EDITORIALE
La prima cosa che vedi sono le gambe giganti di due persone vestite con abiti ottocenteschi, visibili fino alla cintura. Alzi lo sguardo e cerchi di capire esattamente cosa stai guardando: queste persone giganti sono davanti a dipinti classici con cornici dorate di cui però riesci a vedere solo la parte inferiore. All’altezza dei tuoi occhi invece sono appesi, in semplici cornici di legno, disegni e acquerelli in stile contemporaneo. E allora realizzi di essere parte di uno di due pubblici, in due momenti diversi nel tempo e nello spazio, una sensazione simile a quella certamente provata da J – eroe di Men in Black II (2002) – quando scopre l’esistenza dei villici dell’armadietto C18. Ma se esiste qualcosa di molto più grande di noi, di certo, per la legge della relatività, esiste anche qualcosa di più piccolo, e infatti eccolo lì, in alcuni punti lungo il muro, sotto uno spesso vetro, un paesaggio di montagne, colline e campi, con case, alberi, città, automobili, animali e persone. Un mondo intero di cui non sai nulla, come i giganti sopra di te non sanno nulla della tua vita.
A pochi giorni dalla scomparsa di Ilya Kabakov (1933-2023) che, insieme alla compagna di una vita Emilia, ha realizzato questa installazione dal titolo Where is our place? (2002), è quanto mai opportuno ricordare le sue parole a proposito di quest’opera: “Tutto è piuttosto relativo, compreso il nostro posto nel mondo e, in particolare, proprio quell’arte che esponiamo oggi, quella che si chiama contemporanea. L’arte è esistita anche in un altro tempo, e a suo tempo aveva pretese di eternità e immutabilità, ma poi è arrivata sulla scena la nostra arte contemporanea e l’ha inaspettatamente sostituita…”
Grazie Ilya per questa continua ricerca di senso nell’esistenza, e per tutte le volte che con le tue opere hai aperto i nostri occhi. Di certo i villici dell’armadietto ti dedicherebbero un inno.
In questa centocinquantanovesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, nella sezione dedicata ai RACCONTI trovate un testo della scrittrice, giornalista di Repubblica e opinionista televisiva Annarita Briganti, dedicato alla mostra di Lito Kattou, Whisperers, in corso alla Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano; un racconto di Renato Diez, firma di Arte, dedicato alla mostra di Giuseppe Penone, Gesti Universali alla Galleria Borghese di Roma, e un estratto dal saggio del curatore Marcel Grosso nel catalogo L’Imperatore e il Duca. Carlo V a Mantova, dedicato all’esposizione del ritratto di Carlo V a Palazzo Te a Mantova.
Tra i VIDEO vi proponiamo un teaser del progetto In Opera: scenari futuri di una giovane Legge Forestale, mostra del Padiglione Uruguay alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, e un’introduzione del curatore Andrea Viliani alla mostra Ri-Materializzazione del Linguaggio. 1978-2022 negli spazi della Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano.
Tra gli EXTRA segnaliamo la mostra di Diego Marcon Dramoletti, a cura di Massimiliano Gioni, che viene inaugurata domani dalla Fondazione Nicola Trussardi al Teatro Gerolamo di Milano; Museo delle Opacità, il nuovo allestimento di parte delle collezioni dell’ex Museo Coloniale di Roma e la mostra dedicata a Bertina Lopes al Museo delle Civiltà di Roma; e Rachel Feinstein in Florence, un progetto del Museo Novecento diffuso tra Museo Stefano Bardini, Palazzo Medici Riccardi e Museo Marino Marini di Firenze.
Buona lettura.
Lo staff di Lara Facco P&C
#TeamLara
Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com
TELESCOPE. Racconti da lontano
Ideato e diretto da Lara Facco
Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana
Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Anna Pascale, Silvia Pastoricchio, Alessandro Ulleri, Margherita Villani e Marta Zanichelli.
domenica 4 giugno 2023
RACCONTI
L’artista è un pirata. La mostra di Lito Kattou alla Fondazione Pomodoro, di Annarita Briganti
Quattro sculture che formano un’installazione unica sui toni del nero e del rosso con qualche tocco di viola e blu, una sala della Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, un tramonto riprodotto sullo sfondo dello spazio espositivo: c’è tempo fino al 9 giugno per vedere a Milano il post-umano e i sovramondi di Lito Kattou.
