Inizierà lunedì la pubblicazione di tutti i racconti i cui autori hanno preso parte al premio “Raccontami una storia”. Per il momento, ci preme una precisazione: nella prima edizione dell’Antologia, ora corretta, il racconto di Enrico Pasquetti è uscito tagliato. Ce ne scusiamo. La versione completa è già presente, sui siti delle maggiori case distributrici, nell’edizione e-book.
Intanto, pubblichiamo l’intervista con la vincitrice del concorso, Imma Di Nardo.
Il racconto vincitore “Almeno tu” tratta un tema forte e, purtroppo, molto attuale, quello dei femminicidi. Cosa l’ha spinta a trattare proprio questo tema?
Sarebbe una facile equazione affermare che il soggetto è stato scelto partendo dalla mia esperienza professionale, come referente dello Sportello Lavoro per un centro antiviolenza di Milano. È certo in parte è così. Ma, ancor prima, è stata la stessa indignazione, che mi ha portato a scrivere di questo, a farmi collaborare con l’associazione e confrontarmi ogni giorno con storie di violenza e sopraffazione. Cercando ogni volta di essere parte di un processo che supporti le donne vittime di violenza e i loro familiari. Aiutarle nel percorso verso una riconquistata autonomia e, di conseguenza, una nuova consapevolezza di sé stesse e delle proprie potenzialità.
In questo racconto colpisce il modo, non immediato e diretto, da lei utilizzato per narrare la storia. Non siamo scaraventati in un universo di soprusi e brutalità e il resoconto non viene fornito né dalla vittima né dall’aggressore, ma ci arriva, in maniera indiretta, laterale, tramite rivelazioni successive, da un terzo soggetto, si capirà alla fine, vittima indiretta lei stessa.
La ringrazio della sua domanda, poiché mi fornisce l’occasione di far riflettere, in primo luogo me stessa, sul modo in cui nascono, per ogni autore, le storie. Come tutti quelli che amano scrivere, io sono una grande e onnivora lettrice e amo molto la forma breve, contrariamente a quello che si pensa, ben più ardua e scivolosa del romanzo. Proprio per la sua stringatezza, non solo è importante ogni parola, ma la conduzione della scrittura deve essere controllata e, soprattutto, l’argomento non deve avere un carattere “dimostrativo” di affermazione di una tesi. Scegliendo di ricorrere a una parte terza, l’allieva Chiara, ho provato sia a immaginarmi il “dopo” nella vita di queste vittime collaterali, i figli delle donne massacrate, sia a dare al lettore il piacere di mettere insieme i vari indizi disseminati nel racconto e scoprire il tutto solo alla fine. Spero di esserci riuscita.
Diceva, quindi, che, nonostante in Italia goda di scarsa fortuna, la sua preferita è la forma breve, il racconto. Quindi non si è mai cimentata nel romanzo? E non ha intenzione di farlo?
In un certo senso devo contraddirmi. Riaffermando la mia preferenza per la short story, devo confidarle che in passato ho pubblicato un romanzo breve, ne ho terminato di recente un altro e, quando sono in vena, mi diverto a lavorare ad uno nuovo. La cosa singolare è che tutti e tre sono di genere umoristico. Mi sono interrogata sulla cosa e sono giunta alla conclusione che, anche in parte legato al mio approccio ottimistico all’esistenza, la forma brillante mi consenta di staccare da realtà professionali impegnative e, soprattutto, dal momento che molti miei racconti trattano temi sociali e dolorosi, posso reggere e gestire la concentrazione emotiva solo pensando alla forma breve. Vorrei aggiungere un’ultima cosa. Esaminandoli con occhi da lettrice ho costatato che tutti, anche i più emotivamente forti, si chiudono con una prospettiva di speranza o di riscatto. E, le assicuro, non l’ho pensata a tavolino. Sono tutti finali che, in un certo qual modo, si sono “scritti da sé”.
Fulvia Innocenti