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La vendetta di Viktor (Luca Giarmanà)

Fece il suo ingresso in taverna senza tante cerimonie, lasciando che i battenti della porta scricchiolassero producendo un suono sinistro, prima di scontrarsi con il muro dell’edificio. Fuori pioveva, come dimostravano gli stivali sporchi di fango con i quali lasciava impronte sul suo percorso. Si maledisse per la sua sbadataggine, dopo aver frugato nelle tasche delle sue braghe di cuoio per cercare invano la pipa. Sbuffò e si andò a sedere in uno dei pochi tavoli vuoti, appena nascosto nella penombra, illuminato appena da un piccolo cero che aveva oramai quasi esaurito il suo combustibile.
Starnutì, forse si era buscato un raffreddore. Indosso aveva solamente una camicia, e su di essa un mantello che gli copriva il capo e la schiena. Sbuffò ancora e spostò la testa prima da un lato e poi dall’altro, per sgranchirsi i muscoli. Poggiò i gomiti sul tavolo, e attese. Aveva imparato il valore della pazienza sin da quando era diventato un uomo di mare, ma adesso il tempo gli sembrava qualcosa di sfuggevole. Viktor era il suo nome. Una giovane fanciulla si avvicinò a lui, preparandosi a ricevere un’ordinazione. Egli distolse lo sguardo, voltandosi verso il muro, per non essere visto in faccia.
«Del vino.» disse soltanto. La ragazza sobbalzò un momento, la voce roca dell’uomo l’aveva quasi spaventata. Fu lieta di allontanarsi da quell’individuo che non ispirava certo fiducia. Viktor non ci fece caso, si limitò a osservarla con la coda dell’occhio mentre gli portava una caraffa con del vino e un boccale con cui servirsi.
«Servito.» disse sbrigativamente la ragazza, prima di ritornare ad occuparsi degli altri avventori. Viktor la guardò allontanarsi, con uno sguardo malinconico. Chissà, forse sua figlia sarebbe potuta diventare altrettanto bella. Scrollò la testa per scacciare i pensieri e si versò mezzo bicchiere di vino. Non aveva ancora ripreso pienamente l’articolazione dei propri muscoli, difatti un po’ del liquido gli cadde sul guanto. Lanciò un imprecazione a denti stretti e bevve tutto d’un sorso il vino. Si tolse il guanto, infastidito. Lo sguardo non poté non cadere ancora una volta sulla sua menomazione. L’intero dorso della mano aveva il colore del sangue rappreso, e il nero si alternava al rosa chiaro della carne, non coperta dalla pelle ormai da diverse settimane. Fortunatamente, il suo abbigliamento copriva il resto dell’ustione, che si estendeva per tutto il lato destro del corpo, fino alla testa. Il suo volto, sfregiato, era diventato motivo di vergogna e di rabbia al contempo. Ogni volta che si specchiava, gli tornavano in mente i momenti tragici che aveva vissuto poco tempo prima.
A distoglierlo dal suo peregrinaggio mentale fu l’ingresso in taverna del contatto che stava aspettando. Era un uomo basso, tarchiato e completamente calvo. Vitkor, dopo aver velocemente rindossato il guanto, gli fece un cenno e quello si venne a sedere al tavolo con lui.
«Ebbene?» domandò Viktor, mantenendo lo sguardo sul vino.
«Prima il denaro.» rispose l’altro uomo, sorridendo.
Vitkor si bloccò e lo fissò negli occhi. L’altro rispose allo sguardo, e non poté fare a meno di notare, nascosto dall’ombra del cappuccio, il terribile segno del fuoco sul suo volto.
«La procedura lo prevede, se non ti sta bene vado via.» continuò l’uomo, con un tono più incerto.
Viktor attese ancora un momento, poi estrasse dalla scarsella delle monete d’oro lucente e le consegnò all’individuo con cui aveva stretto l’ accordo.
Questi prese il denaro, avventandosi su di esso quasi fosse un cibo prelibato, e poi si rivolse al suo cliente.
«Ho svolto delle ricerche, come mi avevi chiesto. È stato più difficile del previsto. A quanto pare è stata una squadra mandata dai ribelli. Non so perché si trovassero qui in città, quel che è certo è che sono stati gli uomini del Conte a incendiare il porto.»
Non appena concluse la frase, nella mente di Viktor ritornarono vivide le immagini di quei tragici momenti.
«Non mi stai dicendo nulla di nuovo. Voglio un nome.» disse Viktor, cercando di mascherare il proprio disagio.
