Ragazza con mascherina chirurgica

Mascherine, tutto a posto per la produzione toscana. Galletti (M5S) rilancia

La produzione toscana di mascherine potrà andare avanti e le aziende coinvolte, dopo un’incertezza dovuta alle procedure di autorizzazione, non perderanno quanto prodotto finora. La distribuzione promossa da parte della Regione del resto prosegue e, secondo quanto stimato, ce ne sarà ancora più bisogno. È la stessa Regione, dati tecnici alla mano, a rassicurare i produttori, a cominciare da quelli del distretto tessile pratese.

Le mascherine Toscana 1, quelle a triplo strato in tessuto non tessuto prodotte dalle imprese toscane che hanno raccolto l’invito della Regione, e distribuite in questi giorni nelle farmacie e nei supermercati, sono efficienti e sicure, in grado di bloccare dal 97 al 100% di particelle, e sono compatibili con i requisiti di sicurezza delle mascherine chirurgiche a marchio CE. Lo chiariscono dalla giunta regionale, sgombrando il campo dai dubbi sulle eventuali, lunghe – giacché la burocrazia è pur sempre pronta all’agguato – procedure d’autorizzazione cause.
La Regione si è mossa per affrontare l’emergenza, e poter immettere sulla piazza le mascherine chirurgiche, garantendosi con test eseguiti dall’Università di Firenze. Le mascherine made in Toscana sono state messe alla prova dal Dipartimento di chimica con strumentazione scientifica – si osserva dalla Regione – attraverso due test di fondamentale importanza. Nel documento che dà conto dei due test, firmato dalla dottoressa Silvia Becagli, si chiarisce la differenza tra aerosol (insieme delle particelle liquide o solide disperse in aria) e aria (miscela di gas fra cui l’ossigeno, necessario per la respirazione e quindi per la vita). «Compito della mascherina – si spiega nel documento – è trattenere le particelle lasciando passare l’aria».

Il parere dell’Università di Firenze

Il Dipartimento di chimica ha eseguito un test di efficienza di filtrazione e un test di contropressione del tessuto, vale a dire di resistenza al passaggio dell’aria. Ciò è importante perché se l’aria fa fatica a passare attraverso il tessuto, chi indossa la mascherina ha una sensazione di soffocamento. D’altra parte, se la mascherina non fa tenuta al volto, con l’atto respiratorio l’aria seguirà percorsi alternativi senza passare attraverso il tessuto e non risulterà filtrata.
«Una buona percentuale di filtrazione – spiega la dottoressa Becagli – si ha già dal 95% in su. Le mascherine testate hanno dimostrato tutte percentuali tra 97 e 100%. Il virus SARS-CoV2 ha una dimensione nell’ordine dei nanometri . Un’importante via di trasmissione per tale virus è la via aerea, per associazione al particolato. Il ruolo delle mascherine è quello di contrastare la trasmissione del virus, filtrando il particolato aereo, allo stesso tempo la mascherina deve consentire la respirazione dell’individuo e quindi il passaggio dell’aria. Risulta evidente anche ai meno esperti che se si soffia tramite una mascherina l’aria deve passare».

Mascherina chirurgica

I chiarimenti della Regione

Alla luce di quanto detto dalla dottoressa Becagli, e scritto nel documento dell’Università di Firenze, risulta quindi evidente che la “prova dell’accendino”, addotta da chi vuole dimostrare l’inefficienza delle mascherine toscane, non ha alcuna valenza dal punto di vista tecnico e scientifico, ribattono dalla Regione, dove si ricorda anche che il decreto legge, che proprio in virtù dell’emergenza ha consentito l’uso di mascherine filtranti in deroga a quelle con marchio CE, è il Cura Italia, che ha introdotto anche la procedura autorizzativa da parte di Iss per dpi (come le mascherine) o Inail per dm (per esempio per i camici) da farsi anche ex-post per chi era già partito con la produzione.

La proposta di Irene Galletti

Irene Galletti candidata M5s
Irene Galletti (M5S)

Secondo la candidata del Movimento 5 stelle alla presidenza della Regione, però, si può fare di più e meglio. Irene Galletti scrive in una nota che occorre «costituire un gruppo di lavoro che tenga insieme le Università, i poli tecnologici della Toscana, le istituzioni sanitarie, i rappresentanti delle aziende tessili e la Regione, per dare vita, nel più breve tempo possibile, a una filiera in grado di produrre mascherine riutilizzabili da distribuire ai cittadini». «Aver reso obbligatorio l’utilizzo delle mascherine per tutti i cittadini toscani ha creato tre tipi di problemi – spiega Galletti Il primo è quello dell’approvvigionamento: secondo il Politecnico di Torino, il fabbisogno giornaliero a livello nazionale è di 35 milioni di mascherine. Il che significa, più o meno 1,5 milioni di dispositivi solo per la Toscana. Un’enormità cui non possiamo far fronte con mascherine usa e getta, come invece si è preparata a fare la Regione. Questo perché, ed eccoci al secondo problema, un numero così grande di dispositivi in circolazione, finisce per generare un allarme ambientale: le mascherine, infatti, nel migliore dei casi vengono smaltite negli inceneritori, mentre sempre più spesso finiscono per terra a inquinare le nostre strade e i nostri giardini. Un dramma sanitario che si trasforma in un disastro ambientale. Il terzo problema – prosegue la candidata – è quello dell’approvvigionamento. La Regione, invece di coinvolgere, insieme alle farmacie, le associazioni di volontariato e la protezione civile, garantendo così la tracciabilità delle consegne, ha preferito affidarsi ai supermercati. Risultato: un grande caos, con centinaia di migliaia di cittadini che dopo code chilometriche si ritrovano senza dispositivi di sicurezza individuale, obbligatori». 
Tutto ciò rappresenta però un’occasione, secondo Irene Galletti: «La Toscana ha possibilità di avviare una sperimentazione per la produzione di mascherine riutilizzabili, appoggiandosi a uno dei distretti tessili più efficienti d’Europa, quello di Prato, oltre alle Università, ai centri di ricerca e alle industrie farmaceutiche della nostra regione. In questo modo potrebbe diventare un modello a livello nazionale e rendere un servizio all’intero Paese. Sarebbe stato necessario cominciare a lavorarci settimane fa, invece di rincorrere sempre l’emergenza. Ma fortunatamente siamo ancora in tempo».

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