Hanno stampato le loro foto sulla tuta, sotto il volto coperto dallo scafandro, per farsi riconoscere e cercare un contatto con i pazienti Covid-19, accuditi 24 ore al giorno ma pur sempre costretti a vivere da soli la malattia. Sono gli infermieri del team che lavora nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Santo Stefano di Prato.
Le fotografie hanno restituito ai pazienti e agli operatori stessi un volto, nascosto per settimane dai dispositivi di protezione: scafandro, tuta, visiera, cuffia, calzari e mascherina. «Ci manca il contatto con i nostri pazienti, costretti ad essere soli, senza la vicinanza dei loro cari, impauriti per quello che può accadere – spiegano – Abbiamo pensato ad un modo per comunicare con loro anche indossando una barriera contro il contagio, per rompere le distanze e farci riconoscere».
«È stata un’idea immediata – racconta Beatrice Bettazzi, coordinatrice infermieristica della terapia intensiva Covid – nel nostro reparto arrivano i pazienti più gravi, nei loro sguardi c’è la paura, la solitudine, la sofferenza. Tutto il team degli infermieri ha cercato di trovare un sistema per comunicare con gli ammalati e per essergli più vicini. Quando ci hanno visti entrare con le tute personalizzate dalle nostre foto, ci hanno sorriso, qualcuno si è commosso e per noi è stato un momento toccante, che ci ha emozionato e che non scorderemo mai».
Il gruppo dei più esperti in questo settore ha dovuto formare e preparare i colleghi neoassunti e quelli che lavoravano in altri settori, trasferiti nella terapia intensiva per rafforzare i turni di lavoro molto impegnativi. Ci sono stati momenti in cui gli infermieri hanno pensato di non farcela, ma hanno prevalso lo spirito di squadra e il supporto reciproco.
«Questa è stata la nostra forza- ha aggiunto la coordinatrice Bettazzi – come in una famiglia abbiamo affrontato questo momento difficile tutti insieme, scambiandoci le nostre emozioni, i nostri timori e siamo andati avanti. Tutti gli infermieri hanno lavorato sempre con dovere e responsabilità affrontando una situazione nuova alla quale nessuno avrebbe mai pensato. Sono orgogliosa della mia squadra»,
Ogni operatore della terapia intensiva ha una storia particolare da raccontare, si sono dovuti separare dalle loro famiglie, dai loro affetti. Qualcuno, da settimane, non ha ancora potuto dare un abbraccio al proprio figlio per la paura del contagio. Hanno dovuto affrontare tante difficoltà e momenti drammatici. Spesso si sono sentiti dire: sono grave? Ce la farò?
Il personale sanitario è impegnato nell’assistenza della persona ammalata ma anche nella gestione delle relazioni personali, che in questo difficile momento non devono essere trascurate. Le foto sulle tute di protezione sono state un modo per raccontarsi, per togliere la barriera della distanza proprio in un reparto dove il senso di solitudine è più sentito ed alimenta la paura.
«L’esperienza che abbiamo vissuto, ci tiene a raccontare Daniela Ammazzini, dirigente assistenza infermieristica dell’ospedale – ha fatto emergere il grande senso di responsabilità di ciascun operatore, la voglia di essere sempre vicino ai pazienti anche nei momenti meno facili. Non nego la forte emozione che ho provato quando i colleghi mi hanno raccontato delle loro sensazioni di fronte ad un paziente in seria difficoltà respiratoria e forte paura di non farcela, oppure della loro profonda delusione quando purtroppo le cose non sono andate per il meglio. Ed ecco la necessità di farsi riconoscere, non solo come professionista, ma anche come “persona” tanta è la voglia di rassicurare l’altro e dirgli “Io ci sono, non sei solo” anche se lontano dagli affetti della famiglia e delle persone più care. E’ stato grande l’impegno anche per garantire l’umanizzazione dell’assistenza: un principio cardine della nostra professione».