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TELESCOPE | racconti da lontano #175

    EDITORIALE Questa è la storia di due ritratti fotografici di uomini en travesti realizzati negli anni Trenta dall’artista tedesco Max Peiffer Whatenpul (1896–1976), pittore, pensatore irrequieto, frequentatore dei circoli d’avanguardia degli anni Venti e originale fotografo, così innamorato dell’Italia che durante la Seconda Guerra Mondiale decise, non potendo fare altrimenti, di raggiungerla a piedi, attraversando le Alpi e l’Austria. Anzi no, è la storia di una straordinaria collezione fotografica privata che andò in asta da Sotheby’s nel 1997, composta da 234 scatti di qualità museale, per lo più modernisti e dell’inizio del XX secolo, realizzati da autori internazionali tra cui Edward Weston, Florence Henri, Laszlo Moholy-Nagy, Robert Adamson, Alexander Rodchenko, Albert Renger-Patzsch, Andreas Feininger, Raoul Hausmann, Man Ray, e di cui facevano parte anche le fotografie di Peiffer. Anzi no, è la storia della fantomatica e raffinata collezionista proprietaria di questa collezione, Helene Anderson, che per proteggerla dall’avidità e dalla censura nazista la nasconde, e di suo figlio che dichiara di averla trovata dopo la sua morte e la mette in vendita.Anzi no, è la storia di Herbert Molderings, storico dell’arte esperto di fotografia modernista, che scopre l’origine della collezione e il nome del suo vero proprietario Kurt Kirchbach. Anzi no, è la storia di Kirchbach, industriale tedesco proprietario di un’azienda produttrice di pastiglie per freni e frizioni a Coswig, tra Dresda e Zwickau, e fornitore ufficiale dell’esercito tedesco. Già collezionista d’arte, Kirchbach aveva deciso di dedicarsi a una collezione di fotografia modernista, per il semplice motivo che non era ancora stata realizzata, guidato negli acquisti da Hildebrand Gurlitt, ambigua e controversa figura di mercante d’arte, sospettato di aver sottratto opere durante l’era nazista. Insomma, dentro le due fotografie di Peiffer, parte della serie Groteske, non c’è soltanto la dimostrazione di quanto il modernismo andasse veloce, infrangendo schemi, codici e barriere, ma anche di come nella storia di una collezione, ce ne siano tante, tantissime altre capaci di comporre, insieme, la storia di un’epoca. In questa centosettantacinquesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate il testo di Barbara Boninsegna, co-fondatrice e direttrice artistica di Centrale FIES, pubblicato sul magazine dell’istituzione; un estratto dal testo critico di Bruna Roccasalva, curatrice della mostra di Suzanne Jackson. Somethings In The World, quinta edizione di Furla Series di Fondazione Furla; il testo della curatrice, critica d’arte e giornalista Rossella Farinotti sulla mostra dell’ultima edizione del Premio Termoli al MACTE Museo d’arte contemporanea di Termoli.Tra i VIDEO presentiamo una breve suggestione di Onirica (), installazione dello studio multidisciplinare fuse* realizzata nella ex Chiesa di Sant’Agnese a Padova, oggi sede della Fondazione Alberto Peruzzo, e un intervento di David Lamelas dedicato alla sua opera Office of Information about the Vietnam War at Three Levels; The Visual Image, Text and Audio (1968) esposta nella sua mostra personale I Have To Think About It in corso alla Fondazione Antonio dalle Nogare di Bolzano.Tra gli EXTRA segnaliamo Megagalattico, allestimento di Irene Fenara per il primo appuntamento autunnale del progetto Garage Bentivoglio di Palazzo Bentivoglio a Bologna; Terre D’Istanti, l’opera pubblica commissionata a Chiara Gambirasio dalla città di Mapello (BG) per il trentesimo anno di gemellaggio con la città Sasbach (DE); e Hope, la nuova mostra in arrivo a Museion di Bolzano, che chiude la trilogia di mostre dedicate alle Techno Humanities. Buona lettura!Lo staff di Lara Facco P&C#TeamLara Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com TELESCOPE. Racconti da lontanoIdeato e diretto da Lara FaccoEditoriale e testi a cura di Annalisa InzanaRicerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Margherita Villani, Victoria Weston e Marta Zanichelli. domenica 24 settembre 2023RACCONTI   Perché l’Arte non si compie solo nel momento in cui va in scena