La piaga contagiosa dei Child Beauty Pageants

Fino ad alcuni anni fa, i concorsi di bellezza per bambini erano considerati un fenomeno tipicamente americano, ma di recente anche l’Europa e l’Italia hanno conosciuto la moda dei “Child Beauty Pageants”.

I Child Beauty Pageants d’oltreoceano sono concorsi di bellezza destinati a bambine di età compresa tra i pochi mesi di vita e i 16 anni. Alcune competizioni pretendono che le ragazzine si mostrino mantenendo le caratteristiche tipiche della loro età, ma la maggior parte dei contest funziona diversamente: la fase preparatoria comprende estenuanti sessioni di trucco, acconciatura dei capelli e spray abbronzante; il concorso vero e proprio comincia con una dimostrazione d’abilità (esibizione canora, coreografia di ballo, spettacolo di magia e molto altro ancora), frutto di ore ed ore di allenamento, condita da studiati ammiccamenti da donna navigata; seguono sfilate in abiti a dir poco pacchiani da reginetta del ballo e persino in costume da bagno, per finire con l’incoronazione della vincitrice. I giudici non si limitano a valutare il fattore estetico: la “merce” viene esaminata con accuratezza, misurandone anche carisma, eleganza e femminilità, consolidando così il concetto di figura femminile come oggetto sessuale e di conseguenza tutta una vastissima gamma di stereotipi conservatori. Solitamente il premio consiste in una somma di denaro, che i genitori reinvestono per iscriversi ad altri concorsi o acquistare nuovi abiti di scena.

Il mondo dei concorsi di bellezza per bambini ha conosciuto anche casi di cronaca nera: il più celebre riguarda la piccola JonBenet Ramsey (1990-1996), giovanissima reginetta di bellezza trovata morta nella cantina della villa di famiglia col cranio spaccato e una corda di nylon intorno al collo. L’autopsia rivelò tracce di abusi sessuali, ma non di violenza completa, e stabilì che la morte fosse avvenuta per strangolamento. Il colpevole non è mai stato individuato, ma il dubbio che la partecipazione ai Beauty Pageants abbia influito sulla morte di JonBenet è balenato nei pensieri di molti.

Una protesta negli Stati Uniti
Una protesta negli Stati Uniti (dal web)

Il rischio principale in cui incorrono le piccole partecipanti ai Beauty Pageants consiste, ovviamente, in una prematura emulazione della maturità sessuale degli adulti: in quella fascia d’età in cui la principale preoccupazione dovrebbe essere la scelta del nome della propria bambola, catapultare sotto i riflettori una bambina conciata come Dolly Parton alle prese con un concerto nel Tennessee, tutta ciglia finte, tutine aderenti e scarpette col tacco, può provocare non solo danni alla salute, ma soprattutto profondi e persistenti turbamenti della psiche. Non è da sottovalutare neppure il fatto che tali competizioni possano fornire materiale al mercato della pedofilia. Nonostante la pioggia di critiche e i tentativi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso la diffusione di documentari come “High Glitz” o film come il meraviglioso “Little Miss Sunshine”, negli Stati Uniti il fenomeno non sembra destinato ad affievolirsi.

In Italia la situazione non ha raggiunto i livelli allarmanti degli USA, ma i concorsi e i casting per bambini (nel Bel Paese maschi e femmine in egual misura) sono numerosi e generalmente finalizzati ad incanalare i partecipanti nell’industria della moda, nel cinema o nella tv. Le competizioni sono spesso organizzate a livello locale, e il canale principale attraverso cui vengono pubblicizzate è Facebook. Le mamme si nascondono dietro ad affermazioni come “Il bambino si diverte” o “Si tratta solo di un gioco”, ma in realtà la noia e il malcontento di bimbi costretti a sfilare e a prestarsi a servizi fotografici sono piuttosto evidenti.

La diffusione del fenomeno non è passata inosservata: esiste persino una petizione per chiedere l’intervento del Garante dell’Infanzia e stroncare il fenomeno prima che prenda piede. La Francia è già intervenuta, approvando una legge che vieta questo tipo di concorsi.

È impossibile non percepire qualcosa di profondamente sbagliato osservando questi piccoli miss e mister appariscenti e carichi di competizione atteggiarsi come adulti, ma soprattutto viene da chiedersi come i genitori possano permettere cose del genere: eppure sono proprio loro a decidere di plasmare i figli a immagine e somiglianza di ciò che sarebbero voluti diventare, nel tentativo di ottenere una sorta di riscatto sociale attraverso di loro.  Probabilmente si tratta persino di madri e padri che si scandalizzano pensando ai bambini del Bangladesh costretti a cucire palloni da calcio, senza rendersi conto che, seppur con altri mezzi, anche loro stanno rubando l’infanzia e la spensieratezza dei figli.

Annalisa Sichi

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