EDITORIALE
“Siamo tutti stupidi. Piccoli stupidi umani, è praticamente tutto quello che siamo. Per la maggior parte della nostra storia abbiamo creduto che la Terra fosse il centro dell’Universo. Abbiamo ucciso e torturato chi non la pensava così. Questo fino a quando non abbiamo scoperto che la Terra effettivamente gira intorno al Sole, che è tra l’altro solo uno dei trilioni di Soli là fuori. E ora guardarci, a cercare di gestire il fatto che tutto questo esiste in uno di chissà quanti universi possibili. Ogni nuova scoperta è solo un promemoria
– Di quanto siamo piccoli e stupidi.
– E chissà quale altra grande scoperta è dietro l’angolo, pronta a farci sentire delle cacatine ancora più piccole.”
Questa è una parte di un dialogo tra due rocce. Si, due piccoli massi che sembrano osservare uno splendido panorama desertico dal ciglio di un dirupo, in una delle tante versioni dell’Universo in cui la vita umana non era possibile. Chi di voi ha visto Everything everywhere all at once, film scritto e diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert (The Daniels) vincitore di 7 premi Oscar, non può essere rimasto indifferente a questo dialogo, affidato a semplici didascalie sullo schermo, in un silenzio rotto solo da qualche alito di vento.
In un film che parla di multiverso, mettendo davvero tutto, ovunque e nello stesso momento, ubriacandoci di immagini, suoni e situazioni paradossali, questo momento di “tregua sensoriale” è anche uno dei picchi creativi che rimandano al senso profondo di quel viaggio attraverso le infinite possibilità della vita.
Chissà perché siamo tutti ossessionati da quello che sarebbe potuto accadere “se”, da quel “senno di poi“ di cui Alessandro Manzoni dice “sono piene le fosse“. Forse perché siamo piccoli e stupidi.
In questa centosessantesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, nella sezione dedicata ai RACCONTI trovate un contributo di Stefano Castelli, curatore e giornalista per Arte e Artribune, sulla mostra Gianni Colombo. A Space Odyssey da Gió Marconi a Milano; un testo di Roberta Petronio, giornalista de Il Corriere della Sera, sulla mostra di Jin Hee Park alla galleria IN’EI a Venezia; un estratto dal testo di Fosbury Architecture nel catalogo della mostra Spaziale Ognuno appartiene a tutti gli altri/ Everyone belongs to everyone else al Padiglione Italia della 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia.
Nella sezione dedicata ai VIDEO trovate un contributo dedicato alla mostra Arnaldo Pomodoro. Il Grande Teatro delle Civiltà realizzata da FENDI insieme alla Fondazione Arnaldo Pomodoro, in corso al Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR – Roma, e uno dedicato a Fine Design, prossima asta live di Cambi Casa d’Aste.
Tra gli EXTRA segnaliamo il progetto Perimetro Piacenza realizzato da XNL Piacenza e il community magazine Perimetro; la mostra di Lucia Marcucci Poesie e no da Museion a Bolzano; e PER UN’EUROPA DELLA CULTURA, il ciclo di incontri online promossi da Fondazione Palazzo Te.
In questo numero anche un BONUS TRACK dedicato alla terza stagione del podcast GLI SPAESATI. Alla ricerca dell’arte perduta, prodotto da Pistoia Musei e dedicato all’arte pistoiese fuori dai confini cittadini.
Buona lettura.
Lo staff di Lara Facco P&C
#TeamLara
Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com
TELESCOPE. Racconti da lontano
Ideato e diretto da Lara Facco
Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana
Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Anna Pascale, Silvia Pastoricchio, Alessandro Ulleri, Margherita Villani e Marta Zanichelli.
domenica 11 giugno 2023
RACCONTI
Gli ambienti “panici” di Gianni Colombo, di Stefano Castelli
Il prologo è già la mostra: nella monografica A Space Odyssey di Gianni Colombo da Giò Marconi, la struttura di metallo che si muove sopra le teste dei receptionist è la testimonianza di come l’arte “ambientale” (termine vasto che qui utilizziamo nel senso di opera che interagisce con lo spazio) non vada musealizzata né astratta dal contesto, come troppo spesso accade quando vengono riallestite opere storiche del Novecento.
