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TELESCOPE | racconti da lontano #197

EDITORIALE

Nel 1981 Giuseppe Penone (1947) crea la prima di una serie di sculture che intitola Essere Fiume. Nelle parole dello stesso artista l’opera consisteva nell’ “estrarre una pietra scolpita dal fiume, andare a ritroso nel corso del fiume, scoprire il punto del monte da dove la pietra è venuta, estrarre un nuovo blocco di pietra dal monte, ripetere esattamente la pietra estratta dal fiume nel nuovo blocco di pietra“. C’è qualcosa di decisamente meraviglioso in una scultura in cui strumenti umani riproducono azioni millenarie compiute dalla Natura, ma se Penone cerca di farsi fiume, dal 1964 Luigi Lineri (1937) tenta di rendere uomo il fiume Adige.

In realtà l’idea di fondo di questo antropologo della pietra, calzolaio, artista, infermiere, scultore, raccoglitore di memorie, era quello di “annientare la resistenza di chi guarda” dimostrando, attraverso l’evidenza di una ripetizione costante di forme, l’esistenza di un popolo preistorico di scultori e poeti che, accanto ai cacciatori costruttori di punte di freccia, ritraevano la natura che gli stava intorno. Nel corso di più di 50 anni di raccolta, Lineri ha realizzato, nel vecchio fienile della sua casa a Zevio (Verona), un’epocale impresa di catalogazione e impaginazione, nel tentativo tutto umano di trovare un ordine nel Caos, un senso nella ripetizione. La pecora, il volto, il fallo, la donna incinta, il pesce, nessuno storico, antropologo o paleontologo è riuscito a convincerlo che quelle migliaia di pietre, divise per forma e grandezza, non fossero parte di un alfabeto, tracce di una lingua perduta. Quella che lui stesso definisce una “resistenza misteriosa” alla derisione e all’incomprensione lo ha portato a perseverare, offrendoci un’interpretazione del mondo fatta da un visionario, un sognatore. L’occhio è un buco. Chi è che vuole vedere attraverso il mio occhio?” domanda a un intervistatore. Non è forse quello che ci offre ogni artista?

In questa centonovantasettesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un estratto dal saggio della curatrice Elisabeth Prettejohn nel catalogo della mostra Preraffaelliti. Rinascimento Moderno al Museo Civico San Domenico di Forlì; un estratto dal testo di Marco Sammicheli nel catalogo della mostra Barricades di Mario Trimarchi alla galleria Antonia Jannone Disegni di Architettura di Milano, e un estratto dal testo introduttivo di Daphne Vitali, curatrice della mostra Unsettling Genealogies di Alessandra Ferrini al Museo Novecento di Firenze.

Tra i VIDEO proponiamo un’introduzione della curatrice Barbara Bergaglio alla mostra Michele Pellegrino. Fotografie 1967 – 2023 in corso da CAMERA Centro Italiano per la Fotografia di Torino, e il trailer di Ask The Sand, uno dei film protagonisti dell’undicesima edizione del Milano Design Film Festival.

Nella sezione EXTRA, infine, segnaliamo il nuovo appuntamento di Garage Bentivoglio con l’installazione di Pablo Bronstein Horological Piazza; la stagione espositiva e culturale 2024 di Fondazione Palazzo Te; e Due qui / To Hear il progetto per il Padiglione Italia alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia.

Buona domenica e buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Andrea Gardenghi, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Margherita Villani, Marta Zanichelli, con la collaborazione di Margherita Animelli, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Clara Fornaciari, Agata Miserere.