ma è un processo lungo, delicato, quotidiano, di Barbara Boninsegna* Da quando Centrale Fies ha scelto di concentrarsi in modo preciso, dedicato e attento al lavoro annuale, decidendo di far emergere la ricerca quotidiana, i progetti speciali e le interconnessioni, rispetto alla narrazione più classica del festival annuale, sono successe molte cose. Immaginare una forma differente, forse meno attraente ma necessaria per l’ecosistema artistico, ha voluto dire lasciarsi alle spalle un pezzo di storia e un codice, quello legato alla parola/formula “festival”.Nel 2020, il centro di ricerca sulle pratiche performative contemporanee ha annunciato questo inizio di cambio di paradigma in cui la formula festival ha lasciato sempre più spazio a momenti di condivisione e aperture pubbliche degli esiti della ricerca annuale. Se nella fruizione del pubblico nulla è mutato, in questi anni c’è stato invece uno spostamento profondo che tocca le pratiche di curatela e i processi di selezione di artisti e artiste, che non approdano a Centrale Fies unicamente per la programmazione, ma fanno parte di una rete fitta di relazioni, progetti, cure e lunghi periodi di residenza.In questi ultimi 10 anni Centrale Fies ha messo a punto dispositivi, progetti, modalità per farsi strumento sempre diverso, a seconda dei cambiamenti agiti da chi pratica le arti contemporanee e a volte partiti da qui. Attraverso festival, progetti, call for artist, free school, residenze artistiche e public programme, Centrale Fies ha innescato un movimento simbiotico, una postura estrema, performante e profondamente legata al territorio e all’altrove. Un altrove inteso come “fuori” e come “alterità”, un altrove senza il quale niente di quello che da Centrale Fies viene coltivato, prodotto e divulgato avrebbe senso. Ad oggi a Centrale Fies ogni progetto è coprodotto oppure sostenuto e curato dal centro di ricerca stesso. Non utilizzare più la parola festival è stato dunque una questione semantica, di linguaggio, aderente a un diverso posizionamento che vuole insistere con un approccio olistico quasi contrario alla forma – sempre troppo contratta – del festival. È anche per questo approccio diverso al tempo e all’anno che, dal 2020, i pubblici di Centrale Fies hanno la possibilità di vedere da vicino prove aperte, produzioni, performance, exhibit, e di fruire degli incontri sulle linee di lavoro e sulle politiche culturali. *Testo della fondatrice e direttrice artistica di Centrale FIES dal magazine senza nome del centro, uscito il 14 settembre con, in copertina, la frase ispirante Tell Mum The Spell Worked. Da ottobre il magazine sarà disponibile online su centralefies.it Crediti: Centrale Fies, credit Luca Chistè / Tell Mum The Spell Worked / Tell Mum The Spell Worked / Centrale Fies FURLA SERIES. SUZANNE JACKSON. Somethings in the World, di Bruna Roccasalva* Suzanne Jackson è un’artista americana la cui pratica abbraccia un campo d’indagine ampio che esplora le potenzialità della pittura e si nutre di esperienze nella danza, nel teatro, nella poesia. La sua produzione iniziale di matrice pittorica e figurativa, popolata di personaggi, animali, simboli ancestrali e riferimenti alla natura, si evolve negli anni approssimandosi progressivamente all’astrazione, fino ad approdare all’elaborazione di un vocabolario molto personale in cui la pittura assume una dimensione scultorea e ambientale.Somethings in the World nasce dall’idea di ripercorrere e presentare i diversi momenti della produzione di Jackson rintracciandone gli elementi ricorrenti, dagli esordi fino agli esiti più recenti, attraverso una selezione circoscritta e puntuale delle famiglie di opere più rappresentative. L’insieme delle ventisette opere in mostra crea una narrazione che accompagna il visitatore all’interno dell’universo dell’artista, evocando allo stesso tempo un confronto e un dialogo con il contesto della GAM e le opere della collezione permanente: dal nitido neoclassicismo di Canova, ai dipinti divisionisti di Segantini, Previati e Pellizza da Volpedo, fino alle straordinarie sperimentazioni di luce e materia delle sculture di Medardo Rosso.Il titolo della mostra ribadisce come per Suzanne Jackson sia la sua esperienza “nel” mondo e “del” mondo a essere innanzitutto restituita nel suo lavoro, scandito infatti da fasi sempre strettamente correlate alle sue vicende biografiche e che confluiscono le une nelle altre, mescolandosi e confondendosi continuamente negli anni: un intrecciarsi costante della dimensione privata e personale con quella artistica e professionale che la mostra racconta attraverso un percorso espositivo costruito non cronologicamente ma per associazioni e corrispondenze, a sottolineare legami e continui rimandi tra temi, tecniche e linguaggi.Il lavoro di Jackson, personaggio poliedrico il cui evolversi come artista deriva da esperienze maturate nel tempo, va letto come il risultato della sedimentazione di queste esperienze, ovvero come una narrazione riscritta continuamente e in cui ogni volta restano le tracce di una memoria, di “esperienze di memoria” come le definisce l’artista, che nel loro accumularsi costruiscono la sua identità. Per questo, ad aprire il percorso espositivo sono tre opere di periodi diversi che raccontano come questa sedimentazione non solo sia una chiave di lettura indispensabile per inquadrare la figura di Jackson, ma entri a far parte del lavoro stesso come attitudine al fare, come modalità di approccio all’opera. La maggior parte delle opere di Suzanne Jackson, se non tutte, sono infatti il risultato di lunghi processi di stratificazione, sia da un punto di vista tecnico e materiale, che in termini iconografici e di significato: vedere come questa attitudine alla “stratificazione” cambi nel tempo vuol dire seguire l’evoluzione della sua ricerca, perché va di pari passo con i suoi esperimenti sulle capacità strutturali della pittura. *estratto dal testo critico realizzato per la mostra SUZANNE JACKSON. Somethings in the World quinta edizione del progetto Furla Series. Mostra promossa da Fondazione Furla e GAM Galleria d’Arte Moderna di Milano e ospitata fino al 17 dicembre 2023 alla GAM Galleria d’Arte Moderna di Milano. Crediti per tutte le immagini : Furla Series – Suzanne Jackson. Somethings in the World, 2023. Installation view of the exhibition promoted by Fondazione Furla and GAM – Galleria d’Arte Moderna, Milan. Ph. Andrea Rossetti / Héctor Chico. Courtesy Fondazione Furla Finire l’estate a Termoli, di Rossella Farinotti Andare al MACTE alla fine di ogni estate è ormai un rito consueto. Passare a Termoli per vedere la mostra che la direttrice Caterina Riva ha aperto in primavera inoltrata è un’azione consolidata. Lo scorso anno i visitatori potevano scoprire una selezione di opere legate agli anni Novanta appartenenti a un’importante collezione privata sul territorio, dal titolo L’esca, dove ogni opera aveva un supporto narrativo estrapolato dai singoli racconti dei collezionisti in rapporto al lavoro acquistato o all’artista. Quest’anno, invece, ricorreva lo storico Premio Termoli, nato nel 1955 come evento inizialmente annuale. Si tratta di uno dei premi tra i più generosi in Italia e in cui sono passati, sin dagli esordi, artisti importanti e che, anche negli ultimi anni – mutato in premio biennale e su invito – ha incluso curatori attenti alle estetiche e ricerche spesso sofisticate nel panorama italiano transgenerazionale. Il Premio Termoli, infatti, non ha limiti d’età: un fattore interessante per creare, ogni volta, un percorso espositivo che pone a confronto diversi linguaggi (pittura, azioni installative, sculture, video, metafotografia) attraverso approcci diversissimi per impatto estetico, modo operativo di lavorare il proprio medium e interazione con lo spazio. Questa 63esima edizione è stata curata da Cristiana Perrella, a soli pochi giorni di distanza dal progetto Panorama sviluppato nella regione accanto, in Abruzzo, a L’Aquila, insieme a un comitato scientifico di supporto che, singolarmente, ha individuato e proposto gli artisti, realizzando poi la mostra.Gli artisti: da Luca Bertolo, punto di riferimento stilistico e critico (per via dei suoi scritti, oltre che per la sua pittura consolidata) delle ultime generazioni di pittori, a Giulia Cenci con un’opera ormai timbro della sua produzione di cui rielaborazioni e i diversi approcci installativi si sono visti dalla Biennale di Venezia al Premio