L’artista cipriota è protagonista per la prima volta di una personale in un’istituzione italiana. La sua mostra milanese, Whisperers, curata da Chiara Nuzzi, è un tesoro da scoprire, tra letteratura – Anna Maria Ortese – e riferimenti al mondo naturale, agli animali, alla storia del suo Paese, alle donne.
Le “figure che sussurrano” dell’artista stanno compiendo un viaggio e sono colte in un momento di meditazione, di riflessione, in connessione tra loro e con chi le osserva, con chi cammina tra le opere (guardate anche la parte posteriore della quarta scultura). I cestini, che pure fanno parte dell’installazione, evocano la tradizione delle canestraie di Cipro, una comunità di donne abili nell’arte dell’intreccio, sfruttate durante la dominazione inglese dai coloni.
Queste canestraie, che ricordano anche le streghe, le donne che erano mandate al rogo, dialogano con le altre creature viventi: hanno farfalle sulle spalle e cani accanto ai loro corpi. Il senso della mostra, che è anche una riflessione sul tempo, è la convivenza tra esseri viventi, epoche diverse e universi paralleli, con un’attenzione alla sostenibilità. Tra i materiali usati dall’artista per queste opere c’è anche la plastica biodegradabile, oltre all’alluminio, all’acciaio, all’acrilico e al rame nichelato.
L’arte è un rifugio, uno spazio di libertà e di apertura mentale, uno strumento per riscrivere la narrazione dominante su cosa sia “umano”, nella visione di Lito Kattou. L’artista, secondo lei, è un pirata, non per derubare navi ma per catturare l’attenzione di una società distratta, per trovare nuovi modi di essere e di co-esistere.
Una quinta scultura di Kattou si può vedere sulla facciata della Fondazione ICA Milano, simbolo del dialogo con la Fondazione Pomodoro. Per visitare Whisperers: giovedì, venerdì e domenica dalle 11 alle 19 (come dicevamo fino al 9 giugno, ingresso libero). Consigliatissimo il libretto della mostra, pieno di spunti interessanti. Poi, il progetto Corpo Celeste, di cui fa parte Whisperers, pensato per le Project Rooms 2023 della Fondazione Pomodoro, continuerà sempre con la curatela di Nuzzi con una personale dell’artista francese Paul Maheke da settembre a dicembre.
Crediti: Project Room #17. Lito Kattou, Whisperer, 2023, installation views at Fondazione Arnaldo Pomodoro. Ph. Andrea Rossetti and Tiziano Ercoli.
Paesaggio, natura e scultura: Giuseppe Penone alla Galleria Borghese, di Renato Diez
L’opera dell’artista, ha rivelato Giuseppe Penone, “è riflettere come uno specchio le visioni che la sua sensibilità gli ha dato. Deve produrre le visioni, le immagini necessarie al fantasticare collettivo”. Il più giovane tra i grandi protagonisti dell’Arte Povera ha elaborato da subito una poetica tanto personale da essere unica: è un artista concettuale che ha fatto della manualità, e delle ore passate a scolpire, martellare, scorticare il legno e applicare spine d’acacia sui suoi lavori, elementi determinanti della sua poetica: da sempre il concetto e la materia convivono, nella sua arte. Fino al 9 luglio, a Roma, una trentina di opere di Penone, realizzate tra gli anni Settanta e i primi del Duemila, si confrontano con capolavori come Apollo e Dafne ed Enea e Anchise del Bernini in quattro sale della Galleria Borghese, espandendosi poi all’esterno del museo, nei giardini dell’Uccelliera e della Meridiana. La mostra, Giuseppe Penone. Gesti universali, curata da Francesco Stocchi (catalogo Electa), che riporta l’arte contemporanea nella Galleria Borghese, mette in scena una nuova lettura di quel rapporto tra paesaggio e scultura che si pone in perfetta continuità con le ricerche sul rapporto tra arte e natura che caratterizzano la direzione di Francesca Cappelletti e, per molti versi, anche la poetica di Penone che percepisce perfino nel bronzo un forte legame con la natura: “Il bronzo ha una nascita collegata al mondo vegetale. Per fondere un oggetto a cera persa è infatti necessario creare una serie di canalizzazioni che ricorda da vicino il modo in cui la linfa si dirama in un albero. La scultura, dunque, si nutre con un sistema analogo a quello linfatico delle piante. Poi, collocato all’esterno, il bronzo si ossida e cambia colore. Vive, insomma, proprio come le piante”. È un dialogo, quello tra Penone e gli alberi, che continua da decenni a occupare i suoi pensieri e che ora, nei giardini della Galleria Borghese, rinnova il gioco, tipico del Barocco, che intrecciava paesaggio, natura e scultura. Talvolta l’albero è citato attraverso la sua corteccia, altre volte è