A dieci anni dalla sua fondazione, il Museo Soffici e del ’900 italiano prosegue il percorso di conoscenza nell’arte del secolo scorso approfondendo i rapporti di Ardengo Soffici con colleghi illustri. Dopo Mario Sironi (2015) e Ottone Rosai (2017) con la nuova esposizione si mettono a fuoco le vicende storico-artistiche che legavano Soffici a Felice Carena (Cumiana 1879 – Venezia 1966), suo coetaneo e come lui protagonista dell’arte del Novecento.
Dal 26 ottobre 2019 al 11 gennaio 2010 il Museo Soffici e del ’900 italiano e il Comune di Poggio a Caiano propongono alle Scuderie Medicee Soffici e Carena. Etica e natura, una mostra temporanea a cura di Luigi Cavallo con la collaborazione di Oretta Nicolini e Luigi Corsetti.
Trentasei opere ciascuno, con diversi inediti – tra cui gli autoritratti – sono il focus di una esposizione che pone a fianco a fianco i due artisti e ne esalta le profonde sintonie di vedute sul piano etico, professionale, morale e ideale. Ciascuno con le proprie convinzioni e adesioni per quanto concerneva l’estetica, ma con riferimenti sui quali convergeva la loro stima: Cézanne, Spadini, Medardo Rosso, e le amicizie comuni, fra queste Carlo Carrà, Filippo de Pisis, gli scultori Romano Romanelli e Giuseppe Graziosi.
Il percorso espositivo si compone di disegni e dipinti che offrono una sintetica visione antologica del loro gusto e delle loro proposte fondanti: l’arte come pensiero in cui contano meditazione e semplicità, progetti di ricerche che coinvolgono il senso, la bellezza, il valore dei territori ideali. L’insieme di etica e natura fu l’impegno costante sia di Soffici sia di Carena; l’essenza della loro partecipazione all’evoluzione della storia italiana si può considerare, seppur con voci diverse, il richiamo forte alla realtà naturale, alla condizione essenziale dell’individuo, macerata fino alla povertà e in linea con la nostra tradizione che è memoria del passato e lavoro attivo per proporla nell’attualità.
Fra gli inediti in mostra anche due autoritratti, quello di Soffici (1946) può considerarsi pagina di pari valore agli scritti autobiografici, mentre nel dipinto di se stesso Carena (1950) esprime un profondo desiderio di astrazione. L’itinerario espositivo propone, con Soffici, una Figura del 1903 che richiama le prime esperienze parigine in ambito postimpressionista e prosegue con una vignetta per le riviste umoristiche che rimanda al lavoro che permise al pittore di sostentarsi economicamente nella capitale francese. L’arte di Soffici si mostra poi attraverso i paesaggi del 1907 e 1908 che, dopo il rientro da Parigi, danno avvio all’attività che sarà quella più propria dell’autore: l’ordine figurativo che sinteticamente si esprime d’après nature. Nature morte, un affresco del 1932 e un Trofeino del 1948, documentano le fasi diverse che Soffici svolse dal periodo cubofuturista fino al realismo dei valori plastici. Poggio a Caiano, ripreso nei diversi scorci, resta protagonista della cultura sofficiana e ne fa intendere la profondità del rapporto con un luogo semplice ed eletto a insegna di vita. Diversi acquarelli sorprendono per la rarità del portato luminoso, una componente creativa che ebbe un grande estimatore in Emilio Cecchi.
Il percorso di Felice Carena avvia con due dipinti del 1904 di cospicuo formato che danno il senso del suo impegno formale improntato a una lettura romantico-simbolista della figurazione, molto evidente anche nei Putti ebbri danzanti, 1909. Nelle due composizioni di fiori del 1914 e 1917 si assiste a una vera esplosione gioiosa che la pittura esprime compiutamente nel colore. Un raro Paesaggio anticolano (1919) e un ritratto della moglie (1920) presentano un artista più schiettamente interessato alla realtà, alcuni disegni del 1922-1925 danno la misura della sua perizia plastica. Gli anni Trenta, quelli in cui Carena dirigeva l’Accademia delle Belle arti di Firenze, sono rappresentati con opere di alto valore che fanno intendere a quali livelli di maturità creativa fosse giunto l’autore affidandosi alla sperimentazione della materia cromatica, alla trasparenza dei toni, al gusto della composizione.
Il periodo veneziano, 1946-1966, può essere letto come un sempre più affinato itinerario spirituale nel quale la forma, insieme con il colore, viene depurata fino a raggiungere le lievi armonie delle nature morte.
Carena e Soffici ebbero destini, condivisione di valori per certi versi consonanti. Il percorso di vita pubblica li vide presenti in significative occasioni espositive con sale personali che permisero riscontri ravvicinati a critici di primo piano. La loro presenza culturale nel Paese si affermò ulteriormente con l’elezione all’Accademia d’Italia (Carena nel 1933, Soffici nel 1939), il massimo riconoscimento del tempo. Soffici non modificò certo la propria vita per la prestigiosa carica: proseguì come sempre a dipingere e a scrivere secondo i suoi ritmi e il suo costume appartato nella casa di Poggio a Caiano. Carena manteneva comunque il maggior impegno nel mestiere che amava, la pittura, spesso insofferente degli adempimenti che i suoi onerosi incarichi gli imponevano.
Il secondo conflitto demolì molte certezze comuni; il sovvertimento così repentino del pensiero, della politica e dei valori sociali, li trovò impreparati, prima ancora che esposti a gravi conseguenze personali. Soffici portato in campo di concentramento, 1944-1945; Carena riparato a Venezia. Nonostante le avversità e la distanza non si incrinò mai la loro amicizia e la stima. Anzi l’intesa umana divenne ancor più salda, gli scambi improntati a solidarietà e a calore fraterno.
Nel lungo dopoguerra mantennero una esemplare coerenza di scelte: Carena portando avanti le sue ricerche sulla materia e sulla luce orientate a sostanziale unità tra forma e spiritualità cristiana. Soffici aprendosi sempre più alle meraviglie della natura, all’identificazione del paesaggio con il proprio intimo lirico. Da questo impasto traeva originali trasparenze: il campo visivo, gli scorci scelti – Poggio a Caiano o la Versilia – facevano intendere quali ricchezze di armonia siano sempre da scoprire quando il territorio fisico incontra il territorio spirituale.