Cairo; dallo stile consolidato di un’altra maestra della pittura come Lorenza Boisi, alla sala di Diego Cibelli (l’installazione più votata dal pubblico del museo) che mette in atto una poetica legata a media diversi, con un’attenzione alla materia artigianale come rielaborazione di un soggetto. C’è poi il dittico di Michele Tocca, che accoglie il visitatore già dall’entrata al museo, dove un piccolo dipinto fa da contrappunto a una lunga tela verticale che rappresenta una delle sue giacche appese, un soggetto ricorrente nell’opera del pittore romano. Anche Chiara Enzo, che si aggiudica il primo premio, quello dell’acquisizione da parte del museo, ha un dittico, ma di piccole dimensioni – cifra stilistica dell’artista – che indaga con minuzia i dettagli della carne e del corpo umano. In questo caso il dittico, dal titolo Strettamente legati, dichiara una narrazione intrinseca. Raffinato il lavoro virato in blu di Linda Fregni Nagler che, dall’altro lato della parete, viene bilanciato dal rosso della doppia opera di Valerio Nicolai, anch’essa riconoscibile e nota agli occhi di chi conosce l’operatività dell’artista. Eugenio Tibaldi e Luca Monterastelli hanno interagito con lo spazio con attenzione: il primo in maniera scenografica, poetica, immersiva; il secondo, attraverso una grande installazione di materiale industriale, dialogando coerentemente con lo spazio. Una stanza, la sua, che sedimenta bene nell’immaginario del fruitore. Sempre nelle sale laterali si trovano le opere di Irene Fenara – vincitrice del secondo premio, una mostra monografica in programma per l’autunno 2024 – che, come Monterastelli, ha guardato lo spazio interagendoci con equilibrio e impatto attraverso una grande installazione e piccoli frammenti, e Adelita Husni-Bey che ha portato in mostra l’opera della Biennale di Venezia The reading / La seduta (2017).Il Premio Termoli ha una duplice ricerca, divisa tra la sezione Arti Visive, qui raccontata, e quella di Architettura e Design dove i vincitori sono stati un talentuoso duo: Sara&Sara (Ljubljana). Viva il MACTE. Crediti: Chiara Enzo, Strettamente Legati [Il profilo di mia madre], 2023, 63 Premio Termoli, Museo MACTE, Termoli 2023. Foto © Gianluca Di Ioia / Irene Fenara, Supervision (Leaves and other blurrings), 2021, 63 Premio Termoli, Museo MACTE, Termoli 2023. Foto © Gianluca Di Ioia / Diego Cibelli, La devozione della cura, 2023, 63 Premio Termoli, Museo MACTE, Termoli 2023. Foto © Gianluca Di Ioia / Sara & Sara, Parasol LibraryVIDEO Algoritmi sognanti La Fondazione Alberto Peruzzo ha portato nella navata dell’ex chiesa di Sant’Agnese, oggi sede della Fondazione, Onirica () un’installazione audiovisiva realizzata dallo studio artistico multidisciplinare fuse*, rielaborando 28.748 testimonianze di sogni conservate nelle Banche dei Sogni dell’Università di Bologna e dell’Università della California Santa Cruz. Fino al 15 ottobre la mostra, presentata in anteprima italiana, esplora la capacità creativa della mente umana durante il sonno e le potenzialità espressive delle macchine intelligenti. Un’esperienza immersiva e polifonica di cui vi offriamo un breve assaggio e che, grazie all’utilizzo di algoritmi di apprendimento automatico, capaci di tradurre in immagini contenuti testuali, riunisce le visioni notturne in un flusso continuo di immagini in movimento. Il tutto con la regia e l’indirizzo estetico di fuse* che hanno usato l’intelligenza artificiale come assistente creativo. GUARDA  Crediti: Installation view. Onirica () by fuse*. Fondazione Alberto Peruzzo. Foto © Ugo Carmeni 2023Il grado zero dell’informazione In questo video, l’artista argentino David Lamelas (Buenos Aires, 1946), protagonista fino al 24 febbraio 2024 della mostra I Have To Think About It a cura di Eva Brioschi e Andrea Viliani alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano, racconta la sua opera Office of Information about the Vietnam War at Three Levels; The Visual Image, Text and Audio presentata nel 1968 alla Biennale di Venezia. Un’opera che, come dice l’artista, aveva l’obiettivo di portare la comunicazione al suo grado zero, ossia privo di qualsiasi aggiunta ideologica o interpretazione, e consisteva nella lettura in quattro