La scultura filosofica di Federico Severino. Fino al 28 giugno, a ingresso libero, nelle sale rinascimentali dello studio Marcello Tommasi di Via della Pergola. Dal martedì al sabato, in orario 15-20.
In un’epoca in cui il mondo dell’arte è ormai preda del caos mediatico, della vetrina per la vetrina, di patetici teatrini a sfondo personale, è piacevole imbattersi talvolta in un pensiero artistico sommesso, portato avanti con modestia e coerenza, e incuneando stili e concezioni artistico-filosofiche del passato nel sentire contemporaneo. Creare con le proprie mani, ignorando i programmi di grafica informatica e gli apparecchi video, rimanda a una concezione artistica genuinamente primitiva, legata alla filosofia presocratica dei quattro elementi. E invero il bronzo, con la sua primitiva scurezza quasi vulcanica, è materia artistica per eccellenza. È quanto emerge dall’opera scultorea di Federico Severino, attualmente visibile con Stravaganze poetanti con divertimento ma non troppo, piccola ma raffinata mostra che si fa scrigno prezioso di nove sculture inedite in bronzo policromo con patina a fuoco realizzate per l’occasione, da cui emerge il sincretismo figurativo tra estetica occidentale e orientale, fra pensiero classico greco e la danza ascetica dell’India dei Veda, fra il cupo edonismo etrusco e il senso esoterico della femminilità simboleggiato nella testa di Medusa.
Nove sculture bronzee che esprimono un’aspra, arcaica bellezza, quella stessa bellezza dei versi poetici di Anassila e Mimnermo. Si avverte, in queste sculture, il senso del tempo che scorre, apparentemente fermato nella materia bronzea, ma che invece ci appare nei volti intensi, quasi tutti femminili. Un tempo che scorre dolcemente tiranno, sensualmente saturnino.
In quel suo guardare alla Grecia Antica attraverso le sue sculture, Severino ne riecheggia anche il pensiero filosofico, ma lo fa con quella leggere eleganza che fa il paio con la plasticità delle sue forme bronzee. Non sentendosi un intellettuale, ma un artista che fa semplicemente il suo mestiere, non cerca d’imitare i pensatori, pur essendo un filosofo lui stesso. Poiché, volendo parafrasare Oscar Wilde, l’arte è qualcosa di seriamente inutile, Severino si accosta a Parmenide che non cerca l’archè, ma si occupa dell’essere, e all’idea aristotelica secondo la quale la partecipazione spiega l’essere e il predicato, con una giocosa ironia mediata da una componente affettiva verso il soggetto rappresentato. Il riferimento all’essere è legato all’interesse per il contenuto, a prescindere dal predicato, che, secondo Aristotele, può costituirne o meno la definizione. Le sculture di Severino non sono legate all’essere assoluto, ma a quello relativo dell’individuo, raffigurato ora con la grazia della Grecia o dell’Etruria Antica, ora con la pensosità di Rodin
Un particolare colpisce in questi volti scolpiti: il loro sorriso fuori dal tempo e dalla storia, umano e divino insieme, che è anche un saper guardare all’aldilà con la sensibilità epicurea. Proprio per la voluta mancanza di una dimensione assoluta, queste opere esprimono con garbo l’idea della finitezza umana, ma lo fanno ricordandoci comunque i piaceri terrestri, ch siano quelli dell’amore di coppia, della danza, dell’abbandono mistico.
Particolarmente suggestiva, la scultura di ambiente indiano che ritrae una danzatrice del Gandara (nella foto), una regione che fu, dal I al V secolo dopo Cristo, un centro politico, culturale e soprattutto religioso di grande importanza, di cui si conservano pregevoli testimonianze artistiche, espressione di alta ispirazione religiosa. Nella sua plastica posa con le braccia al cielo, e il piccolo maestro alato al suo fianco, la danzatrice racchiude gusto ellenistico e gusto orientale, personaggio metaforico e reale insieme.
Un’arte, quella di Severino, dell’uomo per l’uomo, legata alla tradizione del figurativo arcaico, che si fa portatrice dell’antica sapienza del Mito, e che muove a guardare le stelle.
Niccolò Lucarelli