E il prologo è già la mostra anche perché le tre piccole sculture del 1959-60 poste nella prima sala sono sì una premessa e una rarità, ma soprattutto un potente manifesto di poetica. Si tratta di strutture in ceramica e legno che rappresentano mondi in sé completi, che proclamano la scultura “lingua viva” ma allo stesso tempo superano definitivamente il concetto classico di scultura. Il mondo tendente verso l’inaridimento della definitiva industrializzazione veniva già in questi lavori programmaticamente e simbolicamente riscattato, trasformato in liberatorie possibilità di “arte totale”. Viene così a crearsi il germe di una sinestesia di generi che sfocerà nell’interazione tra arte e industria portata avanti da Colombo e altri suoi sodali (utopia oggi completamente fallita, e non per colpa dell’arte).
Da qui, la mostra si sviluppa interloquendo con il visitatore tramite le invenzioni cinetiche dell’artista, alcune arcinote altre da riscoprire. La gamma è varia e rappresentativa, senza diventare campionario. Sospesi al soffitto o posti alla parete, i mondi geometrici semoventi di Colombo sono più sinuosi che meccanici, più corporei che automatici. Il cinetismo non è elemento valido in sé e per sé, ma soprattutto un meccanismo che serve a modificare, ad ammorbidire le coordinate dello spazio, includendo in esso anche la presenza del visitatore.
La struttura del percorso si finge inizialmente onnicomprensiva per poi diradarsi e lasciare spazio agli Ambienti. Poco importa se la sensazione nel percorrere scalinate sghembe o nell’immergersi in strutture antiprospettiche sorprenda poco lo smaliziato spettatore del 2023, ormai in overdose di “esperienze”. Se oggi tutto è ambiente, ovvero un orizzonte (immaginato più che vissuto) totale e indistinto che ingloba anche le opere d’arte senza soluzione di continuità rispetto ad altri corrivi stimoli visivi. Rivedendo queste opere si torna in un’epoca nella quale arte e mondo mantenevano i propri confini e dunque la propria, rispettiva, salienza. Costruire un’opera aperta e insinuante rispetto al suo ambiente, attenuare la soluzione di continuità tra arte e mondo rappresentava dunque un tentativo di fusione opposto a quello odierno: un tentativo liberatorio, addirittura di segno panico, se non lisergico, pur nel razionalismo delle forme e nei meccanismi di Colombo.
Crediti: GIANNI COLOMBO A Space Odyssey Curated by Marco Scotini 12.05. –17.07.2023 Installation view Gió Marconi, Milan Photo: Fabio Mantegna
Morbidezza e tenacia. Jin Hee Park alla galleria IN’EI di Venezia, di Roberta Petronio
Immaginiamo Venezia a un passo dall’opening della 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale, e a un miglio dall’inatteso: l’acqua nei canali che si tinge di verde fluo (ma questa è un’altra storia). In piena zona preview, insomma, dopo aver attraversato una porzione consistente di quel dedalo incredibile di calli, al quale ci arrendiamo ogni volta volontariamente (e senza opporre resistenza). A qualche ora di distanza da una visita a Ca’ Pesaro e alla Fondazione Prada (a Ca’ Corner della Regina, per un assaggio della mostra Everybody Talks About The Weather), ecco raggiunta la meta: è la IN’EI Gallery nel Sestiere San Polo. Varcare l’ingresso ha il sapore di una pausa (meritata) davanti a una profumata tazza di tè: immagine questa, visualizzata e subito accompagnata da una dose di preveggenza, visto che la personale di Jin Hee Park, l’architetta che “rompe i confini tra l’hanji e il design dei mobili”, si concentra sul racconto della cultura culinaria coreana e sulla conseguente idea di arredo, destinato anche al rito del tè per l’appunto.
