Martedì 23 maggio alle ore 21.00 al Teatro Verdi un programma schubertiano che omaggia Berio con “Rendering”, uno dei suoi capolavori più fortunati. In chiusura la “Sinfonia Grande” di Schubert.
Sul podio dell’ultimo appuntamento di stagione, un direttore da record: il veronese Andrea Battistoni, il più giovane mai scritturato dalla Scala. Era il 2012 e lui aveva venticinque anni. Proprio allora usciva per Rizzoli il suo libro Non è musica per vecchi in cui ribadiva l’assoluta attualità della musica classica. Prima era passato dalla Scuola di Musica di Fiesole per prendere lezioni da Gabriele Ferro. Dopo, la sua carriera ha corso veloce per approdare al podio della Filarmonica di Tokyo, come direttore principale. Ora, in Giappone, è un’autorità, anche se gli impegni in Oriente non gli permettono di frequentare troppo l’Europa (tranne il Teatro Carlo Felice di Genova, che l’ha avuto in casa per un quinquennio, fino al 2019).
A lui l’ORT affida il tributo, nel ventennale della scomparsa, a Luciano Berio, uno dei padri fondatori dell’orchestra e colui che tra la fine degli anni ’80 e i ’90 la portò a suonare in prestigiose sale internazionali.
Ricorda il direttore artistico Daniele Spini: “Per lui far musica era solo una parte, anche se certo di gran lunga la più importante, di una più generale dimensione di intellettuale tanto raffinato quanto pronto a impegnarsi di persona e a sporcarsi le mani; tanto esigente sul piano artistico quanto disponibile all’incontro con tutti, come ben ricordano quanti collaborarono con lui, in primo luogo i musicisti dell’ORT; tanto originale e forte nella sua identità stilistica quanto aperto a confrontarsi con l’opera di altri, spaziando da Monteverdi alle voci di un mercato di Londra, da Mahler al canto popolare dei popoli più diversi, senza ammettere etichette né per sé né per gli altri. Una musica che sapeva anche farsi gesto, e da un gesto all’occorrenza scaturire”.
E proprio a questo aspetto dell’arte di Luciano Berio ha voluto guardare l’ORT in questa ricorrenza, scegliendo uno dei suoi capolavori più importanti e fortunati: quel Rendering che rese udibili i frammenti favolosi lasciati da Franz Schubert. Uno dei suoi brani più celebri che si basa sugli appunti per una sinfonia che Schubert lasciò incompiuta al momento della morte. Quelle pagine, Berio le ha assemblate e strumentate in una sorta di “restauro” senza stravolgere quanto di Franz Schubert è rimasto; quanto che vi mancava, l’ha aggiunto di sua mano creando una ‘malta’ di sonorità e impasti armonici modernisti che dichiarano apertamente l’intervento di restauro: “Lavorando sugli schizzi di Schubert mi sono proposto di seguire, nello spirito, quei moderni criteri di restauro che si pongono il problema di riaccendere i vecchi colori senza però celare i danni del tempo e gli inevitabili vuoti creatisi nella composizione (com’è il caso di Giotto ad Assisi)”.
In chiusura Battistoni dirige la Sinfonia Grande che Franz Schubert compose tra 1825 e il 1826, tre anni prima della morte, per essere eseguita in un grande concerto pubblico a Vienna. Solo che l’orchestra si rifiutò di suonarla perché troppo complessa, perciò la partitura dovette attendere più di un decennio per essere ascoltata: Robert Schumann ne recuperò il manoscritto tra le pile di carte lasciate in eredità da Schubert al fratello e l’affidò in prima esecuzione a Felix Mendelssohn.
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Sara Bertolozzi
per Comunicazione ORT