Nato per riportare in auge la poesia, arte oppressa e offuscata dalla più commerciale narrativa, il Mep (Movimento per l’emancipazione della poesia) si batte affiggendo opere dei suoi autori per le strade della città. Giovedì scorso siamo andate a Firenze per intervistarne alcuni membri.
A causa della semi-illegalità dell’attacchinaggio, il Mep opera in una condizione di anonimato. Al nostro arrivo sul luogo dell’appuntamento non avevamo la più pallida idea del tipo di persone che ci saremmo trovate davanti. Mentre ci domandavamo come riconoscerli, maledicendoci per non avere chiesto loro un recapito telefonico, siamo state avvicinate da una ragazza che si è presentata come affiliata del Mep e ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Una volta raggiunte da altri tre membri, abbiamo cominciato a presentare le nostre domande davanti a una tazza di caffè.
In quale città è nato il movimento? Come si è diffuso nel resto d’Italia?
Il movimento per l’emancipazione della poesia è nato a Firenze, nel 2010, da un’esperienza che non pensavamo si sarebbe ripetuta. Eravamo solo due o tre amici quando abbiamo deciso di attaccare in strada la prima poesia. L’idea ha riscontrato più successo di quello che credevamo, così non ci siamo fermati. Il nostro scopo principale è la creazione di una rete alternativa di distribuzione della poesia in un mercato editoriale in grossa crisi: attraverso l’attacchinaggio il poeta non paga per farsi pubblicare e, soprattutto, il lettore non paga per leggere. Generalmente quelli che ci contattano per aderire hanno conosciuto il movimento passeggiando per Firenze o parlando con amici che ne facevano già parte. Successivamente, attraverso il passaparola, si sono formati nuovi nuclei in molte altre città d’Italia.
Per entrare a far parte del Mep c’è una selezione da superare? Se sì, quale metro di giudizio utilizzate?
Non c’è alcun tipo di selezione poiché quello che ci sta a cuore è affermare che nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare. Non facciamo distinzioni di stile o qualità, la convinzione che ci guida è che tutti possano fare poesia. Il repertorio, di conseguenza, è molto vasto e attrae un pubblico eterogeneo.
Qual è l’età media dei membri? Siete in maggioranza uomini o donne?
Ci sono membri di tutte le età, dallo studente universitario al cinquantenne. Ci sarà a breve un censimento per conoscere il numero esatto dei componenti, che non è semplice da stabilire poiché ci sono continuamente nuove adesioni e talvolta anche abbandoni. Uomini e donne sono presenti più o meno in egual misura. Nel Mep c’è posto per tutti, dal giovane che vuole esprimere le turbe adolescenziali al poeta consumato e più ricercato.
Vi definite un “movimento”. Come tutti sappiamo, la storia è ricca di movimenti artistici, politici, sociali… Avete scelto questo termine in tale accezione o facendo riferimento al concetto intrinseco di dinamicità?
È bello come ognuno possa interpretare il nome a modo suo e attribuirgli un significato diverso. Ci sentiamo “movimento” poiché siamo in continuo cambiamento, soggetti a una dinamismo che risponde alla necessità di trasformazione, perché così va il mondo e con esso l’arte.
Le immagini in questa pagina sono tratte da http://mep.netsons.org/beta/galleria
Sempre in tema di storia, “emancipazione” è un termine che si riferisce a individui o a gruppi di persone (da un punto di vista religioso, razziale, sessuale). Si può leggervi un tentativo di personificazione della poesia?
Mettendo la poesia avanti a tutto, anche all’autore stesso, che non viene mai menzionato, cerchiamo di renderla una cosa viva. Quindi sì, possiamo decisamente parlare di personificazione.
Ci aspettavamo di vedervi arrivare indossando dei passamontagna. Quanto è importante l’anonimato per il movimento?
L’anonimato è ovviamente necessario per motivi legali, ma ce ne serviamo soprattutto per portare la poesia in primo piano, svincolandola da chi l’ha creata. Ci sono anche persone che trovano il coraggio di scrivere componimenti proprio grazie all’anonimato, mentre non avrebbero il coraggio di farlo pubblicamente. Ogni membro del Mep è libero di pubblicare una propria raccolta firmata, ma deve essere composta da versi inediti, non collegati al movimento.
Il Mep si occupa anche di attività alternative all’affissione di poesie?
Prendiamo parte ad altre iniziative come mostre e festival, ma non siamo mai noi a proporci per primi. È capitato che le nostre poesie fossero recitate da attori o proiettate tramite slide. In grandi città come Milano e Roma, ad esempio, gli attacchinaggi si perdono, quindi si preferisce prendere parte a manifestazioni o inserire poesie nei volumi di biblioteche e librerie. Il Mep pubblica anche su riviste, ma rifiuta se viene chiesta l’esclusiva.
Il Mep si dichiara apolitico. Come riuscite a coniugare questa definizione con la partecipazione ad eventi organizzati da partiti politici?
Il movimento è apolitico, ma i poeti sono liberi di esprimere la loro opinione: il Mep non censura nessuno. Può capitare che partiti o movimenti politici invitino il Mep a prendere parte ad eventi. Nonostante l’apoliticità, accettiamo esclusivamente per diffondere la poesia.
Come prendete le vostre decisioni? Siete organizzati in una qualche gerarchia? Avete dei referenti che tengono i contatti fra i diversi nuclei?
Quello che conta è solo regalare poesia alle persone, quindi ogni decisione viene presa spontaneamente, nessuno antepone i propri interessi. Non esistono gerarchie, tutto viene deciso collettivamente e attraverso il dialogo. Non ci sono referenti ma operiamo come organismo unico e compatto, sebbene ogni singolo sia importante e indipendente.
Che cosa rappresenta per voi la strada? Quanto avete in comune con i “graffitari”?
La strada è il primo mezzo che abbiamo utilizzato, ma anche il più efficace. Per entrare in contatto con la poesia del Mep non è necessario sfogliare un libro: mentre camminiamo, tutti possiamo leggere, attaccate lungo i muri, quelle poesie che altrimenti non potrebbero fare parte della nostra giornata. La strada è mezzo e luogo di espressione. Il graffito è diverso perché indissolubilmente legato alla parete, mentre la poesia potrebbe essere in qualsiasi altro posto. Per questo non scriviamo direttamente sul muro, ma preferiamo attaccare i fogli. Le pareti vengono scelte con cura: non attacchiamo su palazzi storici o monumenti, tanto per una questione di rispetto quanto per evitare conflitti con i cittadini. Non interveniamo mai su muri intatti, preferiamo pareti rovinate o coperte da scritte e disegni: la poesia deve servire da abbellimento, non deturpare. In strada, inoltre, la poesia diventa interattiva: c’è chi disegna sui fogli, chi scrive correzioni, chi lascia annunci o messaggi personali. Anche la persona che strappa i versi, a modo suo, ci sta interagendo.
C’è chi li disprezza chiamandoli vandali, c’è chi li considera artisti e spera di vedere un attacchinaggio nelle strada che percorre: se, passeggiando per le strade di Firenze, vi capita di incappare nelle poesie del Mep, dedicate loro qualche istante e vi renderete conto che non è stato tempo sprecato.
Camilla Saya
Annalisa Sichi