La mostra Bearable Lightness of Being: Hanji Tables ci conduce per mano e con leggerezza alla scoperta dello stile di vita di un paese cruciale dell’Asia Orientale, per invitarci a riflettere sulle connessioni di questa area del mondo con la cultura europea. Un progetto espositivo speciale che segna il debutto nel design della galleria IN’EI, che ha appena aperto i battenti sul palcoscenico della città dei Dogi, e che riserva a chi si lascia condurre dall’istinto, la sorpresa di un giardino affacciato sul Canal Grande, con vista sul ponte di Rialto. Gondole, lampioni, umanità in movimento pressoché perenne.
Park, laureata a Seoul e ad Harvard, premiata con l’American Architecture Gold Prize, con una sola installazione ci racconta due storie. La prima riguarda il soban, ovvero il tavolo usato per consumare individualmente i pasti, simbolo della cultura patriarcale coreana, oggi sviluppato come mobile portatile e adatto alle sedute a terra in spazi domestici ridotti. La seconda si riferisce invece alla carta hanji ricavata dalla corteccia del gelso Dok (detta anche ‘carta vivente’), trattata con la lacca coreana per diventare forma architettonica secondo il genio dell’artista. Sospesi nello spazio e adagiati su una superficie riflettente che amplifica ogni dettaglio delle tecniche di piegatura, i tavoli Hanji Soban ideati da Jin Hee Park si presentano come fiori di loto che galleggiano in uno specchio d’acqua onirico, ogni elemento con un piano superiore sostenuto da quattro gambe sottili per fondere in un’unica forma la tradizione coreana e i valori contemporanei. È il curatore della mostra, Jin Baeck, docente del dipartimento di Architettura e Ingegneria della Seoul National University, a ricordarci la forza e la ‘missione’ di un materiale sottile e fragile all’apparenza, che è allo stesso tempo forte e tenace: “Qualità opposte che prosperano nell’Hanji, la carta tradizionale coreana, operando come una metafora tangibile dell’ethos coreano che combina morbidezza in superficie con tenacia persistente in profondità”. Da visitare, coltivando il gusto dell’attesa e della conquista.
Crediti: Galleria IN’EI, Jinhee Park, Bearable Lightness of Being: Hanji Tables. Installation view. Foto di Francesco Niccolai. Credits Galleria IN’EI
Ognunə appartiene a tutt3 l3 altr3. (1) di Fosbury Architecture*
Quasi per definizione una mostra d’architettura serve a sollevare questioni strategiche, i progettisti invitati contribuiscono a rafforzarne la tesi e il curatore a storicizzare il fenomeno. Non ci sottrarremo a questo compito; ma non ci preme tanto di rendere universale un’intuizione, quanto di restituire un’istantanea di un ‘movimento’ – ancora inconsapevole in Italia – che registriamo, del quale facciamo parte, che sta maturando i primi frutti e che forse diventerà qualcosa, o forse la montagna partorirà un topolino (2). In ogni caso, questa del Paglione Italia sarà stata l’occasione per trasformare in azione tutte le energie chiamate a raccolta. Rappresentiamo una generazione cresciuta in un contesto di permacrisi (3). Il neologismo, eletto nel 2022 parola dell’anno dal dizionario Collins, esprime una dimensione ricorrente di eventi catastrofici che descrive perfettamente il quadro congiunturale del ventennio passato. Dopo il rischio scampato del Millennium bug, il secolo è iniziato con l’attentato dell’11 settembre 2001 alle torri gemelle: la crisi dell’Occidente in diretta televisiva. Ci siamo iscritti all’università a cavallo della crisi finanziaria del 2007 – 2008 e, una volta laureati, abbiamo cercato lavoro tra le rovine del mercato. Negli ultimi due anni, come tutti, siamo rimasti confinati in casa. Oggi la crisi energetica, domani quella ambientale; e questa è solo una parziale rappresentazione della realtà. Al disagio occidentale dobbiamo sommare la crisi umanitaria che ci circonda, quella geopolitica che bussa alle porte e tutti quei disastri che ci colgono costantemente impreparati. I risvolti globali hanno prodotto degli evidenti contraccolpi sulla nostra professione e, se la stagione dell’esuberanza architettonica è terminata con la crisi del 2008 (4), la pandemia ha esacerbato la coscienza diffusa dell’esaurimento totale di risorse (5). Queste mutate condizioni al contorno, anziché aiutarci a serrare i