«Ne ho alcuni. Nidan, che pare fosse il capo di quella squadra, ma è morto durante la battaglia dell’Elt. Poi Kreyn, un sacerdote di Aoel. Tristan, una vecchia conoscenza della malavita. C’erano anche dei maghi, pare. Non è gente alla tua portata.»
«Decido io cos’è alla mia portata.» gli rispose Viktor, stringendo il pugno sinistro.
«Fa come ti pare, ad ogni modo quel che è certo è che adesso si trovano tutti a Sellen, a celebrare la loro ridicola vittoria. Alloggiano alla taverna del terzo cerchio. Li troverai sicuramente in quella città.»
«Bene. Addio.» Viktor fece per alzarsi, ma l’uomo lo afferrò per un braccio. Il gesto improvviso gli procurò una fitta di dolore, poiché aveva afferrato proprio l’arto che era stato bruciato durante l’incidente. Viktor lo fulminò con lo sguardo e strattonò via il proprio braccio, fece un passo indietro e fece correre rapidamente la mano verso il fodero della spada.
«Sta’ calmo e fa silenzio!» gli intimò l’altro uomo «Dove diamine credi di andare? Tutti i cittadini di Gadelth hanno perso l’accesso al Regno da quando la città ha dichiarato l’indipendenza. Senza un lasciapassare non potrai andare da nessuna parte.»
Viktor tentò di ignorarlo, ma il suo cervello ragionò sulla questione. Era vero. L’azione voluta dal Sovrintendente di dichiarazione unilaterale d’indipendenza l’aveva sorpreso positivamente, sebbene non fosse interessato alle vicende politiche, ma adesso avrebbe rappresentato soltanto un ostacolo alla sua vendetta.
«Come faccio ad ottenerne uno?» domandò.
«E io cosa ne so?» gli chiese di rimando il suo contatto, sorridendo beffardo.
Viktor, stufo di quell’ennesima dimostrazione di arroganza, con un rapido movimento estrasse un pugnale nascosto nella cintola e lo puntò alla gola dell’altro uomo, che impallidì.
«Fermati! Fermati!» disse l’uomo fissando il pugnale. Gocce di sudare cominciarono a scendere copiose dalla sua fronte, colando giù per il viso fino ad accumularsi sulla lama che premeva alla gola.
«Parla.» gli intimò Viktor.
«Non esiste una via legale per ottenerne uno, però conosco qualcuno del giro che può procurartene uno. Credo che si possa accomodare, con il giusto prezzo.»
Senza allontanare la propria arma, Viktor continuò a parlare fissandolo negli occhi. La cicatrice che aveva in volto lasciata dal fuoco, lo sguardo truce e il suo aspetto misterioso avrebbero instillato terrore anche al più temerario degli uomini.
«Tutto il denaro che avevo è servito per pagare te.»
«Allora credo si possa fare in un altro modo, non preoccuparti!» gli rispose repentino l’uomo, che continuava a gocciolare sudore «puoi fare un piccolo favore ai miei amici, ai quali devo un favore a mia volta, e loro in cambio ti forniranno un lasciapassare. Se ci stai, sappi che ti aspettano nella terza via dopo la piazza del mercato. Li riconoscerai senza dubbio.»
Viktor rimase un attimo interdetto, poi capì.
«Tu sapevi già che avrei avuto bisogno di tutto questo…» disse più a se stesso che al suo interlocutore, allontanando il pugnale dalla gola dell’uomo, che tirò un sospiro di sollievo e si massaggiò il collo.
«Con chi credi di avere a che fare?» disse, tentando di riacquisire una parvenza di autorevolezza «Ognuno bada ai suoi affari, e chi ha più ingegno la spunta.»
Viktor lo fissò un’ultima volta, poi si volse, lasciò qualche spicciolo sul banco per pagare il vino e uscì a grandi passi dalla taverna. Guardò in alto. Le nuvole coprivano la luna, occludendo la visibilità già ridotta a causa della pioggia. Si diresse verso il luogo che gli aveva indicato il suo contatto, senza riflettere se ciò che stesse facendo fosse saggio. Arrivato a quel punto, valeva la pena giocarsi tutto, non poteva più tornare indietro. Volse per un momento lo sguardo a est, e non poté fare a meno di osservare le impalcature dedite alla ricostruzione della zona del porto.
