EDITORIALE Si chiama Villa Sbertoli ma in realtà è un complesso di due ville – Villa Franchini Taviani e Villa Tanzi Lugaro – costruite tra il XVII ed il XVIII secolo nella località di Collegigliato, che si affaccia sullo splendido panorama della valle sottostante. Vi si accede da un viale di cipressi che conduce a un grande cancello che immette in un giardino oggi completamente abbandonato e simile a un bosco selvaggio. Con la sua facciata superba, i pavimenti maiolicati, il salone affrescato circondato da un ballatoio con ringhiere squisitamente barocche, la ormai decadente Villa Tanzi Lugaro è diventata il simbolo di questo complesso. Si racconta che, a qualunque ora del giorno e della notte, dal salone principale si senta suonare un pianoforte come anche, dagli altri edifici del complesso, si sentano rumori, pianti, voci e grida di chi negli anni li ha abitati. Sì, perché Villa Sbertoli dal 1868 al 1978 – anno in cui con la Legge Basaglia vennero chiusi tutti – era il Manicomio di Pistoia.Chi suona quel pianoforte? Pare sia il figlio del Professor Agostino Sbertoli (1827 – 1898), medico psichiatra proprietario della villa e fondatore della casa di cura, che secondo la leggenda diede avvio al progetto soprattutto per offrire al figlio, affetto da disturbi mentali, un luogo familiare in cui essere curato. Molti in zona sono convinti che la villa sia infestata dallo spirito del ragazzo e da quelli dei tanti sventurati che lì sono stati rinchiusi, e di certo quelle pareti sono impregnate di sofferenza, come raccontano anche le tante scritte, disegni, graffiti che ancora oggi conservano. Tra questi, alcuni raccontano il mondo di un uomo semplice e sofferente, che amava la Natura e la caccia, e la cui identità è stata solo recentemente e faticosamente ricostruita: si chiamava Giuliano e al Manicomio di Pistoia ha passato quarant’anni, dal 1952 al 1991. Le pareti della villa sono ricoperte da tantissimi suoi disegni, case rosa, alberi, uomini barbuti, fiori, fucili, strumenti di campagna, ma anche ricette, liste, cose che succedevano – non belle – tra quelle mura, che lui copriva di colore la notte, spostando gli armadi, e godendosi il silenzio. Chissà se anche lui sentiva il pianoforte. In questa centosettantottesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un testo della storica, critica d’arte e docente Jacqueline Ceresoli dedicato alla mostra Mario Schifano. TUTTO nelle carte… in corso da GióMARCONI a Milano; un racconto della giornalista e critica fotografica Francesca Orsi dedicato alla mostra Mapplethorpe e Von Gloeden. Beauty and Desire al Museo Novecento di Firenze; e un estratto dall’intervista a Lorenzo Mattotti fatta da Melania Gazzotti, curatrice della sua mostra Storie. Ritmi. Movimenti realizzata da Fondazione Brescia Musei al Museo Santa Giulia di BresciaNella sezione VIDEO proponiamo il trailer del film Gilardi: Tappeto-Natura di Domenico Palma, che viene presentato oggi in anteprima italiana all’interno della 28ª Edizione di ARTECINEMA; e un video dedicato alla mostra Onirica (), ancora per oggi visibile negli spazi della ex Chiesa di Sant’Agnese a Padova, sede della Fondazione Alberto Peruzzo.Tra gli EXTRA, infine, segnaliamo le nuove mostre di CAMERA a Torino, André Kertész. L’opera, 1912-1982 e Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari; l’appuntamento con il design internazionale d’autore dell’asta Design 200 da Cambi Casa d’Aste; e la nuova mostra della Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca Pensiero video. Disegno e arti elettroniche. Buona lettura!Lo staff di Lara Facco P&C#TeamLara Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com TELESCOPE. Racconti da lontanoIdeato e diretto da Lara FaccoEditoriale e testi a cura di Annalisa InzanaRicerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Margherita Villani, Victoria Weston e Marta Zanichelli. domenica 15 ottobre 2023RACCONTI Mario Schifano. TUTTO nelle carte… di Jacqueline Ceresoli Ci sono retrospettive che aprono nuove letture della storia dell’arte del Novecento e il suo valore dissolto