ranghi, hanno prodotto una ritirata strategica. Come ci suggerisce Rory Hyde in Future Practice: “Tutte le crisi hanno conseguenze spaziali che gli architetti sono ben preparati ad affrontare, eppure, invece di tuffarcisi, sembra che stiamo vivendo la nostra crisi: una crisi di rilevanza (6)”. Il rischio evidente è che l’ennesimo discorso interno alla disciplina ci faccia perdere di vista come l’architettura, anziché soluzione, sia spesso parte del problema. I dati non producono empatia, ma anche quelli più banali, quando interpolati, restituiscono un quadro singolare dello stato dell’arte. Da un lato, il settore delle costruzioni è responsabile a livello mondiale del 39% della quantità di anidride carbonica dispersa nell’aria, del 36% del consumo di energia elettrica, del 50% dell’estrazione di materie prime e del 33% del consumo di acqua potabile (7); dall’altro (specialmente nel nostro Paese), all’aumentare del consumo di suolo (8) corrispondono una contrazione del mercato potenziale intercettato (9) e un’insoddisfazione cronica degli addetti ai lavori (10). Una relazione inversamente proporzionale tra crescita e sviluppo che pone le basi per un’inedita alleanza tra ambiente e operatori del settore. L’occasione per l’architettura di evolvere, anche solo opportunisticamente, per non soccombere.
*estratto dal saggio nel catalogo del Padiglione Italia Spaziale Ognuno appartiene a tutti gli altri/ Everyone belongs to everyone else alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia
1. Coscienti dell’argomento e delle sue implicazioni socio linguistiche, il titolo che proponiamo è scritto usando lo schwa o scevà, nome che indica una ‘e’ ruotata di 180°, ossia‘ə’; un simbolo adottato come nuova vocale per declinare le parole in modo inclusivo, cioè non connotato per genere. Ogni autore invitato a scrivere nella pubblicazione è stato libero di introdurre lo schwa al singolare ‘ə’ o al plurale ‘3’ come desinenza o di seguire l’uso convenzionale della lingua italiana, dotata di due generi grammaticali, dove si usa il maschile per nominare una collettività di persone di generi misti.
2. L’espressione deriva dalla locuzione latina parturient montes, nascetur ridiculus musche, tradotta letteralmente, significa: ‘I monti avranno le doglie del parto, nascerà un ridicolo topo’ (Orazio, Ars poetica, verso 139, 13 a.C.).
3. Permacrisi, dall’inglese permacrisis; con questa parola, come riporta la medesima voce nella sezione ‘Neologismi’ di Treccani.it, si fa riferimento “a una condizione di crisi permanente, caratterizzata dal susseguirsi e sovrapporsi di situazioni d’emergenza”.
4. Sul ruolo delle crisi rispetto alla disciplina architettonica, si veda l’intervista con Mirko Zardini intitolata ‘Despair is useless’, a p. 316 di questo volume, in riferimento alla pubblicazione Federica Doglio, Mirko Zardini, Dopo le crisi: 1973, 2001,2008, 2020, Lettera Ventidue Edizioni, Siracusa 2021, p. 20.
5. Claudia Durastanti, ‘Tuttoesaurito’, in Sotto il Vulcano, no. 4, agosto 2022, pp. 34–39.
6. Rory Hyde, Future Practice: Conversations from the Edge of Architecture, Routledge, New York2013, p. 17.
7. ‘2020 Global Status Report for Building and Construction’, Global Alliance for Buildings and Construction, UN Environment Programme.
8. Dai dati del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente del 2021 emerge come nei due anni di pandemia, nonostante il rallentamento del settore delle costruzioni, in Italia si siano consumati 2,2 metri quadri di suolo al secondo.
9. Cfr. Fabrizia Ippolito, Paesaggi frantumati. Atlante d’Italia in numeri, Skira, Milano 2019, pp. 698, 702: “Secondo il CENSIS gli studi di architettura si aggiudicano solo il16% del mercato della progettazione architettonica in Italia, secondo l’ANCE il 14%”. Un dato apparentemente esiguo, ma tra i più alti in Europa se si pensa che: “Tra i paesi che assorbono la quota maggiore del mercato potenziale dei servizi di progettazione, dopo la Germania e l’Italia si trova la Danimarca con il 13,4%, seguita dall’Olanda con il 10,6%. Turchia, Portogallo, Belgio, Svizzera e Grecia assorbono tra l’8% e il 7%. Il Regno Unito assorbe il 6,5%, la Repubblica Ceca e l’Austria assorbono intorno al 5%, la Lettonia il 4,2%, mentre la Finlandia e la Francia assorbono poco più del 3%”.