lingue, delle notizie che arrivavano quotidianamente in diretta dal fronte, trasmesse dall’agenzia ANSA. Quest’opera sarà protagonista sabato 30 settembre, in occasione dell’inaugurazione di Part II, la seconda riconfigurazione della mostra che prevede un cambio di allestimento, di una conversazione tra l’artista, la curatrice Sabine Breitwieser e il curatore Andrea Viliani. GUARDA  Crediti video:  David Lamelas talks about his artwork Office of Information about the Vietnam War at Three Levels: The Visual Image, Text and Audio at the Foundation. Video: Armin Ferrari, Riff Video Crediti immagine: Ugo Mulas, David Lamelas. Office of Information about the Vietnam War at Three Levels: The Visual Image, Text and Audio, XXXIV Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1968, Fotografie Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati, Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano /NapoliEXTRA Metti l’arte in vetrina Su via del Borgo di San Pietro 3/A a Bologna c’è una vetrina che fino al 14 ottobre ospita l’allestimento dell’opera Megagalattico (2017) di Irene Fenara (Bologna, 1990). Di cosa si tratta? Della prima edizione autunnale di Garage Bentivoglio, progetto che fino all’inizio del prossimo anno offrirà allo sguardo di curiosi e passanti una singola opera osservabile dalla strada, come un oggetto nella vetrina di un qualsiasi negozio. Questo progetto di “quasi” arte pubblica nasce dalla generosa volontà di condivisione del proprio patrimonio che Palazzo Bentivoglio mette in atto, già da tempo, con mostre ed eventi speciali negli spazi del palazzo e del giardino. I protagonisti dei prossimi allestimenti in vetrina saranno gli artisti e designer Agostino Iacurci, Matteo Nasini, Ico Parisi e Ilmari Tapiovaara.  Crediti: Instalaltion view. garage BENTIVOGLIO, Irene Fenara, Megagalattico (2017). Foto Carlo FaveroEntrare nella montagna Realizzata in malta, pigmenti e gasbeton, Terre d’Istanti è un’opera pubblica monumentale di dieci metri per cinque, alta un metro e sessanta, composta da due montagne disposte specularmente così da creare un passaggio che permetta a chiunque di entrarvi e sostare. Da oggi, domenica 24 settembre, nello storico borgo di Mapello (BG), quest’opera realizzata da Chiara Gambirasio, a cura di Roberto Mauri, celebra il trentesimo anno del gemellaggio con la città tedesca di Sasbach, testimoniando il legame tra due luoghi distanti geograficamente ma uniti da storie e tradizioni. Commissionata dal Comune, l’opera riproduce la forma dell’italiano Monte Linzone, la montagna che domina Mapello, e del tedesco Monte Hornisgrinde, che invece domina Sasbach, e vista dall’alto si presenta come una fusione tra le carte geografiche delle due città. La parte interna delle montagne si presenta invece come una raggiera di trenta colori, che richiama a un tempo geologico ma anche a un nucleo carico di memoria che ci proietta verso il futuro. Crediti: Chiara Gambirasio, Terre D’Istanti, 2023, modellinoCome un’astronave Esattamente 15 anni fa veniva inaugurato il nuovo edificio di Museion, spesso descritto come un’architettura extraterrestre, un UFO atterrato nel centro di Bolzano: dal 30 settembre, con la mostra collettiva HOPE, curata da direttore Bart van der Heide e Leonie Radine in collaborazione con il musicista, teorico e scrittore De Forrest Brown, Jr., si torna a sottolineare questa immagine simbolica del museo come astronave, capsula del tempo, portale per un’altra dimensione. HOPE conclude la trilogia espositiva TECHNO HUMANITIES con un’ode alla Scienza e al suo legame con i musei come luoghi di costruzione del mondo, di produzione di meraviglia, occupando tutta la superficie espositiva con opere transdisciplinari di artiste e artisti appartenenti a diverse generazioni.Vuoi partecipare alla press preview? Clicca qui.   Crediti: AbuQadim Haqq, Museion Wormhole, 2023. Courtesy / © the artistSei un giornalista, un critico, un curatore?Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE?Scrivici su telescope@larafacco.com Se vuoi ricevere TELESCOPE anche tu, scrivi a telescope@larafacco.com L’archivio completo di TELESCOPE è disponibile sul sito www.larafacco.com 

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