C’è aforisma di Franz Kafka, in epigrafe a questo volume di Gabriele Lastrucci, opera eccessiva, generosa, insieme di poesie, saggi, aforismi, prose/parabole e lettere, un lavoro impossibile.
Da un certo punto in là non vi è più ritorno
Franz Kafka
È questo il punto da raggiungere
Lo rende possibile l’autuore, obbedendo al dettato esplicitato nella lettera a se stesso, amico/nemico per la pelle/poesia, tenendo quindi ben presente che «Le parole mentono sempre, come tu sai bene, dovremmo prestare più ascolto all’asfalto, al pugno chiuso, alle mutande sporche: alla vita insomma».
E così che i testi di Gabriele Lastrucci, siano poetici o narrativi, sono sempre “sconfinamenti”, ci avverte Sergio Nelli nella nota introduttiva, ed ecco quindi le poesie, con i versi forzati fino all’aforisma, all’enumerazioni (le splendida “La rosa murante” e “Una lucente ferita”), le prose che si ritraggono fino a cristallizzarsi nel trattamento per un racconto che mai verrà scritto (“Il nodo alla gola”), un continuo sforare dalla pagina alla vita-vera, che è lotta, contraddizione.
«È difficile incontrare in un uomo solo – scrive Sergio Nelli – una testardaggine e una determinazione così forti nel rifuggire il tratto esistenziale di tanta parte della poesia italiana contemporanea. Anche quel fuoco c’è, ma sotto la cenere».
Eppure è l’Unghia strappata a questo Nulla desolato e lampante
che noi siamo, solitario furore di stelle, dolenti
morsi d’Appena
La deriva dei santi
Più d’eterno finire, di Gabriele Lastrucci, Claudio Martini Editore, 2019.
Lorenzo Mercatanti