10. Ibid.: “In Italia la soddisfazione degli architetti riguardo al proprio lavoro è inferiore alla media europea”. Soprattutto perché: “In Italia gli architetti hanno un reddito medio annuo di meno di 20.000€, in Europa di circa 29.000€”.
Crediti: Installation view Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri, 2023, Padiglione Italia 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia Ph. Delfino Sisto Legnani – DSL STUDIO @delfino_sl @dsl__studio Courtesy of © Fosbury Architecture
VIDEO
Un teatro autobiografico
È così che può essere definita la mostra che FENDI insieme alla Fondazione Arnaldo Pomodoro dedica fino al 1° ottobre 2023 al grande Maestro della scultura italiana. Con Arnaldo Pomodoro. Il Grande Teatro delle Civiltà, a cura di Lorenzo Respi e Andrea Viliani, gli interni e gli esterni del Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR, che dal 2015 ospitano la sede romana della Maison, raccontano settant’anni di ricerca dell’artista, attraverso circa trenta opere realizzate da Pomodoro tra la fine degli anni Cinquanta e il 2021, e una serie di materiali d’archivio capaci di evocare lo spirito e l’atmosfera dello studio e dell’archivio dell’artista. In questo video un rapido assaggio del percorso espositivo che, negli spazi maestosi del palazzo, esplora l’interconnessione, nella pratica di Pomodoro, fra arti visive e arti sceniche mettendo in evidenza il rapporto tra dimensione progettuale dell’opera e realizzazione.
Crediti immagine: Arnaldo Pomodoro. Il Grande Teatro delle Civiltà. Installation view, Palazzo della Civiltà Italiana, Roma, 2023. Ph: Agostino Osio. Courtesy FENDI e Fondazione Arnaldo Pomodoro
Quel paravento di Mollino
“Che cos’è il paravento? È il violino. La musica non è il violino ma il violino produce la musica.” Dice così Fulvio Ferrari, fondatore del Museo Casa Mollino, in questa video intervista che racconta uno dei pezzi più importanti, e di certo il più affascinante, tra quelli che saranno protagonisti di Fine Design l’asta live che si terrà mercoledì 14 giugno nella sede milanese di Cambi Casa d’Aste. Si tratta di un paravento in legno dipinto con scene di caccia in stile barocco, appartenuto dagli Anni Trenta, per tutta la vita, a Carlo Mollino (1905-1973), geniale architetto, designer, fotografo torinese. Questo oggetto è protagonista di molte fotografie realizzate da Mollino che, se a un certo punto della vita smette di fare l’architetto, non smetterà mai di fotografare: uomo di grande cultura, conosce bene le architetture torinesi di Juvarra e Vittozzi, simili a quinte teatrali che abbracciano palazzi e piazze, e la stessa dinamica riproduce tra il paravento e l’oggetto della sua attenzione: il corpo femminile. Si può dire che il paravento sia parte del vero Mollino, quello fatto degli oggetti che trova, acquista e con cui costruisce il proprio mondo: un pezzo unico, carico di fascino emotivo, culturale, storico.
Crediti immagine: ©Cambi Casa d’Aste
EXTRA
Lo sguardo sulla città
Si chiama Perimetro Piacenza il progetto di collaborazione tra la sezione Arte di XNL Piacenza e il community magazine Perimetro che, grazie alle competenze del suo team editoriale, contribuirà alla realizzazione di un ritratto della città e delle persone che la abitano. Perimetro Piacenza si articola in tre momenti: una open call per fotografi che vogliono esplorare nuove narrazioni urbane (scadenza il 30 giugno 2023), un workshop per i cinque fotografi scelti coordinato dal fondatore di Perimetro Sebastiano Leddi, una campagna di ritratti che raccoglierà 100 figure e personalità della comunità insieme a una mostra. Una ricerca che concorre anche alla costruzione di un numero speciale della rivista, presentato in occasione della seconda edizione di XNL Aperto, iniziativa di arte contemporanea diffusa sul territorio cittadino, in programma dal 22 al 24 settembre 2023. Con questo progetto XNL Piacenza e Perimetro si troveranno a condividere attitudini e mission all’insegna di quel disegno immaginario che la rivista traccia ogni volta che posa lo sguardo su una città.
