Uffizi

Sul caso Uffizi e la direzione di Antonio Natali

Dal consigliere regionale e capogruppo di Sì – Toscana a Sinistra, Tommaso Fattori, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Quasi cinquanta sale inaugurate, un riallestimento pressoché generale di tutta la Galleria, i lavori dei Nuovi Uffizi che avanzano senza che il museo sia stato chiuso un solo giorno per lavori, mentre molti musei stranieri non si peritano a chiudere anche per anni, a causa dei riallestimenti. E poi, ancora, mostre, grandi e piccole, pubblicazioni, restauri, aperture notturne, servizio wifi gratuito e molto altro. Non ultima l’inaugurazione nel 2008 de “La città degli Uffizi”, collana di esposizioni realizzata per lo più con opere provenienti dalle riserve del museo e che mira a ‘riportare’ sul territorio d’origine le opere conservate in Galleria. L’ultima, ancora in corso, è La luce vince l’ombra a Casal di Principe, allestita all’interno di una villa sequestrata a un boss della camorra.
Ma sarebbe assurdo cercare di elencare tutto ciò che è stato fatto dal 2006 in poi alla Galleria degli Uffizi e non è certo questo, qui, lo scopo. Il curriculum è già stato consegnato a suo tempo al concorso ministeriale.
Antonio Natali ha fama internazionale (tra l’altro la sua mostra su Rosso e Pontormo a Palazzo Strozzi è stata recentemente premiata come migliore mostra dell’anno 2014 dalla prestigiosa rivista inglese “Apollo”) ed ha operato per anni, come tutti gli altri direttori, con scarse risorse e – spiace rimarcarlo ogni volta – con uno stipendio davvero sorprendente per il ruolo ricoperto (meno di 1.900 euro mensili, anche adesso, con 35 anni di servizio nella direzione del museo!), ed ha lavorato mai risparmiando energie, tempo, competenze e devozione alla missione museale che gli era stata affidata.
Sulle nuove nomine ci sarebbe molto da dire. Vi è stata una discussione surreale sulla nazionalità di origine dei nuovi direttori, quando è del tutto normale che musei e istituti culturali italiani possano avere direttori stranieri, ma questa discussione ha oscurato i veri punti di fondo: curricula in grandissima parte non all’altezza dei ruoli che queste persone ricopriranno, nessuna esperienza neppure lontanamente paragonabile alle responsabilità che si apprestano ad assumere (ha scritto, fra l’altro, Montanari: sono state affidate direzioni “a persone non ritenute mature per una direzione nelle stesse istituzioni in cui finora lavoravano”), nessuna specifica competenza rispetto ai musei e alle collezioni che dirigeranno, e infine un concorso i cui parametri non rispondono alla serietà e alla trasparenza richiesta dall’importanza degli incarichi ricoperti, con una scelta operata sulla base della semplice lettura di un curriculum e di un colloquio della durata di un quarto d’ora, come ben sottolinea ancora una volta Montanari. Viene così il fondato sospetto che questo paese sia vittima non solo del provincialismo xenofobo di matrice leghista ma anche di un eguale ed opposto provincialismo esterofilo che porta a concludere che un direttore straniero va bene in quanto straniero, di per sé portatore di un’aura d’indeterminata novità, indipendentemente dalle sue comprovate capacità e competenze.
Ma non è questo il punto, qui. Comunque la si pensi a proposito delle nuove nomine, non si può tacere su quanto sia odioso, ingiusto e disonesto che il Ministro Franceschini scriva e dichiari all’indomani della pubblicazione dei nuovi nomi: “con queste 20 nomine di così grande levatura scientifica internazionale il sistema museale italiano volta pagina e recupera un ritardo di decenni”. Come se la causa del ritardo fossero stati, quindi, i precedenti direttori. E si ripete il solito ‘giochino’ di cui abusa, in maniera sistematica, questo governo: la riforma della scuola è la ‘Buona scuola’, così che chi si trovi a contestarla sarà – evidentemente – per una ‘cattiva’ scuola; lo ‘Sblocca Italia’, così che chi non lo condivide sarà per un’Italia immobilizzata e così via.
L’obiettivo diviene quello di cambiare, non per forza di cambiare in meglio. Quello che ci auguriamo, almeno, è che le prime dichiarazioni del nuovo direttore Schmidt non segnino una strada che, guarda caso, aveva trovato Natali e il governo su fronti diametralmente opposti: affittare ai privati le sale del museo per eventi commerciali e convention di imprese. Jean Clair, fra le voci più autorevoli in Europa, membro dell’Accademia di Francia e già direttore del museo Picasso, interrogato sulle dichiarazioni di Schmidt ha risposto seccamente a La Repubblica: “l’idea del neo direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, di dare in affitto delle stanze della galleria segna l’inizio della fine. O piuttosto la continuazione di una decadenza della quale lui stesso sarà il responsabile finale“. Invece di trasformare i nostri musei in centri di ricerca, si procede sulla strada della mercificazione del patrimonio culturale.
Ricordiamo le resistenze di Natali (peraltro vane, dato appunto l’insufficiente autonomia del direttore) all’invio dell’Annunciazione di Leonardo in Giappone nel 2007, ricordiamo le ‘trivellazioni’ renziane nel Salone dei Cinquecento per ‘ritrovare’ l’affresco di Leonardo sulle quali nessuno storico dell’arte serio ha mai dato l’avallo, e l’affitto del Ponte Vecchio per pochi spiccioli.
Se la pagina voltata porta in questa direzione, se questa è la ventata della gioventù rottamatrice, in realtà talmente vetusta che al confronto Maria Luisa dei Medici appare un’avanzatissima e audace riformatrice, giacché legò l’intero suo patrimonio alla città (e per questo noi oggi abbiamo le collezioni degli Uffizi), è chiaro che dobbiamo iniziare a considerare il nostro potenziale culturale come qualcosa che può estinguersi, al pari dell’orso marsicano. Il museo – dice ancora Jean Clair – deve educare e dilettare, non fare soldi. Non è un fondo bancario o una macchina finanziaria. E questo Natali lo aveva ben presente. Ora che è stato rimosso, la vigilanza e la battaglia toccano a noi tutti, cittadine e cittadini, ma sempre, si spera, accanto a maestri come Natali.
Tommaso Fattori

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