domenica 3 marzo 2024

RACCONTI

L’arte britannica e il Rinascimento italiano, di Elizabeth Prettejohn*

Gli storici dell’arte hanno a disposizione molti termini per descrivere il modo in cui artisti e creativi hanno recepito le arti visive di epoche e luoghi diversi: influenza, imitazione, ispirazione, riscoperta, accoglienza. Nessuno di questi, tuttavia, rende in maniera adeguata la natura e l’intensità della fascinazione degli artisti britannici moderni per l’arte rinascimentale italiana. Nel loro caso, infatti, si può parlare soltanto di una storia d’amore. Si tratta di un amore che cominciò a manifestarsi già all’inizio dell’Ottocento, ancora prima che il termine “Rinascimento” fosse di uso corrente tra gli storici dell’arte, e divenne più forte dopo l’ascesa al trono della regina Vittoria nel 1837. Permeò le istituzioni britanniche, dalla Royal Academy of Arts (l’organismo professionale degli artisti) ai musei di recente fondazione (la National Gallery e il South Kensington Museum, il primo grande spazio espositivo dedicato alle arti decorative, oggi Victoria and Albert Museum), passando per le università, gli editori, le case d’asta e i mercanti di stampe. E coinvolse persone di ogni classe e categoria, inclusi la regina e il principe consorte Alberto, appassionato d’arte, insieme a poeti, romanzieri, critici, storici e grandi imprenditori, il cui crescente potere economico alimentava le arti oltre all’industria e al commercio dell’impero britannico. Ma, soprattutto, l’amore per il Rinascimento italiano coincise con il periodo in cui gli artisti e i designer britannici salirono finalmente alla ribalta. Mentre la letteratura della patria di Shakespeare era celebrata da tempo (1), le arti visive non erano mai state un punto di forza di quel popolo. Fu solo nell’Ottocento, durante il regno di Vittoria, che la pittura e le arti decorative britanniche cominciarono ad attirare l’attenzione dei critici e del pubblico di tutto il mondo. La Confraternita dei Preraffaelliti (Pre-Raphaelite Brotherhood), Dante Gabriel Rossetti e la sua cerchia, William Morris e la sua manifattura di oggetti d’arredamento, Frederic Leighton in qualità di presidente della Royal Academy e George Frederic Watts e Edward Burne-Jones, protagonisti indiscussi delle mostre internazionali nell’ultimo quarto del secolo, diventarono tutti nomi da tenere in considerazione nel palcoscenico sempre più globale dell’arte ottocentesca. E la loro pratica artistica fu influenzata in maniera significativa dalla passione per l’arte rinascimentale italiana.

(1) Si veda il saggio di Susan Owen nel presente catalogo

*estratto dal saggio nel catalogo della mostra Preraffaelliti. Rinascimento Moderno diretta da Gianfranco Brunelli, a cura di Elizabeth Prettejohn, Peter Trippi, Cristina Acidini e Francesco Parisi con Tim Barringer, Stephen Calloway, Charlotte Gere, Véronique Gerard Powell e Paola Refice, in corso al Museo Civico San Domenico di Forlì fino al 30 giugno 2024

Crediti: Installation view, Preraffaelliti. Rinascimento moderno, Museo Civico San Domenico, 2024. Ph. Emanuele Rambaldi.

Barricades. Mario Trimarchi, di Marco Sammicheli*

Mario Trimarchi è un architetto, un designer e un grafico di provata esperienza. È riconosciuto e rispettato. Alle professioni menzionate, che dice di cambiare ogni sette anni, ce ne sono due che si mantengono costanti nel dispiegarsi della sua carriera: docente e instancabile disegnatore. Intorno a quest’ultima pratica condividerò alcune note per introdurre il suo ultimo progetto espositivo dal titolo Barricades. Non spaventiamoci, Trimarchi rimane l’intellettuale mite che conosciamo ma ci racconta che l’accumulo di esperienza può generare strutture poetiche di materiali atti a sussurrare principi di autodifesa.

Il disegno qui si affianca alla prova, non inedita, di sculture, di oggetti unici fatti di assemblaggi. Qualche volta chiamate architetture da tavola per quella magia di rappresentare la traiettoria di uno spazio. L’architettura è però memoria di una disciplina studiata e praticata all’inizio della carriera, poi rimasta nelle maglie di un agire sempre teso a creare relazioni tra persone e cose.

La giustapposizione, l’approssimarsi, l’avvicinamento, l’incastro in un naturale, precario equilibrio del momento è un’attitudine di Trimarchi. Un carattere autoriale che oramai ha guadagnato un’estrema confidenza col disegno, tale da profumare di orologeria, di quella meccanica che combina manifattura e unicità ma che abbraccia la possibilità dell’imprecisione, che scatena appassionati sentimenti di appropriazione.

Trimarchi modella paesaggi, costruisce nature artificiali, gioca coi generi artistici. Usa le tecniche di realizzazione per prendere il largo dai confini dell’attività di designer di oggetti o di coordinatore di immagini per le aziende. Modella mondi composti da un abaco ricorrente i cui elementi offrono ipotesi, inviti, enigmi. Ecco le nuvole per il tempo, le piante per la struttura, le pietre e gli animali per quell’atteggiamento creativo che Trimarchi esprime e che ha radici ne Le opere e i giorni di Esiodo.

Barricades sono costruzioni eclettiche, antenne di trasmissione di messaggi e saperi. La loro grammatica si schiera per scambiare, riversare, condividere esperienze. Sono atti fondativi di un repertorio in cui anche ciò che appare come frammento, come detrito, è non altro che il ridisegno di un tassello, di una matrice. Le barricate tridimensionali hanno tutte l’ordinato smalto degli artigiani che Trimarchi consulta da quando si occupa di cultura materiale. Eppure, è un dettaglio – certo non guasta quella cura, è parte del mestiere – perché questi aggregati di storie arcaiche sono lì per ricordare tutte le funzioni e le ragioni di una barricata: nascondersi, ergerle, montarci sopra, crearci un varco.