Partecipa anche tu! https://perimetro.eu/perimetro-piacenza/
Poesie e no
È dedicata a Lucia Marcucci, in occasione del suo novantesimo compleanno, la mostra Poesie e no a cura di Frida Carazzato a Museion, Bolzano. Dal 9 giugno e fino al 3 settembre gli spazi a ingresso gratuito di Museion Passage, al piano terra, dedicati alla valorizzazione della collezione museale e al legame con il territorio, celebrano le opere di una delle maggiori esponenti italiane della Poesia Visiva. Parte dell’Archivio di Nuova Scrittura, donato a Museion e al Mart da Paolo della Grazia nel 2020, le opere di Marcucci parlano dell’Italia del secondo dopoguerra, quella del boom economico ma anche delle contestazioni studentesche e dei movimenti femministi, periodo storico in cui molti artisti e artiste scelgono di esprimersi con mezzi non convenzionali e nuove tecniche interdisciplinari, come emerge anche dalle opere dell’artista. La mostra apre insieme a Time Frame, esposizione dedicata all’indagine del film documentario a cura di Saim Demircan, presentata all’interno dell’installazione Sonic Youth Pavilion di Dan Graham.
Crediti: Lucia Marcucci, Prima linea, 1965, collage su legno, 36 x 40 x 3 cm. Courtesy: Andrea Sirello
Un’Europa della Cultura
Martedì 13 giugno Catherine De Vries, dell’Università Bocconi, e la direttrice della Galleria Borghese Francesca Cappelletti sono protagoniste dell’incontro online Sul tempo: le narrazioni fondanti della Comunità Europea. Si tratta del secondo di cinque appuntamenti che compongono PER UN’EUROPA DELLA CULTURA: il ciclo di incontri promossi da Fondazione Palazzo Te e Blest – Università Bocconi, nell’ambito della Scuola di Palazzo Te 2023 e della stagione espositiva Mantova: l’Europa delle città. Fino al 4 luglio, il ciclo – a partecipazione gratuita con iscrizione obbligatoria al link: https://bit.ly/3Ntzq1I – presenta una serie di riflessioni scientifiche, storiche e filosofiche sul senso “culturale” dell’Europa. I dialoghi saranno successivamente presentati come documenti visivi e podcast e offriranno la base per la proposta di una dichiarazione sintetica sull’Europa culturale e le politiche culturali nel prossimo futuro.
BONUS TRACK
GLI SPAESATI. Alla ricerca dell’arte perduta
È online il primo episodio della terza stagione del podcast di Pistoia Musei dedicato all’arte pistoiese fuori dai suoi confini realizzato in collaborazione con Radio Papesse. In questa terza serie, di cui ogni mercoledì fino al 28 giugno sarà pubblicata una nuova puntata, Lorenzo Cipriani racconta le storie di opere realizzate fra XIX e XX secolo. Il primo episodio, online dal 7 giugno, è dedicato a Il matrimonio mistico di Kristian Zahrtmann, abbozzato dal pittore danese in un suo soggiorno a Pistoia e oggi esposto al Bornholms Kunstmuseum. Il prossimo appuntamento mercoledì 14 giugno è con una puntata dedicata agli affreschi realizzati da Giovanni Boldini per la Villa La Falconiera, ritenuti perduti e poi ritrovati grazie alla caparbietà della vedova del pittore. Le immagini delle opere raccontate dal podcast vengono di volta in volta pubblicate sui profili Instagram e Facebook di Pistoia Musei. Le puntate sono disponibili gratuitamente sul sito di Pistoia Musei, su Spotify e su tutte le principali piattaforme di streaming.