scavato da una trave seguendo gli anelli di crescita della pianta. Perfino i rami, in quest’ottica, assumono per Penone una valenza poetica: “Il propagarsi di un ramo nello spazio alla ricerca della luce ha la stessa struttura di uno sguardo”. Nella mostra alcuni temi si rincorrono da un’opera all’altra, indifferenti alla datazione dei singoli lavori: la prossimità tra la natura umana e quella vegetale e la natura che diventa arte così come l’arte diventa, nelle sue opere, natura, in primo luogo. L’opera in cuoio di Penone che si trova di fronte alla scultura di Enea e Anchise, conciata con il tannino, è stata realizzata con un trattamento vegetale: “Una volta bagnato, il cuoio è stato messo sul tronco di un albero e battuto per sposarne la forma. Quando si è asciugato, ha mantenuto le asperità della corteccia”. È un concetto simile a quello della pelle come metafora dell’identità e confine del corpo, che ritorna anche come formidabile strumento di conoscenza attraverso l’azione del contatto. Allo stesso modo l’impronta, nella poetica di Giuseppe Penone, si manifesta come momento supremo di relazione tra l’individuo e il mondo che lo circonda. Concetti da assaporare lentamente, col tempo, alla Galleria Borghese.
Crediti: Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation views at Galleria Borghese, Roma – ph. S. Pellion © Galleria Borghese
Tiziano, Seisenegger e i ritratti dell’imperatore, di Marcel Grosso*
“Le cose di cui scrivo appartengono a un secolo inquieto. Io scrivo di imperi, corone e scettri, cose tenute in alta considerazione agli occhi di tutti gli uomini. Tratto di guerre, del massacro di mezzo milione di uomini, di imprese durate cinquant’anni, della cattura di re, del sacco di Roma, dell’offesa recata a ogni cosa, sacra e profana, di sfide e offese scambiate tra principi, di leghe, di giuramenti e trattati rotti e violati, della scoperta di un nuovo mondo e della conquista di grandi e ricchi regni prima sconosciuti e di cui non si sospettava l’esistenza. Sono questi gli eventi che fanno parte del regno del celebre imperatore Carlo V, onore della famiglia d’Austria, che riunì su di sé la corona di Spagna e la sovranità sulle Indie occidentali, anche se ormai da tempo aveva fatto suo il titolo imperiale. Ma questa gloriosa corona si rivelò così gravosa per il nostro eroe che […] giunto a cinquant’anni, egli che aveva guidato tanti eserciti ed era stato a capo di una parte così grande del mondo conosciuto non riuscì più a controllare il proprio corpo e tuttavia, debole com’era, compì la più gloriosa delle azioni rinunziando volontariamente a tutti quei domini che aveva per tanti anni difeso […] Lasciare tutto questo rappresentò un’azione così eroica per un principe così grande e favorito dalla sorte che il mondo intero ne fu stupito.”(1)
Le parole tratte dalla biografia di Carlo V (1500-1558) scritta da Prudencio de Sandoval, cronista del re di Spagna Filippo III (1578-1621), sono emblematiche del modo in cui gli ultimi anni della vita terrena dell’imperatore vennero tramandati ai posteri dalle fonti: una sorta di lotta epica per conquistare la gloria celeste, paragonabile solo all’ambizione di cui il sovrano aveva dato prova nel perseguire quella mondana. In realtà la storiografia moderna ha dimostrato che ben poco di claustrale vi era nell’ultima dimora nel convento di San Jerónimo de Yuste nell’Estremadura, dove il sovrano si ritirò il 3 febbraio 1557, nulla “di una vita ascetica e monacale o di affinità esteriore col convento” (2), nessun ripudio del mondo e delle sue lotte nell’isolamento, e invece l’occhio costantemente fisso alle vicende politiche e militari del figlio Filippo II. Karl Brandi – la cui capacità interpretativa e di narratore Federico Chabod paragonava a quella di Tiziano (3) –, considerò la scelta di abdicare l’esito finale di una vita errabonda quale nessun altro sovrano prima di lui ebbe mai, e la prova del fatto che egli appartenesse in sostanza a una civiltà già passata. Vi era in Carlo V l’esigenza di stilizzare la propria vita secondo le regole di quell’ideale cavalleresco-borgognone, che trova il suo epicentro, fra il XIV e il XV secolo, nella Francia settentrionale e nei Paesi Bassi, dove era nato e aveva trascorso la sua giovinezza. A questo proposito non sbaglia Brandi quando afferma che non vi è nessun’altra cosa come La Trinità del Prado, il quadro commissionato a Tiziano nel 1551, noto anche con il titolo di Gloria, che possa manifestare in modo così visibilmente grandioso la più intima natura dell’imperatore.
