John Milton l’avrà pure definito figura del demonio, fatto sta che in Romagna il pensiero è stato decisamente diverso. Perché il tribunale di San Mauro Pascoli non solo ha assolto Niccolò Machiavelli, ma lo ha fatto con formula piena: 81 per la condanna, 600 per l’assoluzione. Un verdetto senza appello nell’evento di Sammauroindustria davanti a un pubblico di 800 persone, che ancora una volta ha confermato l’anima “garantista” della Romagna nei tradizionali processi del 10 agosto alla Torre Pascoliana.
Il dibattito, orchestrato dal presidente del Tribunale Miro Gori, era stato tutt’altro che all’acqua di rose tra i due contendenti, i politologi Carlo Galli (accusa) e Maurizio Viroli (difesa).
L’accusa. Ad aprire le arringhe è stato Galli, docente dell’università di Bologna, che ha subito messo le cose in chiaro: «Accusare Machiavelli è un’impresa disperata. L’autore del Principe è stato il Galileo della politica, l’ha rivoluzionata. Eppure ci sono diversi capi di imputazione che gli possono essere rivolti. Il primo: Machiavelli ha fatto della politica un mito esistenziale onni-coinvolgente. La politica non può essere l’unica chiave per interpretare la vita sociale». E qui arriviamo alla seconda accusa: «Il principale reato di Machiavelli è un utopismo fuori dallo spazio e dal tempo: ha avuto troppa fiducia negli uomini, li ha considerati troppo virtuosi. È un rivoluzionario di una realtà disincantata».
La richiesta della pena. «Come condanna chiedo per Machiavelli un esilio temporaneo da trascorrere nel deserto della politica di oggi. Qualche anno di purgatorio per depurarsi dalla sua ingenuità, magari da passare in una legislatura nel nostro Parlamento. Condannare Machiavelli infatti è condannare la politica di oggi».
La difesa. Di parere opposto Maurizio Viroli docente a Princeton. «Machiavelli è più difficile difenderlo che accusarlo vista la quantità di insinuazioni che sono state scritte sul suo conto». Viroli prima di tutto contesta l’accusa della centralità della politica nel suo pensiero: «Non è sostenibile la tesi che Machiavelli metta al centro di tutto la politica, come soluzione onnicomprensiva dell’esistenza. Nel suo pensiero la dimensione della leggerezza della vita, del gioco, del sorriso, dello scherzo è molto forte. Così come è fuorviante l’accusa di utopismo, perché sa leggere la realtà come pochi». E aggiunge: «Machiavelli non solo capisce la politica ma vuole fare qualcosa di più, vuole ispirare (principi e cittadini) sui fini possibili: ispirare un redentore che possa liberare l’Italia; lottare contro la corruzione a Firenze; ispirare la rigenerazione morale di un popolo. Non è un caso che a lui si siano ispirati gli scrittori risorgimentali, così come grandi pensatori come Gobetti e Gramsci». Il finale di Viroli è sull’oggi: «Siamo noi che abbiamo bisogno di Machiavelli se vogliamo vedere rinascere il nostro Paese. Non mi resta che chiudere con le parole di Francesco De Sanctis: Sia gloria a Machiavelli».