nel flusso delle immagini nella modernità: è il caso della mostra Mario Schifano TUTTO nelle carte, a cura di Alberto Salvadori, con il supporto dell’Archivio Mario Schifano, presentata nei tre piani di Fondazione Marconi / Giò Marconi a Milano, in cui le opere su carta – dai Monocromi per arrivare a Compagni compagni degli anni Sessanta e Paesaggio TV (1970) – colgono la sua voracità di vivere e la necessità di sperimentare nuovi linguaggi in funzione di una società e una cultura sempre in movimento.Per Mario Schifano (Homs, Libia 1934 – Roma 1998), pittore e regista, l’arte è TUTTO ciò che vive sulla sua pelle e coscienza, in relazione a cultura, spazio umano, città, amori e passioni, e le opere su carta rappresentano un diario di viaggio, la possibilità di entrare nel suo occhio prima che nel sentimento (per citare il titolo di un’opera in mostra), dentro il suo modo di fissare l’istante, l’idea fulminante, il concetto su un qualsiasi supporto. Le opere su carta sono la testimonianza della curiosità e del bisogno di Schifano di sperimentare il nuovo in relazione al suo tempo, per modificare il modo di pensare e guardare il mondo.L’artista reinventa la realtà attraverso la pittura, indifferentemente dal supporto, in dialogo e opposizione alla Pop Art e il New Dada, e si chiede quali possano essere gli ambiti della creazione, domanda riscontrabile nelle carte e nei dipinti, dai monocromi alla segnaletica, come nella politica, l’amore e amicizia. L’autore lavora per cicli, tra gli altri Paesaggi anemici (1965), le serie dedicate alla storia dell’arte come Futurismo rivisitato (1966) e Ossigeno Ossigeno, Oasi e Compagni compagni; in queste troviamo stilemi anticipati dalle opere su carta, o in innovative pellicole come Anna Carini vista in agosto dalle farfalle, che Schifano presenta nel 1967 allo Studio Marconi, di cui diventa uno degli artisti più rappresentativi. Dagli anni Settanta, dopo il periodo delle contestazioni politiche e sociali, Schifano sperimenta Paesaggio Tv riportando immagini televisive su tela emulsionata, cui aggiunge interventi cromatici con smalti industriali; anche in questi lavori troviamo il riflesso di un’organizzazione sociale, che critica con il suo fare arte. Sono carte/mappe che richiedono attenzione, svelano il rapporto di somiglianza con i dipinti degli anni dell’americanizzazione dell’Italia, i primi monocromi in cui rivisita la grafica della strada e altri “attraversamenti” fotografici e pittorici. È stato scritto di tutto e di più di Schifano, del linguaggio di una personalità complessa in cui vita e opere convergono, capace di trasformare tutto in pittura e azione. Nelle sue opere il caos rientra nell’ordine, ma per capire come, bisogna frequentarlo, conoscere le sue opere su carta, che registrano i moti rivoluzionari del suo pensiero e ci interrogano sul perché l’Arte è una condizione condizionante nel flusso di una modernità senza coscienza. Crediti: MARIO SCHIFANO. TUTTO nelle carte…. Curated by Alberto Salvadori. 22.09.2023 –04.11.2023. Installation view Gió Marconi, Milan. Photo: Fabio Mantegna. Rompere gli argini, di Francesca Orsi Quanto l’autoritratto di Robert Mapplethorpe, datato 1985, con corna e sguardo imperturbabile, e Il fauno di Wilhelm von Gloeden siano affini è strabiliante. A parte la perizia ossessiva di entrambi per la composizione dell’immagine, l’uso delle luci e la messa in scena, anche per una mera questione figurativa di somiglianza visiva. Mapplethorpe sembra il Fauno e il Fauno sembra Mapplethorpe. Chissà se il fotografo americano conoscesse il lavoro di fine Ottocento del fotografo tedesco. Certo, la riproduzione della figura del dio della campagna, dei pascoli e dell’agricoltura era cosa già vista e usata, ma, il loro comune tema esplicitamente omoerotico li rese, ognuno del proprio periodo storico, veri provocatori, artisti che seppero rompere gli argini della morale e anche dell’estetica del momento.Questo confronto tra i due artisti, i loro punti di dialogo, è materia espositiva della mostra Beauty and Desire, a cura di Sergio