1) P. de Sandoval, Primera parte de la Historia de la Vida y hechos del Emperador Carlos V, Valladolid 1604, f. 1v-r, la traduzione italiana è tratta da M. Rady, Carlo V e il suo tempo (1988), Il Mulino, Bologna 1997, pp. 135-136. Sull’ultimo tratto dell’imperatore: K. Brandi, Carlo V (1937), Einaudi, Torino 1961, pp.632-640; A. Kohler, Carlo V (1999), trad. di M. Zambon, Salerno, Roma 2005, pp. 370-382.
2) Brandi, Carlo V cit., p. 634.
3) F. Chabod, Introduzione, in Brandi, Carlo V cit., p. XXXII
*estratto dal saggio nel catalogo L’Imperatore e il Duca. Carlo V a Mantova a cura di Daniela Sogliani e Marsel Grosso, edito in occasione del progetto espositivo L’imperatore e il duca. Carlo V a Mantova in corso a Palazzo Te fino al 25 giugno 2023
Crediti: Installation view L’Imperatore e il Duca. Carlo V a Mantova, Palazzo Te di Mantova © Fondazione Palazzo Te
VIDEO
Multimediale e multiautoriale
Si chiama In Opera: scenari futuri di una giovane Legge Forestale, il lavoro che architetti e artisti uruguaiani, coinvolti con un bando pubblico, presentano fino al 26 novembre, alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, nel padiglione che l’Uruguay ha ai Giardini da più di 60 anni. Curata da MAPA+INST e Carlos Casacuberta, l’installazione nasce dall’analisi della Legge Forestale intesa come un assemblaggio ecosistemico in progress, che dialoga con spazi e territori diversi e può raccontare possibili scenari dell’Uruguay del futuro. Il progetto stabilisce alleanze tra discipline e pratiche come la musica, la cultura visiva e l’architettura, un’opera multimediale e multi-autoriale che trasforma il Padiglione in una sala teatrale che ospita rielaborazioni visive, performance musicali di giovani artisti afro-uruguaiani, interviste ad attori legati ai contenuti e un catalogo/blog di approfondimento.
Crediti immagine: En Ópera – with Viki Style, video still by Exceso Colectivo Crediti video: En Ópera – with Viki Style, video scenes by Exceso Colectivo
Nora Turato, l’ultima attivazione di Ri-Materializzazione
Ultimi giorni per visitare la mostra Ri-Materializzazione del Linguaggio. 1978-2022 a cura di Cristiana Perrella e Andrea Viliani che fino al 10 giugno è ospitata negli spazi della Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano. La mostra, che presenta dopo più di quarant’anni il progetto seminale realizzato alla Biennale di Venezia del 1978 dalla poetessa e artista Mirella Bentivoglio, è stata caratterizzata nel corso della sua durata da una serie di “attivazioni” realizzate dalle artiste Tomaso Binga, Monica Bonvicini e BRACHA. Il 9 giugno, in occasione del finissage della mostra, è la volta di Nora Turato, che presenta Bolzano Poster Project un progetto site specific che prevede una serie di affissioni nello spazio urbano della città di Bolzano. L’inaugurazione dell’intervento, che utilizza pannelli pubblicitari in tutta la città, è seguita da un talk dell’artista con i curatori. In questo video Andrea Viliani ci offre un’introduzione alla mostra, al suo significato, alla sua importanza, allora come oggi.