Lì, meno di un anno fa, sorgeva la sua casa. Sua moglie voleva che fosse sempre pulita, sebbene lui non riuscisse mai a rispettare il suo volere. Sorrise amaramente, pensando ai litigi avuti con lei durante la loro lunga convivenza. Ogni volta che tornava a casa, dopo settimane intere passate come marinaio della Zanna Lunga, non badava mai a ripulirsi gli scarponi. La moglie lo rimproverava, e lui cominciava ad alzare il tono della voce. La tensione scemava poi grazie alla sua gioia più grande, che irrompeva in cerca delle coccole del padre: Delisia. La sua piccola principessa, il suo gioiello più raro. Una bambina di soli sette anni non sarebbe potuta essere più bella. Non appena la visualizzò, la mente trasformò subito l’amorevole scena nel drammatico ricordo di quella sera. Lui, appena terminato l’ennesimo viaggio, nell’atto di scaricare gli ultimi barili di merci dalla nave aveva udito quel tremendo boato. Aveva poi indirizzato lo sguardo verso la fonte del frastuono e, sgomento, aveva visto le immense fiamme che si innalzavano da una nave ormeggiata poco distante dalla sua. Improvvisamente era suonato l’allarme, e un fortissimo vento aveva cominciato a soffiare da sud, con una potenza mai vista prima. In pochi minuti, il caos era scoppiato. Molti marinai si erano buttati in mare, in cerca di salvezza, rimanendo invece bloccati fra le imbarcazioni infuocate. Lui, come altri ancora, aveva corso invece verso la propria abitazione, che si trovava proprio nei pressi del porto. Aveva svoltato l’angolo e aveva visto la sua casa avvolta dalle fiamme. La sua casa, ereditata dal padre e mantenuta con tanta fatica, bruciava dalle fondamenta alla cima. Non ci pensò più di un attimo a precipitarsi dentro e cercare di tirare fuori la sua famiglia. L’immagine di sua moglie, rimasta bloccata tra due travi e trovata ormai carbonizzata, gli mozzò il fiato e il battito cardiaco. A riattivarlo in un istante fu il pianto della sua bambina, al piano superiore dell’edificio. Aveva corso, aveva scostato travi incendiate ignorando il dolore, aveva fatto il possibile. A un certo punto, il pianto aveva raggiunto l’apice, e poi non aveva sentito più nulla se non il crepitio delle fiamme tutt’intorno a lui. Aveva urlato fino a svuotarsi i polmoni, attirando l’attenzione di alcuni uomini che l’avevano miracolosamente tirato fuori da quell’incendio. Risvegliatosi dopo giorni di incubi e atroci dolori, negli occhi vi si poteva leggere quello che ormai era diventato l’unico scopo della sua vita: la vendetta.
I ricordi svanirono non appena giunse in vista degli uomini indicatigli dal contatto. Uno di essi, con il corpo coperto da un mantello nero, gli andò incontro.
«Sei il marinaio?» gli domandò. Aveva una voce molto profonda, notò Viktor.
«Sì, sono qui per il lasciapassare.» rispose.
L’uomo assentì. «Non sarà un problema procurartene uno. Non appena ci avrai aiutato in questo lavoretto, avrai ciò che ti spetta.»
«Cosa dobbiamo fare?» domandò Viktor, intenzionato a chiudere al più presto la questione.
«Qui vicino c’è un magazzino. All’interno, c’è un oggetto che ci interessa. Devi coprirci le spalle mentre noi ce ne occupiamo.»
«È… un furto? Di che oggetto si tratta?» chiese Viktor, non poco titubante all’idea di dover commettere un crimine nella propria città.
«Non t’interessa, marinaio. O ci stai, o puoi scordarti il lasciapassare. Se non hai fegato, sparisci dalla mia vista.»
Viktor si morse il labbro, poi si limito a fare un cenno d’assenso.
«Bene» rispose l’altro uomo «Muoviamoci.»
Il gruppo, formato da sei uomini più Viktor, si mosse velocemente verso la propria destinazione. Lo scroscio della pioggia copriva il loro passo e i loro mantelli li nascondevano nell’ombra. Giunsero di fronte al magazzino di cui avevano parlato. Il suo ingresso, costituito da una porta in legno, era sorvegliato da un uomo armato con una spada e vestito con un completo intero di maglia. Viktor riconobbe l’uniforme della guardia cittadina e si rabbuiò. “Cosa stiamo facendo?” si domandò.
L’uomo con il quale aveva parlato fece cenno a un altro, che estrasse una balestra da sotto il mantello e, dopo aver preso la mira, scoccò un dardo che si conficcò nel petto della guardia. Questa cadde in ginocchio, afferrando la freccia nel vano tentativo di estrarla, e poco dopo stramazzò al suolo. Viktor rimase per un attimo interdetto, poi si riscosse quando venne dato l’ordine di entrare.
