organizzazione».
«Allora l’aiuto glielo abbiamo dato insieme» rispose Jafet sorridendo.
Sentirono ancora discutere e videro che l’interprete, sceso dal ponte, tentava di mediare tra
un uomo che parlava in modo concitato e il capitano che ripeteva: «Un solo bagaglio a
persona».
«Cosa succede adesso?» domandò Jafet a voce alta.
L’interprete gli si avvicinò, seguito dall’uomo, che trascinava dei sacchi, e da due bambine.
«Muenda vuole portare quattro sacchi di effetti personali» spiegò, mentre l’uomo assentiva.
«Tre sono per sé e le figlie, uno è per la moglie Faizah. Lei è morta durante il viaggio che li ha
condotti qui dalla Nigeria: gli scafisti l’hanno violentata e uccisa, e Muenda non ha potuto
reagire, altrimenti avrebbero fatto del male anche alle bambine. Muenda vuole conservare le
cose della moglie per ricordo e in segno di rispetto, così Faizah sarà sempre con loro».
«Va bene, Cam, può tenere il sacco in più» disse Jafet.
* * *
La pioggia scrosciava.
Il comandante della capitaneria salutò Jafet e il capitano, e se ne andò.
L’ultima a imbarcarsi fu Kanika, persuasa a fatica dal compagno, che salutò con un lungo
abbraccio.
2
Il capitano vide il vecchio a prua sventolare le braccia. Si avvicinò a Jafet e disse: «Papà ha
fatto cenno di partire.
«Andiamo, Sem» rispose Jafet guardando il cielo. « E speriamo bene».
Poco dopo, l’Arca salpò.
Luca Spatocco