Le previsioni di crescita del Pil italiano sono ottime, dovrebbe salire del 5% nel 2021, dal 4,2 ipotizzato in primavera dalla Commissione europea (Prometeia ha stimato un 5,3 contro un precedente 4,7%), ci sono buone speranze che una crescita più robusta si trasformi anche in posti di lavoro. Con la pandemia, il tasso di occupazione nel 2020 è calato più della media europea, soprattutto per donne e giovani, nonostante l’ampio utilizzo degli ammortizzatori sociali, dopo la Grecia si registra il dato peggiore, passando dal 59% del 2019 al 58,1% (il calo nella Ue è passato dal 68,5 al 67,7%, dati Eurostat).
In Italia sembra esserci un problema non indifferente riguardante il lavoro; siamo stati sempre i più e ci siamo contraddistinti; nella capacità di lavorare, nella creatività, nell’iniziativa e nella disponibilità a cambiare e da questo è sempre dipeso lo sviluppo del nostro Paese privo di materie prime.
La struttura economica italiana si è indebolita ed ha perso dinamicità, a partire dalla metà degli anni Novanta qualcosa s’è inceppato; privatizzazioni fatte male, mancanza di piani industriali, appesantimenti amministrativo, fiscale e burocratico diventati insostenibili, su cui si sono inseriti macro-trend mondiali, quali il progresso tecnologico, la globalizzazione, i cambiamenti demografici, la trasformazione ecologica processi che non ci hanno sfiorato e ora ci si è messa anche anche la pandemia, oggi per continuare la tradizione occorrerebbe una rivoluzione sociale e culturale per cercare di invertire la tendenza.
I segnali negativi che si sono abbattuti sul mondo del lavoro sono la bassa quota di ore lavorate e i salari reali fermi al palo. Già prima della pandemia, il numero di inattivi e di disoccupati rimaneva sotto il livello pre-crisi finanziaria del 2008.
Il lavoro scarseggiava anche per chi aveva un posto: tempo parziale involontario, crescita di lavori e lavoretti a basso valore aggiunto, aumento della specializzazione e outsourcing raccontano il fenomeno, a questo si aggiunge che la crescita dei salari, già prima della grande crisi, era meno della metà di quanto osservato in altri Paesi europei, a volte mi domando per quale motivo ho lottato per abrogare la contingenza se poi le iene ridens dovevano prevalere in maniera così becera?
Con la pandemia la povertà assoluta è cresciuta tra le famiglie con persona di riferimento occupata,il che spiega certamente tanta sofferenza e tanta e diffusa incertezza.
La profonda crisi del lavoro si muove su due direttrici: domanda e offerta.
Sulla domanda basta analizzare i dati sul profilo dei disoccupati; il 15,4% ha la licenza di scuola elementare o nessun titolo di studio; 13,3% possiede la licenza di scuola media; il 9% il diploma di scuola superiore; il 5,1% la laurea o un titolo post-laurea; non interrompere precocemente gli studi rimane la scelta fondamentale per inserirsi nel mercato del lavoro.
Sull’offerta si tratta della difficoltà delle imprese a trovare gli addetti di cui hanno bisogno. Innanzitutto, a conferma della ripresa, come rileva il Rapporto sulla sussidiarietà 2021 in uscita e dedicato proprio al tema del lavoro, le offerte online di occupazione in Italia, nel primo trimestre del 2021, hanno subìto una crescita del 40% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 20% sul 2019. Ad aprile 488 mila persone cercavano lavoro e, contemporaneamente, le imprese erano in cerca di 243 mila lavoratori che non trovavano, a giugno 2021 le imprese avrebbero voluto assumere 560 mila lavoratori che, nel 30% dei casi, sono stati di difficile reperimento.
Trovare persone adatte non è semplice,d’altronde si sono chiusi gli uffici di collocamento che funzionavano per individuare i navigator che qualcuno ha assunti ma che non sarebbero in grado neanche, come diceva il vecchio filosofo al mio paese, di fare la O con un bicchiere.
Un sondaggio condotto fra i direttori del personale rivela che le figure più qualificate sono difficili da reperire perché il numero dei candidati è esiguo, mentre le richieste di professioni con qualifiche tecniche o di livello medio non vengono soddisfatte soprattutto perché i candidati vengono considerati non adeguatamente formati.
Io lo dico da una vita: ma dobbiamo essere tutti diplomati in materie classiche-scientifiche o laureati in medicina? Finalmente Mario Draghi ha parlato della necessità di rinforzare il sistema di formazione terziario non universitario (ITS) e ha inserito nel Pnrr un investimento di circa 20 volte quello finora destinato e raggiungere in questo modo gli standard europei. È ora di abolire il neet e riaprire gli istituti tecnici professionali.
Da bambino non ho schifato di andare a pascolare le mucche con il mio tascapane al fianco e in montagna declinare i verbi latini e greci o ad alta voce ripetere la metrica dei poeti latini e greci.
Le famiglie sentono come un’onta che un ragazzo sceglie l’istituto professionale anziché il liceo, soprattutto se appartengono a fasce abbienti, ma le cose sono cambiate, secondo dati del 2019 pre-pandemia. L’istruzione e la formazione tecnica e professionale è un percorso alternativo per l’ingresso nel mondo del lavoro: i giovani adulti (25-34enni) che hanno raggiunto un livello d’istruzione secondario o post-secondario non terziario professionale hanno prospettive d’impiego simili ai giovani che hanno ottenuto un titolo di studio terziario.
Rimane il tema delle migliaia e migliaia di posizioni lavorative vacanti e la contemporanea diffusa sensazione che il lavoro manchi, chiaro segno che oltre al sistema formativo da adeguare alle nuove esigenze, anche i canali che mettono in comunicazione domanda e offerta non funzionano.
Nel 13% dei casi le imprese trovano candidati senza competenze richieste, 15 volte su cento mancano completamente le candidature, cioè le persone non rispondono alle inserzioni. Il dubbio che ci sia un problema di mentalità, che pesi la paura del cambiamento, che sulla disponibilità a rischiare vinca la richiesta di assistenza, rimane forte.
A chi tocca la prima mossa in una situazione come quella italiana in cui, in tema di lavoro è spesso lasciato ai margini, lo vediamo dai temi agli ordini del giorno dei partiti storici della sinistra che ci stanno ammorbando su temi come Zaki e Zan ma lisciano temi come lavoro, disoccupazione, crisi, miseria. È palpabile su questi temi il profondo silenzio e lo stallo della politica, delle imprese, dei sindacati.
Continuo a ripetermi non mollare. Occorre anche l’iniziativa della singola persona, del lavoratore che al momento opportuno dica no e urli fuori dal coro anche a rischio di essere preso per matto.
Alfredo Magnifico