*estratto dal saggio nel catalogo della mostra Mario Trimarchi. Barricades in corso alla galleria Antonia Jannone Disegni di Architettura di Milano fino al 6 aprile 2024

Crediti: Mario Trimarchi, Per sfiorare le nuvole © Santi Caleca | Mario Trimarchi, Per naufragare in questo mare © Santi Caleca | Mario Trimarchi, Per sfidare la tempesta © Santi Caleca.

Alessandra Ferrini. Unsettling Genealogies, di Daphne Vitali*

Le sale al primo piano del Museo Novecento ospitano Unsettling Genealogies, una mostra personale deII’artista e ricercatrice Alessandra Ferrini (1984), nata a Firenze ma residente a Londra dal 2003.

Il progetto, complesso e articolato, è parte di un’indagine critica sulla storia delle istituzioni culturali italiane che è stata avviata daII’artista nel 2020. Questa nuova produzione pone l’accento sulle origini coloniali e fasciste di alcune istituzioni artistiche italiane e dei Ioro fondatori, unendo riflessioni storiche, politiche e personali, allo scopo di evidenziare la dimensione affettiva della storia.

Negli ultimi dieci anni Alessandra Ferrini ha dedicato la sua pratica artistica, le sue ricerche e i suoi progetti didattici all’analisi deII’eredità del colonialismo e del fascismo in Italia, con particolare attenzione ai rapporti con il Nord Africa e l’area del Mediterraneo. Il suo Iavoro affonda le proprie radici nel discorso postcoloniale, negli studi sulla memoria collettiva e nelle pratiche storiografiche e archivistiche. Sperimentando con i formati documentari, le sue opere spaziano dalle installazioni alle immagini in movimento, dalle lecture-performance alle attività editoriali e pedagogiche. Attingendo alle modalità della saggistica, Ferrini, infatti, concepisce i suoi Iavori come essay film, che procede poi a sviluppare in forme e modalità diverse volte a portare alla Iuce vicende della storia nazionale finora sottaciute.

In Unsettling Genealogies l’artista intreccia storie familiari con considerazioni sulla classe sociale, la storia coloniale, l’imperialismo europeo e l’eredità fascista. L’opera prende avvio da una fotografia che ritrae il conte Giuseppe Volpi di Misurata, imprenditore e politico italiano, in occasione deII’inaugurazione nel 1935 della Terza Mostra del Cinema di Venezia. L’edizione fu accompagnata dalla nascita della Coppa Volpi – assegnata alla migliore attrice e il miglior attore – intitolata al conte, allora presidente della Biennale e figura di spicco del partito nazionale fascista, nonché ex ministro delle finanze di Mussolini. Benché porti il nome di un politico fascista, la Coppa Volpi viene ancora oggi assegnata.

Attorno a questa fotografia d’archivio, Ferrini innesca una serie di riflessioni sia suII’istituzione della Mostra del Cinema di Venezia – fondata nel 1932 proprio da Volpi di Misurata insieme ad Antonio Maraini e Luciano De Feo – sia sulla partecipazione di questi politici alle Biennali d’Arte durante il regime fascista (Maraini, scultore e politico, fu direttore della Biennale di Venezia dal 1928 al 1942).

Unsettling Genealogies prende, quindi, in esame le politiche culturali del fascismo, stimolando una riflessione sugli effetti a Iungo termine degli investimenti del regime neII’arte e sottolineando il rapporto esistente tra estetica, ideologia e propaganda.

*estratto dall’introduzione della curatrice alla mostra personale di Alessandra Ferrini Unsettling Genealogies in corso al Museo Novecento di Firenze fino al 28 aprile 2024

Crediti: UNSETTLING GENEALOGIES, Alessandra Ferrini, Installation View, Courtesy of Museo Novecento, Firenze, ph Serge Domingie.

VIDEO

Una grande empatia

In questo video la responsabile degli Archivi di CAMERA Centro Italiano per la Fotografia di Torino, Barbara Bergaglio racconta la mostra da lei curata Michele Pellegrino. Fotografie 1967 – 2023 che fino al 14 aprile raccoglie la produzione del fotografo piemontese che, come ci racconta la curatrice, si avvicina alla fotografia da adulto per non lasciarla più. In mostra troviamo i suoi racconti del Monte Bianco e degli abitanti della montagna, che a partire dagli anni Settanta progressivamente la abbandonano per trovare lavoro a valle, la sua grande empatia nel ritrarre le persone, che gli ha consentito di avere accesso anche a numerosi monasteri in Italia e in Francia per un progetto dedicato alla clausura, e la sua mai finita serie dedicata ai matrimoni, da cui traspare la sua capacità unica di guardare all’umanità con gentilezza e ironia.

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Crediti immagine: Installation views della mostra “Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023” a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia. Fotografie di Andrea Guermani.