Risaliti, assieme a Eva Francioli e Muriel Prandato, al Museo Novecento di Firenze fino al 14 febbraio 2024. Un’esposizione che più generalmente vuole porre l’attenzione sulle influenze della classicità all’interno del corpus di lavoro di Robert Mapplethorpe, un concetto di classicità, in questo caso, attinto dal corposo Archivio Alinari, e figurativamente rappresentato da fotografie di fine Ottocento e inizi Novecento, tra cui quelle di von Gloeden, per l’appunto.Ma mentre l’immaginario arcadico di Wilhelm von Gloeden risulta intriso di una lascività che rimane a livello evocativo, Mapplethorpe, da autore contemporaneo quale è, mostra apertamente e sfrontatamente un’eroticità che si rende scultura e che si manifesta sulla pelle dei corpi ritratti, e non solo attraverso essi. Così, riprendendo quell’analogia iconografica iniziale, tra il suo autoritratto del 1985 e Il fauno di fine Ottocento di Wilhelm von Gloeden, risulta strabiliante per la somiglianza dei soggetti e sicuramente per la capacità di entrambi di aver reso arte un tema – ancora controverso negli anni Settanta, figuriamoci alla fine dell’Ottocento – come l’omoeroticità. Ovviamente i tempi più recenti hanno concesso a Mapplethorpe di spingersi oltre von Gloeden, di caricare le sue immagini della potenza del manifesto, esplicite e impavide.A dedicare uno dei ricordi più poetici e commoventi del fotografo americano la sua eterna amica Patti Smith nel suo libro Just kids: “Ci salutammo e lasciai la stanza. Qualcosa mi spinse a tornare indietro. Era scivolato in un sonno leggero. Restai a guardarlo. Così sereno, come un bambino vecchissimo. Aprì gli occhi e mi sorrise. “Sei già tornata?” Poi si riaddormentò. L’ultima immagine di lui fu come la prima. Un giovane che dormiva ammantato di luce, che riapriva gli occhi col sorriso di chi aveva riconosciuto colei che mai gli era stata sconosciuta”. Crediti: Beauty and Desire, Installation view, Ph. Michele Alberto Sereni, courtesy Museo Novecento Firenze, The Robert Mapplethorpe Foundation New York, Archivi Alinari – Archivio von Gloeden Firenze. Intervista a Lorenzo Mattotti, di Melania Gazzotti* MG: Quali sono stati i tuoi primi ascolti e come ti hanno inizialmente influenzato?LM: Ho avuto la possibilità di vivere da vicino e ancora giovanissimo l’arrivo in Italia della musica rock. I miei fratelli maggiori suonavano entrambi la chitarra elettrica e portavano a casa i primi dischi che circolavano di Bob Dylan, dei Grateful Dead, dei Quicksilver e degli Who. Poi è iniziata la stagione dei concerti, andavamo soprattutto a Milano, ed è lì che ho ascoltato musicisti come i Pink Floyd, i King Crimson e Frank Zappa. Queste esperienze sono state fondamentali e hanno ispirato il mio immaginario visivo, tanto che tutta la mia produzione iniziale di fumetti è strettamente legata alla musica di quel periodo. La mia prima storia originale si intitola Darkstar (1973), come la canzone di Jerry Garcia: sono tre tavole nelle quali ho cercato di tradurre in disegno le sensazioni che quelle note provocavano in me.MG: E questi ascolti dove ti hanno portato?LM: È ascoltando il rock che mi sono anche avvicinato al mondo dell’underground. Nei primi anni Settanta, quando vivevo a Como, ho iniziato a disegnare manifesti e a pubblicare disegni e strisce sulla stampa alternativa, su riviste come “Eureka”, “Gong” e “King Kong”, un’esperienza che si è fatta più intensa con il mio trasferimento a Milano. Erano gli anni dei grandi festival; questi eventi collettivi erano momenti di condivisione e liberazione, dove oltre alla musica anche la danza aveva un ruolo fondamentale. Danzare in modo libero, esprimersi attraverso il corpo, seguendo le vibrazioni della musica era un modo per rompere gli schemi. Mi è interessato fin da allora riuscire a cogliere con il disegno l’energia e la positività che sprigionano i corpi in movimento. Poi, sempre nel 1977, la casa editrice alternativa Edizioni Ottaviano ha pubblicato il mio primo fumetto Alice brum brum, una versione metropolitana del romanzo di Lewis Carroll, in cui musica e movimento