Il Comitato europeo dei diritti sociali di Strasburgo accoglie il reclamo proposto dalla Cgil nel 2017: la riforma renziana non prevede tutela adeguata contro il licenziamento ingiustificato. Dopo la Consulta, anche l’organo del Consiglio d’Europa individua la violazione dell’articolo 24 della Carta sociale europea.
Il Comitato si è espresso sul reclamo collettivo proposto dalla Cgil, con il sostegno della Confederazione europea dei sindacati, affermando che, con la riforma del lavoro renziana, l’Italia viola il diritto di lavoratrici e lavoratori di ricevere un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione in caso di licenziamento illegittimo.
Il Comitato del Consiglio d’Europa ha accolto le contestazioni espresse dal sindacato, riconoscendo così che il decreto legislativo 23/2015 è in contrasto con l’articolo 24 della Carta sociale europea. L’articolo in questione è breve e conciso: “Tutti i lavoratori hanno diritto ad una tutela in caso di licenziamento”. La tutela, in caso di licenziamento ingiusto, implica il diritto del lavoratore di essere reintegrato sul posto di lavoro o, nel caso in cui la reintegra non sia concretamente praticabile, di poter ottenere un risarcimento proporzionale al danno subito.
L’inadeguatezza del Jobs act nella tutela dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo, secondo il Comitato di Strasburgo, permane anche dopo le modifiche apportate dal parlamento tramite l’aumento dei tetti minimi e massimi dell’indennità, a opera del “decreto dignità” e resta anche in seguito alla censura della Corte costituzionale, con la sentenza dello scorso anno.
I lavoratori italiani assunti a partire dal 7 marzo 2015, in caso di licenziamento ingiustificato, possono ottenere al massimo 36 mesi di indennità, senza alcuna valutazione da parte del giudice sull’effettivo danno subito dal lavoratore o sul capitale dell’azienda. Per i lavoratori di piccole imprese, che, precisa la Cgil, sono la metà della forza lavoro italiana, l’importo massimo di indennizzo è di 6 mesi. L’inadeguatezza della tutela prevista dal jobs act non sta però solo nei tetti massimi di indennità, ma anche nel ruolo del meccanismo di conciliazione, che ridurrebbe ancora di più la possibilità per il lavoratore di ottenere una adeguata riparazione: il datore di lavoro può infatti evitare il giudizio offrendo al lavoratore una somma pari a una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, senza oneri fiscali né contributivi.
Il contrasto con l’articolo 24 della Carta sociale europea era già stato rilevato lo scorso anno dalla Consulta, la quale aveva dichiarato incostituzionale il meccanismo centrale del Jobs act, cioè l’automatismo di calcolo dell’indennità in caso di licenziamento illegittimo. Nella sentenza, la Corte aveva infatti rilevato “l’inidoneità dell’indennità medesima a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente”. L’indennità standardizzata prevista dal Jobs act risultava inadeguata sotto due profili: da un lato non riparava il danno subito dal lavoratore, dall’altro non agiva come deterrente per evitare ulteriori licenziamenti illegittimi, violando così diversi principi costituzionali e anche l’articolo 24 della Carta sociale europea su cui ora si è espresso il Comitato.
Cinque anni dopo essere stato promulgato dal governo Renzi, il Jobs Act, dopo essere stato indebolito dal Decreto Dignità e dalla sentenza della Consulta, subisce un ulteriore duro colpo dalla Corte europea, segnando un altro successo della CGIL la quale lo ha criticato sin dall’inizio, e che lo ha portato in giudizio nel 2017.
Leonardo Panerati