Il 5 giugno 1224 viene decretata dall’imperatore Federico II l’erezione dello Studium, la prima università statale in Europa, dal 7 settembre 1987 nota come università Federico II di Napoli.
Decretata dall’imperatore tramite una lettera circolare (generalis lictera) inviata da Siracusa, la nascita dello Studium ha una importanza storica legata appunto al fatto che, in quanto creata per volere stesso dell’imperatore, l’Università di Napoli è considerata in assoluto la prima università laica in Europa di tipo statale (non fondata, cioè, da corporazioni o associazioni di intellettuali, o di studenti ma in forza di un provvedimento sovrano).
Due furono i motivi principali che spinsero l’imperatore Federico all’edificazione dello Studium: in primo luogo la formazione esclusiva del personale amministrativo e burocratico della curia regis (la classe dirigente del regno) e quindi la preparazione dei giuristi che avrebbero aiutato il sovrano nella definizione dell’ordinamento statale e nell’esecuzione delle leggi; in secondo luogo agevolare i propri sudditi nella formazione culturale, evitando loro inutili e costosi viaggi all’estero. La scelta della sede cadde su Napoli per motivi non solo culturali (la città aveva una lunga tradizione in merito, legata alla figura di Virgilio, che viene richiamata esplicitamente in un documento dell’epoca), ma anche geografici ed economici (i traffici via mare, il clima mite e la posizione strategica all’interno del Regno furono, in un certo modo, determinanti).
Lungo la storia dell’ateneo, inizialmente gli studi furono indirizzati verso il diritto (fondamentale per la formazione dei giuristi), le arti liberali, la medicina e la teologia: quest’ultima, rispetto alle altre materie, venne insegnata presso sedi religiose, in particolare nel convento di San Domenico Maggiore, dove insegnò dal 1271 al 1274 Tommaso d’Aquino. Durante il periodo angioino (1265-1443) l’Università di Napoli, a differenza delle altre, restò indipendente dal potere papale: difatti Carlo I d’Angiò ribadì e accrebbe i precedenti privilegi concessi dai re svevi all’Università. Le prime difficoltà arrivarono con l’avvento del dominio aragonese nel 1443, che di fatto costrinse l’ateneo ad una prima chiusura. L’Università fu riaperta nel 1465, a seguito di un’intesa tra re Ferdinando il Cattolico e papa Paolo II, salvo poi essere nuovamente chiusa nel 1490. Si dovette aspettare il 1507 affinché lo Studium partenopeo riaprisse i battenti, ricominciando dal convento di San Domenico Maggiore, che ne fu la sede per tutto il Cinquecento. Durante il Seicento l’Università visse, al pari degli altri atenei europei, un lungo periodo di decadenza, cosicché a Napoli cominciarono a sorgere scuole private e collegi ecclesiastici, che a poco a poco si affiancarono ad essa togliendole spazio. Solo a partire dal Settecento, prima con gli Asburgo e poi con i Borbone, l’ateneo ricevette una grande spinta in senso positivo da parte delle autorità: è in questo periodo che il filosofo Giambattista Vico insegnò nell’Università partenopea. Le maggiori novità di quegli anni furono la creazione nel 1735 della cattedra di Astronomia e nel 1754 della prima cattedra di meccanica e di commercio, ovvero di Economia, del mondo. Anche durante il decennio francese (1806-1815) ci furono opere di modernizzazione in campo culturale. Anzitutto l’Università visse un cambiamento radicale: fu articolata in cinque facoltà (Lettere e Filosofia, Matematica e Fisica, Medicina, Giurisprudenza, Teologia); fu creata la prima cattedra italiana di Zoologia; furono collegati all’ateneo e diretti da professori universitari l’osservatorio astronomico, l’orto botanico e i musei di mineralogia e zoologia.
Con l’avvento dell’Unità d’Italia, l’università dovette uniformarsi alla legge Casati, decreto legislativo del Regno di Sardegna risalente al 1859 ed esteso poi con l’unificazione a tutto il neonato stato italiano, la quale riformò in modo organico l’intero ordinamento scolastico, dall’amministrazione all’articolazione per ordini e gradi ed alle materie di insegnamento, confermando la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli era l’unica ad occuparsi dell’istruzione, introducendo l’obbligo scolastico nel regno. Ispirata al modello prussiano sia nell’impianto generale che nel sistema organizzativo fortemente gerarchizzato e centralizzato, la legge Casati si propose, inoltre, di contemperare diversi principi: il riconoscimento dell’autorità paterna, l’intervento statale e l’iniziativa privata. A tal proposito, la legge sancì il ruolo normativo generale dello Stato e la gestione diretta delle scuole statali, così come la libertà dei privati di aprirne e gestirne di proprie, pur riservando alla scuola pubblica la possibilità di rilasciare diplomi e licenze. A cavallo tra Ottocento e Novecento il prestigio dell’Università di Napoli aumentò, in particolare in ambito scientifico: nel campo della genetica fu pioniera, con la nascita della prima cattedra in Italia, mentre durante il periodo fascista si manifestarono difficoltà edilizie sempre maggiori. Durante la seconda guerra mondiale la sede centrale fu incendiata dai tedeschi il 12 settembre 1943, in seguito, con l’avanzata degli alleati e la conseguente liberazione, laboratori e gabinetti scientifici furono requisiti dagli alleati stessi. Nel dopoguerra, in seguito all’evoluzione moderna del modello universitario in generale, l’Università degli Studi di Napoli divenne il secondo ateneo più importante d’Italia per numero di iscritti, secondo soltanto alla Sapienza di Roma.
Oggi, l’ateneo, con 4 Scuole suddivise in 26 dipartimenti, è frequentato ogni anno da decine di migliaia di studenti(oltre 76.000 nel 2017) e continua ad aggiornarsi, tramite aggiunte come quella del 2009, quando l’ateneo ha attivato Federica, l’e-learning nato per rendere accessibile in rete il sapere accademico, con l’offerta gratuita dei materiali didattici dei singoli corsi di insegnamento ed una guida strutturata per districarsi nell’enorme patrimonio disponibile in rete.