giocano un ruolo importante.MG: La collaborazione con Lou Reed è invece arrivata diversi anni dopo: com’è andata?LM: Amavo la musica di Lou Reed e in particolare la sua voce mi ha influenzato nella maniera di disegnare, in un certo periodo. Quando mi ha contattato è stata una vera sorpresa: ho ricevuto una chiamata dal suo agente, che mi ha annunciato che Lou Reed voleva lavorare con me e subito dopo me lo ha passato. Ho cercato immediatamente di capire se potevo dare una mia interpretazione dei testi di Edgar Allan Poe che mi proponeva di illustrare, visto che anche lui li aveva interpretati nel suo disco liberamente, seguendo la musicalità delle parole e creando atmosfere. Lou Reed mi ha lasciato carta bianca. Ho potuto così ispirarmi alla musica e alla sua voce più che al testo per disegnare le tavole di The Raven (2011), un lavoro a cui tengo molto e che sono felice che venga esposto nella mostra di Brescia nella sua interezza. *estratto dall’intervista nel catalogo della mostra realizzata da Fondazione Brescia Musei, Lorenzo Mattotti. Storie, Ritmi, Movimenti in corso fino al 28 gennaio al Museo di Santa Giulia a Brescia Crediti: Lorenzo Mattotti, Storie, ritmi, movimenti. Installation shot. Fondazione Brescia Musei, 2023. Ph. Alberto Mancini.VIDEO Solo anteprime In questa ultima giornata di programmazione della 28ª Edizione di ARTECINEMA, Festival Internazionale di Film sull’Arte Contemporanea a cura di Laura Trisorio, il Teatro Augusteo di Napoli presenta, accanto ai docufilm di Vittorio Bongiorno Ask the Sand (ore 16.30) dedicato ad Arcosanti, prototipo di città sperimentale dell’architetto italiano Paolo Soleri a Phoenix in Arizona, e di Matteo Parisini Infinito. L’universo di Luigi Ghirri (ore 18.00), sono ben quattro anteprime italiane in programma. Alle 19.40 Picasso sans légende, di Manuelle Blanc, che si interroga ancora sulla figura di questo grande artista e sulle ragioni profonde della sua arte; alle 20.50 Gilardi: Tappeto-Natura di Domenico Palma, un delicato ritratto dell’artista, la sua ricerca e del suo metodo a pochi mesi dalla scomparsa, di cui potete vedere il trailer; alle ore 21.15 Anicka Yi – Art21 di Malika Zouhali-Worrall, che racconta la ricerca dell’artista fra arte e scienza; e per ultimo alle 21.40 The Mies van der Rohes di Sabine Gisiger, che esplora la vita privata e l’universo artistico del grande architetto e designer tedesco attraverso le parole della figlia Georgia. Ingresso gratuito! GUARDA Crediti video: Gilardi: Tappeto-Natura, di Domenico Palma, United States, 2023, 21’, English, ItalianCrediti immagine: Gilardi: Tappeto-Natura, di Domenico Palma. Still da VideoUn viaggio nei sogni Oggi è l’ultimo giorno per visitare Onirica (), l’installazione audiovisiva dello studio artistico multimediale fuse* che abita gli spazi dell’ex Chiesa di Sant’Agnese di Padova, ora sede della Fondazione Alberto Peruzzo. Un progetto affascinante e ambizioso, che partendo dal patrimonio archiviato in due Dream Bank – quella dell’Università di Bologna e dell’Università della California Santa Cruz – e utilizzando algoritmi di apprendimento automatico, capaci di tradurre in immagine contenuti testuali, ha riunito in un flusso continuo di immagini in movimento le visioni notturne archiviate, attivando riflessioni inedite sul rapporto tra essere umano e macchina, tra strumento e creatore. Un’esperienza immersiva da non perdere, realizzata grazie alla combinazione tra creatività umana e capacità combinatoria dell’algoritmo, perché se la macchina è in grado di proporre infinite traduzioni di racconti onirici in immagini e voci, le scelte estetiche e di significato restano in mano a fuse*. GUARDA Crediti video: Onirica (), by fuse*. Fondazione Alberto Peruzzo. Video di Matteo TorsaniCrediti immagine: Installation view. Onirica (), by fuse*. Fondazione Alberto Peruzzo. Foto © Ugo Carmeni 2023EXTRA Un maestro e quattro giovani fotografi Dal 19 ottobre CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino apre la sua stagione autunnale con due nuove mostre: l’antologica dedicata ad André