Il gruppo entrò nel magazzino e fu dato a Viktor l’ordine di mantenere la posizione al centro di esso, mentre due uomini si diressero alla ricerca del loro obiettivo. Una strana sensazione pervadeva Viktor. Era certo che stesse commettendo qualcosa di sbagliato, e fu per un attimo preso dal desiderio di andarsene via. Poi, il pensiero della vendetta prevalse ancora, e si decise a rimanere e completare il suo incarico.
D’un tratto, delle urla e clangore di armi giunsero dal piano superiore al quale si accedeva attraverso una scala a pioli in legno. Viktor guardò gli altri uomini che erano con lui, ma non ebbe il tempo di ricevere istruzioni perché dalla porta del magazzino entrò un manipolo di guardie cittadine, e con esse un uomo vestito con una tunica ambrata. Questi pronunciò delle parole che Viktor non capì. D’improvviso, comparvero delle fiamme che tolsero ogni via di fuga. Viktor fu per un momento preso dal terrore alla vista delle fiamme, poi si riscosse ed estrasse la spada, pronto a combattere. In pochi secondi le due fazioni si scontrarono, intenzionate entrambe ad eliminare la minaccia. Viktor agiva lucidamente. Schivò un fendente rivolto contro di lui, rotolando a sinistra per evitare di rimanere circondato. Era pronto a combattere. Era pronto a uccidere, se fosse stato necessario. Di fronte a lui si parò il suo avversario. Per prima cosa vide le sue mani, notando che l’impugnatura non era per nulla salda. Le mani del suo nemico tremavano visibilmente, così che Viktor pensò di averla vinta facile. Alzò lo sguardo, pertanto, e rimase colpito nel vedere che il suo avversario era un ragazzo, che non aveva probabilmente neanche raggiunto la maggiore età. Alla sua mente giunse la notizia che aveva udito pochi giorni prima, che raccontava di come, per far fronte alle carenze militari, fossero stati reclutati forzosamente tanti ragazzini e talvolta anche bambini. Il ragazzo di fronte a lui, gli apparve palese, non aveva mai tenuto una spada in mano, probabilmente non sapeva neanche perché fosse lì. I suoi occhi erano lucidi, stava per piangere. Viktor lo vide. Lo guardò. Lo comprese.
Il suo desiderio di vendetta era forte, ma non avrebbe macellato un innocente per raggiungere il suo obiettivo. Non avrebbe avuto il sangue di quel ragazzo sulle sue mani. Rinfoderò l’arma e si voltò, cercando una scappatoia a quell’inferno. Mentre intorno a lui il combattimento proseguiva, notò una finestra che dava sull’esterno, in un punto in cui le fiamme non erano ancora arrivate. Sì, sarebbe scappato da lì.
Il suo piano fu però interrotto da una fastidiosa e improvvisa sensazione all’altezza del ventre. Guardò in basso, e vide la punta di una spada che sbucò fuori dalla sua pancia. Poco dopo venne ritratta, e cominciò a fuoriuscire una copiosa quantità di sangue. Viktor si voltò, sgomento, e vide la spada insanguinata nelle mani del ragazzino, che tremava e piangeva. Viktor lo guardò, poi il suo sguardo si spostò in aria, verso le fiamme che avevano avvolto il tetto. Sbatté le palpebre più volte, incapace di mettere a fuoco ciò che aveva dinnanzi. L’odore di carne bruciata lo infastidì un momento, svanì dopo appena un istante. Non riusciva bene a capire cosa stesse succedendo. Poi, d’improvviso, sentì il bisogno di sdraiarsi per terra. Non fu in grado di distinguere se si fosse sdraiato o fosse caduto, ma non riusciva più a percepire nulla. Percepì i suoni come ovattati, l’odore metallico del sangue alle narici e la vista gli si annebbiava a momenti.
Fu in quel momento che la vide. Camminava fra le fiamme, a piedi scalzi. Anche a casa, spesso, camminava a piedi nudi, facendosi rimproverare da sua madre.
«Delisia» mormorò Viktor, con il poco fiato che gli era rimasto. La vendetta, il dolore, la rabbia, la gioia, la confusione, i progetti, il mare. Tutto gli sembrava immensamente lontano e leggero. L’immagine di sua figlia giunse fino a lui, gli si inginocchiò accanto e lo accarezzò sul viso, asciugandogli una lacrima che spontaneamente aveva abbandonato il suo occhio segnato dal fuoco. La bambina sorrise, e così anche lui.
«Non preoccuparti papà, adesso staremo di nuovo insieme.»
Viktor si sentì pervadere da un senso di pace.

Luca Giarmanà

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