Crediti immagine: Re-Materialization of Language. 1978-2022. Installation view at Fondazione Antonio Dalle Nogare, Bolzano, 2022. Courtesy Fondazione Antonio Dalle Nogare. Photography by Jürgen Eheim Fotostudio Crediti video: #FondazioneTalk with the curator Andrea Viliani about Re-Materialization of Language. 1978-2022. Courtesy Fondazione Antonio Dalle Nogare
EXTRA
Dramoletti
Dal 5 al 30 giugno la Fondazione Nicola Trussardi porta negli spazi fiabeschi del Teatro Gerolamo di Milano, teatro bomboniera per marionette divenuto celebre come “la piccola Scala” per le dimensioni in miniatura e i pregiati dettagli, la prima mostra antologica dedicata da un’istituzione italiana a Diego Marcon (Busto Arsizio, 1985) uno degli artisti più interessanti della sua generazione. Dramoletti, a cura di Massimiliano Gioni, racconta le opere dell’artista in un allestimento ipnotico che evoca i micromondi di Joseph Cornell, le fantasie di Carlo Collodi e di Lewis Carroll. Con i suoi film, video e installazioni Marcon costruisce piccole storie misteriose in cui pupazzi, bambini e creature sospese tra umano e post-umano, sono agitati da dubbi morali e intrappolati in azioni angoscianti ripetute all’infinito. Un progetto che celebra il ventesimo anno di attività della Fondazione, proseguendo quell’idea di museo mobile con cui Beatrice Trussardi e Massimiliano Gioni hanno riscoperto e trasformato la città, attraverso le opere e le visioni di alcuni dei più importanti artisti contemporanei.
lunedì 5 giugno 2023
press preview ore 10 – 14 > con RSVP obbligatorio
opening ore 17 – 21 > con RSVP obbligatorio
Crediti: Diego Marcon, Ludwig, 2018 [still]. Video, CGI animation, color, sound, loop of 8’14’’. © Diego Marcon. Courtesy Sadie Coles HQ, London
Documentare, ricercare, condividere
Dal 6 giugno 2023 il Museo delle Civiltà di Roma inaugura un nuovo capitolo del processo di riorganizzazione delle sue collezioni con Museo delle Opacità, il nuovo allestimento di una selezione di opere e documenti provenienti dalle collezioni dell’ex Museo Coloniale di Roma, entrate a far parte dell’istituzione nel 2017. Come relazionarsi a opere e documenti testimoni di una storia coloniale durata quasi un secolo? Come riallestire e raccontare, oggi, materiali che furono originariamente presentati a supporto di quella storia? Le possibili risposte a queste domande sono oggetto della ricerca di cui questo allestimento fa parte e che, tra ri-contestualizzazione di manufatti storici e dialoghi con opere d’arte contemporanea, propone non solo di investigare il passato ma anche di condividere dialoghi e confronti attivati nel presente e rivolti al futuro.
Accanto a questa esposizione il museo presenta inoltre una mostra dedicata all’artista e attivista Bertina Lopes (1924-2012). Dipinti, disegni, libri, immagini fotografiche e strumenti di lavoro raccontano la casa e lo studio romani di Lopes, per la prima volta oggetto di una ricostruzione parziale resa possibile da un’estensiva documentazione fotografica commissionata dal Museo.
Crediti: Museo Coloniale di Roma, anni ‘30/30’s. Courtesy Biblioteca Nazionale Centrale di Roma –Fototeca della “Biblioteca IsIAO”. Progetto grafico/Graphic design Andrea Pizzalis, Giulio Urbini / Casa-studio di Bertina Lopes. Foto © Giorgio Benni. Progetto grafico/Graphic design Andrea Pizzalis, Giulio Urbini
Rachel va a Firenze
Dal 9 giugno il Museo Stefano Bardini, Palazzo Medici Riccardi e il Museo Marino Marini, luoghi simbolo della città di Firenze, ospitano Rachel Feinstein in Florence, un progetto del Museo Novecento a cura di Sergio Risaliti e Stefania Rispoli che, per la prima volta, porta le opere dell’artista americana in istituzioni museali italiane. Rachel Feinstein (Fort Defiance, Arizona, 1971), tra le artiste contemporanee più interessanti nel panorama internazionale, con la sua poetica dal sapore onirico e i suoi riferimenti che spaziano dall’arte classica alla pittura rinascimentale, le favole moderne e i cartoons, presenta una serie di opere pittoriche e scultoree, alcune di nuova produzione, che guardano alla tradizione fiorentina e nordica, traendo ispirazione dalle collezioni dei tre musei, e giocando in modo generoso e aperto con capolavori di maestri come Donatello, Michelozzo e Marino Marini.
Crediti: Rachel Feinstein, Ballerina, 2018