Kertész, uno dei maestri assoluti della fotografia del XX secolo, e la collettiva Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari, che nella Project Room presenta i lavori di quattro giovani artisti in dialogo con il patrimonio fotografico dello storico archivio fotografico italiano. Se la mostra di Kertész, realizzata in collaborazione con la Médiathèque du patrimoine et de la photographie di Parigi, e curata da Matthieu Rivallin e Water Guadagnini, ripercorre la sua carriera attraverso più di centocinquanta immagini, ricostruendo anche la lista delle opere esposte dall’artista alla Biennale di Venezia esattamente 60 anni fa, quella dedicata al patrimonio dell’Archivio Alinari, a cura di Giangavino Pazzola e Monica Poggi, nasce da un progetto di CAMERA e FAF Toscana – Fondazione Alinari per la Fotografia, finalizzato all’incremento del patrimonio fotografico pubblico. Grazie a questa committenza i giovani fotografi Matteo de Mayda, Leonardo Magrelli, Giovanna Petrocchi e Silvia Rosi, stanno realizzando progetti che, partendo dalle raccolte Alinari, indagano il tema degli archivi come fondamentali giacimenti di storie da interrogare e ampliare. Crediti: André Kestész, Danseuse satirique, Paris, 1926; © Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GPLa storia del design in asta Si intitola Design 200 perché sono 200 i lotti del prossimo appuntamento milanese di mercoledì 18 ottobre da Cambi Casa d’Aste. Tutti gli appassionati del design d’autore troveranno in catalogo oggetti disegnati da grandi maestri nazionali e internazionali, protagonisti assoluti del Novecento, dalla raffinata cassettiera in legno e ottone realizzata nel 1950 da Gio Ponti, alle splendide lampade da terra e da tavolo di Gae Aulenti, dalle sedie modello Africa prodotte nel 1970 firmate da Afra e Tobia Scarpa, all’essenziale libreria realizzata da Ilmari Tapiovaara, e ancora lampade, specchi e specchiere disegnate da Max Ingrand e molto altro ancora. Un’occasione imperdibile per chi volesse acquisire un pezzo unico, un’icona della storia del design internazionale; per chi invece volesse soltanto ammirare questi oggetti, sono ancora esposti lunedì 16 e martedì 17 ottobre dalle ore 10-19 nella sede milanese della maison. Consulta il catalogo! Crediti: ©Cambi Casa d’AsteIl disegno anticipatore Quanto è ferma l’immagine sulla carta? E quanto è davvero mobile quella dei dispositivi elettronici? Dal 21 ottobre negli spazi della Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti – ETS a Lucca, la mostra collettiva Pensiero video. Disegno e arti elettroniche, a cura di Andreina Di Brino, partendo dalle riflessioni di Carlo Ludovico Ragghianti sull’importanza del disegno come parte fondamentale del processo creativo, presenta un racconto storico – dagli anni Quaranta del Novecento al digitale odierno – sul potere del segno. Realizzata con il supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e il sostegno di Banco BPM, la mostra presenta opere di Lucio Fontana, Hans Namuth – Paul Falkenberg – Jackson Pollock, Mario Schifano, Wolf Vostell, Gianni Toti, Fabrizio Plessi, Studio Azzurro, Bill Viola, William Kentridge, Grazia Toderi, Giacomo Verde, Michele Sambin, Nalini Malani, Quayola, Nam June Paik, che vanno dagli schizzi ai disegni compiuti, dagli studi ai modelli, che rivelano come la pratica del disegno sia custode di una molteplicità di fattori capaci di intercettare tendenze, risvolti sociali, culturali e politici che a volte anticipano scenari inesistenti. Da non perdere. Crediti: Nam June Paik, »TV Story Board«, from the series »V-IDEA«, 1984, etching on paper, 47,3 x 54,6 cm, collection: ZKM | Center for Art and Media. © Nam June Paik; Foto © ZKM | Zentrum für Kunst und Medien, Foto: ONUKSei un giornalista, un critico, un curatore?Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE?Scrivici su telescope@larafacco.com Se vuoi ricevere TELESCOPE anche tu, scrivi a telescope@larafacco.com L’archivio completo di TELESCOPE è disponibile sul sito www.larafacco.com |
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