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Nuove prospettive per la correzione genetica nella sindrome ICF 

Grazie a una collaborazione tra due Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche e il Technion di Haifa, in Israele, è stata applicata una strategia innovativa per riparare i difetti genetici che causano la sindrome da immunodeficienza, instabilità centromerica e anomalie facciali (ICF), una rara patologia genetica. La ricerca è pubblicata su Genome Research 

Ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” (Cnr-Igb) e dell’Istituto per le applicazioni del calcolo “Mauro Picone” (Cnr-Iac) del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli, in collaborazione con colleghi del Centro di ricerca Technion di Haifa, in Israele, hanno applicato una strategia innovativa per “correggere” i difetti genetici che causano la sindrome da immunodeficienza, instabilità centromerica e anomalie facciali (ICF), una rara patologia genetica. I difetti genetici alla base di questa patologia comportano profonde alterazioni epigenetiche, in particolare della metilazione del DNA, ovvero di quel meccanismo che garantisce che i geni possano esprimersi in modo appropriato a seconda del tipo cellulare e delle fasi biologiche dell’individuo.  

La ricerca, pubblicata lo scorso marzo sulla rivista  Genome Research, dimostra che applicando la tecnologia di “gene editing” denominata CRISPR/Cas9 – che si basa sull’impiego della proteina Cas9 come “forbice molecolare” per modificare in maniera specifica una sequenza di DNA bersaglio- è possibile ripristinare il normale livello di metilazione del DNA nella maggior parte delle regioni del genoma interessato. 

“La sindrome ICF è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva estremamente rara: si manifesta nella prima infanzia con una grave immunodeficienza che comporta una grande suscettibilità alle infezioni respiratorie e del tratto gastrointestinale. Inoltre, i pazienti presentano alterazioni dello sviluppo, psicomotorie e difetti cognitivi”, spiega Maria R. Matarazzo (Cnr-Igb). “Il nostro studio si è concentrato sui pazienti del primo sottotipo, tutti accomunati da mutazioni nel gene DNMT3B che interferiscono con l’attività enzimatica della proteina, che metila il DNA, determinando i difetti alla base della malattia. Tali anomalie colpiscono, ad esempio, alcune regioni cromosomiche importanti per la corretta divisione cellulare, e i loro effetti sono particolarmente evidenti nelle cellule del sistema immunitario”.  

Applicando la tecnologia CRISPR/Cas9 nelle cellule staminali pluripotenti indotte derivate dai fibroblasti dei pazienti affetti dalla sindrome, i ricercatori hanno dimostrato che è possibile “correggere” le mutazioni nel gene DNMT3B e ripristinare l’attività enzimatica della proteina. 

“In sostanza, il gene mutato è stato sostituito con quello in grado di codificare la proteina corretta”, prosegue Matarazzo. “La nostra ricerca ha consentito di identificare le regioni genomiche target della proteina DNMT3B e di acquisire nuove informazioni sulla sua perdita di funzione nelle fasi più precoci della patologia. In oltre il 75% di queste regioni abbiamo osservato il recupero del corretto livello di metilazione del DNA in seguito al gene editing. In particolare, è “corretta” la metilazione di regioni cromosomiche responsabili delle alterazioni della divisione cellulare, e di diversi geni con funzioni importanti nella risposta immunitaria. Alcune regioni genomiche sono resistenti alla “correzione” e questo dipende dal coinvolgimento di altri meccanismi epigenetici”.  

Lo studio rappresenta un importante passo avanti per identificare con maggiore precisione i target molecolari alla base di questa malattia rara e definire approcci terapeutici più mirati ed efficaci.  

“In una prospettiva più ampia, i risultati ottenuti prefigurano lo sviluppo di strategie sperimentali che potrebbero consentire di affrontare questa e altre immunodeficienze associate a difetti nella metilazione del DNA”, conclude Matarazzo. 

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