Lavoravo già da un po’ di tempo come supervisore in un fast service restaurant (adesso li chiamano così) e, nell’ultima riunione aziendale era venuta fuori una circolare di una possibile esperienza all’estero in vari diversi paesi che aderivano a questa iniziativa. Era una bella opportunità, non solo per viaggiare, ma anche per staccare un poco la mente dal lavoro che, ultimamente, si era fatto notevolmente maggiore ed estenuante con doppi turni anche notturni fino alle prime luci dell’alba, quando il sole inizia a sorgere da est e le nubi fumose delle balene iniziano a schiarire il cielo con un colore roseo misto a sfumature di rosso e arancio, un vero spettacolo. Non mi dispiaceva come lavoro, era una mansione normale e ben retribuita dalla mia posizione, essendo a un livello inferiore rispetto al direttore. In sintesi il mio lavoro consisteva nel revisionare pratiche, essere presente sul campo o fare ricognizione fingendomi estraneo per verificare che tutte le procedure in cucina e in sala fossero più che perfette per stabilire un contatto idoneo e piacevole con un cliente. Il nostro motto era “cliente fortunato, cliente ritornato”. Questo concetto stava alla base di tutto il nostro operato, se avessimo dovuto fallire anche solo una procedura il cliente avrebbe potuto alzarsi e non tornare mai più. Dal cliente, in sostanza, veniva fuori tutto il nostro guadagno ed era solo grazie a lui se tiravamo avanti e quindi bisognava trattarlo con dei guanti di velluto.
Acquino Simone
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