Di tempo ne era passato, tanto che la mia vita era completamente cambiata, in realtà era stato come se tutto si fosse fermato al compiersi dei fatti.Ero allora uno studente in Farmacia, con degli affetti, pochi soldi e una gran voglia di vivere. Mi ritrovavo adesso dirigente di una grande industria farmaceutica, una solida economia e nell’animo la tristezza più sconfinata.La guerra nel suo scorrere aveva strappato la vita dei miei cari, e il ritorno, se pure inizialmente fra la grande ammirazione di tutti, mi aveva di nuovo restituito al più completo anonimato, inoltre, le variazioni ad essa seguite, la smania forse di dimenticare tutto dandosi alle spese più folli, al consumismo più sfrenato, avevano ancor maggiormente accentuato nel mio animo il senso di estraneità alla vita degli altri. Nel tempo non dedicato al lavoro preferivo continuare i miei studi, darmi alle grandi letture o, più semplicemente, standomene in silenzio, guardare dai grandi finestroni della mia abitazione la vita frenetica che si svolgeva di sotto. Queste mie occupazioni erano però continuamente interrotte dal pensiero di quanto avvenuto quella notte. Improvvisamente mi sembrava di risentire quello strisciare dei loro corpi vicino al nostro accampamento, il mio alzarmi, vedere la sentinella morta, urlare nel buio e nel silenzio, poi verso quel fruscìo sparare i quattro colpi. La mattina seguente dovetti rendermi conto di averli uccisi, giacevano infatti, poco distante dal nostro accampamento, due uomini con indosso la divisa del nostro esercito. Avevo ammazzato due uomini, di loro non sapevo niente e niente mi diceva la loro divisa. Dall’attimo seguente ai quattro colpi niente più poteva interessarmi. Un sentimento strano, fatto di vero e proprio terrore, s’era impossessato di me, per questo avevo sparato. Un giorno, mentre ero sprofondato in questi pensieri, lo squillare del telefono mi fece trasalire:era un vecchio amico rimasto nell’esercito, al quale avevo confessato qual senso tormentasse le mie giornate, mi telefonava per dirmi di vivere felice, era infatti riuscito a scoprire che, se pure indossavano la “nostra” divisa, gli uomini morti quella notte erano, in realtà, soltanto dei nemici.
Soltanto dei nemici (Gennaro Annoscia)
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