Tecnologia per la mente. Scenari inquietanti o, per alcuni, auspicabili, di sicuro possibili in un futuro non lontano. E dire che già una frase della Bibbia – “Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene” (Isaia, 7, 15-16) – qualcosa aveva predetto. A proposito di tecnologie della mente e delle loro applicazioni, infatti, potrebbe, in senso lato, riguardare presto a molte persone con il marchio, sociale, di portatori di problemi di salute mentale o di comportamenti che non rientrano in quella che viene ritenuta, nelle diverse accezioni che assume in contesti e tradizioni differenti, la via di una convivenza civile e, diremmo, utile o non dannosa. Una prospettiva realistica e per alcuni allarmante. Allettante per altri. Ma fin dove arriverà, o sarà segnato, il confine tra manipolazione delle coscienze, e dell’uomo, e cura, sempre che di questa si tratti, sociale?
La discussione è già aperta. I dati scientifici non mancano.
Negli ultimi anni. la medicina sta facendo progressi e scoperte notevoli riguardanti farmaci e sostanze capaci di alterare il nostro senso morale, cancellare ricordi, alterare la nostra personalità. Sostanze come l’ ossitocina, capace di aumentare l’ empatia e indurre a fidarsi degli altri, farmaci antiserotoninergici, usati contro la depressione ma capaci anche di ridurre l’ aggressività. Trattamenti sperimentali per rimuovere brutti ricordi, come la terapia elettroconvulsiva sviluppata da un gruppo di ricerca olandese e i cui risultati sono stati pubblicati online su Nature il 23 dicembre 2013.
Nei prossimi anni, dopo il doping sportivo e le recenti “smart drugs” capaci di migliorare la nostra concentrazione, si diffonderanno quindi anche farmaci in grado di alterare la nostra percrezione del bene e del male.
Ciò tuttavia solleva problemi etici e filosofici di non poca importanza. Le posizioni riguardo l’accettabilità dell’ uso di farmaci per modificare la percezione morale degli individui, pur in senso positivo, possono essere riassunte in quelle di due professori universitari che su questo argomento si sono scontrati durante l’ annuale convegno di Neuroetica a Padova tra il 13 e il 15 Maggio 2015.
Contrario è John Harris, professore di bioetica e direttore dell’ istituto per le Scienze, l’ etica e l’ innovazione all’Università di Manchester, che ha affermato la eccessiva pericolosità che a suo parere queste tecnologie mediche costituiscono per il libero arbitrio.
A favore è invece Ingmar Persson, professore di filosofia pratica all’ Università di Gothemburg, collega ricercatore all’Oxford Uehiro Centre for Pratichal Ethics all’ università di Oxford e coautore di “Unfit for the Future”(Inadatti al Futuro), il quale sostiene, come afferma nel suo libro, la necessità per la sopravvivenza della specie umana nel prossimo futuro, di un “potenziamento morale” dell’umanità e guarda quindi con favore ai progressi della medicina in tale ambito, ritenendo che i grandi poteri e responsabilità che la scienza ci ha messo in mano (egli cita tra l’altro la corsa al nucleare) non siano stati controbilanciati da una parallela evoluzione sul piano etico.
Questo dibattito, con molta probabilità, proseguirà appunto nei prossimi anni, parallelamente ai continui progressi della medicina in tale ambito; un ambito di ricerca che, sebbene comporti rischi da valutare con attenzione per il mantenimento di una piena libertà di scelta dell’ individuo, potrebbe aprire le porte a un’ era in cui la cleptomania, il sadismo, la cattiveria e il male nelle sue varie forme saranno solo delle malattie di un lontano passato, curabili facilmente come oggi si curano molti virus tramite vaccini e farmaci appositi.
Leonardo Panerati