Il deserto come ispirazione

C’è anche un progetto seminale come Arcosanti tra i soggetti dei film protagonisti della 11ª edizione del Milano Design Film Festival, la manifestazione curata per il secondo anno da Cristiana Perrella, che dal 6 al 10 marzo 2024 porta nel capoluogo lombardo il meglio della produzione dedicata all’architettura e al design nazionale e internazionale. Qui trovate il trailer di Ask The Sand (Italia, 2023), il documentario scritto e diretto da Vittorio Bongiorno, in cui un padre e un figlio partono alla scoperta di questa straordinaria utopia architettonica, una città del futuro costruita nel 1970 nel deserto dell’Arizona dall’architetto italiano Paolo Soleri (1919-2013), allievo di Frank Lloyd Wright, e simbolo dell’unione di architettura ed ecologia, chiamata Arcologia. Ask The Sand verrà proiettato venerdì 8 marzo alle 15.30 al Cinema Anteo – Sala Rubino, ed è in concorso per AFA – Architecture Film Award nella categoria Feature. Scopri tutto il programma di MDFF!

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Crediti immagine: Still da Ask the Sand di Vittorio Bongiorno. Milano Design Film Festival 11. Official Selection, AFA Feature.

Crediti video: Trailer di Ask the Sand di Vittorio Bongiorno.

EXTRA

Una piazza in un garage

Pablo Bronstein è un artista argentino il cui lavoro spazia dal disegno alla coreografia alla performance con un particolare focus sull’architettura: molte delle sue illustrazioni ricordano progetti architettonici della Francia del XVIII secolo, o degli anni Ottanta, con riferimenti al Barocco; disegni che non ritraggono luoghi reali, ma sono stati immaginati dall’artista. L’installazione Horological Piazza, composta da quattro piedistalli su cui poggiano altrettanti orologi antichi, è la protagonista del nuovo appuntamento di Garage BENTIVOGLIO, il progetto con cui ogni mese circa, un pezzo della collezione di Palazzo Bentivoglio va ad abitare la vetrina su Via del Borgo di San Pietro a Bologna. Dal 6 marzo l’installazione, capace di trasformare uno spazio interno in piazza pubblica, suggerisce lo scorrere del tempo e un dialogo tra gli elementi che la costituiscono e le persone che ci passeranno davanti.

Crediti immagine: Pablo Bronstein, Horological Piazza, 2008. Foto Carlo Favero.

Il labirinto delle metamorfosi

Proseguendo una tradizione avviata nel 2019 con il programma dedicato a Giulio Romano, poi alla figura divina di Venere, all’Arte di Vivere e, lo scorso anno, all’Europa come perno di riflessioni trasversali, per la stagione espositiva 2024 la Fondazione Palazzo Te presenta un articolato programma espositivo e culturale dal titolo IL LABIRINTO DELLE METAMORFOSI, dedicato a un tema che ha percorso le epoche senza perdere mai la sua intensità. Attraverso la valorizzazione e rilettura del patrimonio artistico di Palazzo Te, una mostra dedicata a Picasso, un convegno internazionale, concerti, incontri e una nuova edizione della Scuola di Palazzo Te, il programma vuole instaurare collaborazioni tra le istituzioni culturali del territorio e realizzare programmi multidisciplinari per un pubblico il più possibile ampio e diversificato, nella cornice di un luogo di bellezza eterna e stratificazioni culturali, concesso in gestione dal Comune di Mantova alla Fondazione. Scopri tutto il programma 2024!

Crediti: Gigantomachia. Giulio Romano e allievi. Camera dei Giganti, 1532-1534. Affresco. Mantova, Palazzo Te. Foto: Gianmaria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te.

Non agire ma riflettere e ascoltare

Il Bodhisattva è una figura che mi ha sempre affascinato, perché è un individuo che non agisce, ma riflette. Il suo invito a non fare niente mette in discussione il concetto di storia dalle fondamenta. L’installazione, invece, non produce architettura, ma suono: è una struttura che non occupa spazio, ma lascia passare tutti e passa attraverso tutti, generando comunità temporanee unite proprio dall’ascolto di una stessa fonte“. Con queste parole Massimo Bartolini accompagna la presentazione della sua grande installazione sonora e ambientale cuore del progetto Due qui / To Hear a cura di Luca Cerizza (con l’assistenza di Francesca Verga) per il Padiglione Italia alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Dal 20 aprile al 24 novembre 2024 il progetto proporrà un itinerario attraverso tutti gli spazi del Padiglione, incluso il giardino, in cui l’alternarsi di vuoti e pieni, movimenti e soste, conducono a incontri inaspettati con opere e installazioni sonore e performative. La mostra sarà accompagnata da un Public Program con conferenze, interviste, performance musicali, ospiti nazionali e internazionali.

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