processed

TELESCOPE | racconti da lontano

EDITORIALE

Se per i Surrealisti il corpo delle donne era una porta di accesso al mondo dell’inconscio, per Hans Bellmer (Katowice, 1902 – Parigi, 1975), pittore, scultore e fotografo tedesco, fu anche un modo di opporsi a una società che all’inizio degli anni Trenta si avviava inesorabilmente verso un regime autoritario, razzista e conservatore. Il crescente interesse per l’inconscio, per le teorie di Freud, per una sessualità libera da imposizioni sociali, considerata un viatico per un’attività mentale non censurata, saranno tra le fonti di ispirazione che lo porteranno alla realizzazione nel 1933 della prima Pupée (bambola) “una ragazza artificiale dalle possibilità anatomiche capaci di rifisiologizzare le vertigini della passione, fino al punto di inventare desideri”. Perché, se costruire una donna, un androide, un essere più che umano, era qualcosa che già aveva ispirato e affascinato la letteratura, le pupée di Bellmer, con i loro corpi disarticolati, montati e fotografati in posizioni innaturali e azzardate, in contesti domestici stranianti, hanno un’altra storia e funzione.

Le fotografie di Bellmer, stampate in piccolo formato e dipinte con l’anilina come le cartoline dell’epoca, avevano la capacità di entrare in contatto con l’intimità dello spettatore, i corpi riassemblati delle pupée come anagrammi plastici generavano significati nuovi per ogni osservatore, dimostrando l’esistenza, tra realtà e irrealtà, di un terzo piano, quello dell’inconscio, dell’onirico, del perturbante, di quello che dovrebbe restare nascosto e invece affiora in superficie. Cosa c’è di più perturbante di un corpo femminile che esula e si oppone ad ogni categoria iconica e sociale? Di un’immagine carica di erotismo disfunzionale che dissacra quella donna bene supremo di un regime che la vorrebbe totalmente asservita al dovere della maternità? Secondo Rosalind Krauss le bambole di Bellmer incarnano perfettamente la peggior minaccia per un soggetto nazista: quella di essere invaso da un’identità ALTRA che insidia i suoi confini geografici, come gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i bolscevichi, o quelli fisici dell’inconscio, della sessualità, del femminino. Pensate se avessero visto certi film horror!

In questa centosessantanovesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un testo della giornalista e curatrice Francesca Orsi sulla mostra Bertina Lopes. Via XX Settembre 98, la casa come luogo di resistenza al Museo delle Civiltà a Roma; un estratto dal testo curatoriale di Andrea Lerda sulla mostra Mali Weil. The Mountain of Advanced Dreams in corso al Museo Nazionale della Montagna “Duca Degli Abruzzi” – CAI di Torino; e il testo introduttivo della curatrice Leonie Radine sulla mostra Asad Raza. Plot in corso a Museion di Bolzano.

Tra i VIDEO vi presentiamo un promo di Shaun the Sheep & Friends. The Art of Ardman Studios in corso al PAFF! International Museum of Comic Art di Pordenone, e un video teaser su In Opera: scenari futuri di una giovane Legge Forestale mostra del Padiglione dell’Uruguay alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia.

Tra gli EXTRA segnaliamo le mostre The Floating Realm dedicata al lavoro dell’art studio h220430 alla galleria IN’EI di Venezia; IRTH إرث [eredità] al Padiglione Nazionale dell’Arabia Saudita della 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia; e gli ultimi giorni per potersi accreditare alla ventisettesima edizione di Festivaletteratura a Mantova.

Buona lettura e buon ferragosto!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Anna Pascale, Margherita Villani, Victoria Weston e Marta Zanichelli

domenica 13 agosto 2023


RACCONTI

La casa di Bertina, di Francesca Orsi

Quando ero bambina, prima delle scuole elementari, e mia madre andava a fare la spesa o comunque usciva la mattina per sbrigare le sue commissioni, spesso mi affidava alla signora della porta accanto, che per me era come una seconda mamma. Con la preghiera di venirmi a controllare ogni tanto, io potevo, così, rimanere a casa a mettere le basi della mia creatività e del mio stimolo vitale che ho trovato, poi, nella scrittura. Scrivevo, scrivevo, non ricordo cosa, se guardo ora quei quaderni posso distinguere delle linee confuse, un linguaggio mio. Ma è probabilmente da quell’esperienza che è nata la mia concezione di casa come rifugio del pensiero creativo, come luogo compresso di significati affettivi che si tramutavano conseguentemente in linguaggio. La casa per me, bambina socievole ma amante dei propri spazi, rappresentava, in una certa maniera, anche il luogo della mia resistenza a quei dettami della società che volevano le bambine gioiose, estroverse e sempre indaffarate nelle loro attività sociali. Il tempo, lì, era dilatato e potevo avere una tale gestione della mia libertà, soprattutto espressiva, da lasciarmi aperte tutte le porte del mondo immaginifico in cui ero immersa.

La mostra Bertina Lopes. Via XX settembre 98, la casa come luogo di resistenza, al Museo delle Civiltà di Roma fino al 5 novembre, potrebbe apparentemente non entrarci molto con questo mio racconto infantile, ma se si ha la possibilità di immergersi nella mostra ci si renderà subito conto che la concezione di casa, concentrazione di creatività e linguaggio, della mia infanzia, è la stessa che si ritrova nelle fotografie che documentano la dimora romana dell’artista nata in Mozambico, ed è proprio quella concezione che l’esposizione vuole trasmettere anche con l’allestimento delle sue opere. Uno spazio dove poter accogliere il proprio pensiero artistico, dove il concetto di arte si congiunge indistricabilmente con quello di vita, la propria vita, dove lasciare che l’occhio estraneo si posi senza paura di giudizio, perché quell’occhio è benevolo, trascinato dall’affettività del luogo.

Una sala unica, grande ma non grandissima; su alcune pareti – a grandezza naturale – alcune immagini mostrano, con una nuance rossa un po’ da raggi x, gli interni della casa di Bertina, luoghi della sua intimità, privata e creativa; sparsi nella stanza elementi della quotidianità artistica di Lopes; alle pareti alcuni suoi dipinti, espressione della sua forza decolonizzante. La mostra risulta a tutti gli effetti un’esperienza immersiva: concreta nel percorso tra le opere di Bertina; concettuale nel poter essere spettatori anche del modo in cui lei viveva la sua casa come luogo vitale e fucina di pensiero e creatività; rimembrante come momento di ricordo dell’artista, morta a Roma nel 2012, da parte degli spettatori della mostra, che possono lasciare sulle pareti bianche di questo spazio affettivo i loro commenti e il loro saluto a questa energica donna e alla sua strabordante arte.

Crediti: Museo delle Civiltà, Bertina Lopes. Via XX Settembre 98, la casa come luogo di resistenza, installation view © Museo delle Civiltà. Foto Giorgio Benni


Mali Weil. The mountain of advanced dreams, di Andrea Lerda*

La mostra The Mountain of Advanced Dreams, inserita all’interno del Programma Sostenibilità del Museomontagna, rappresenta il primo momento di restituzione del progetto artistico del collettivo Mali Weil, vincitore della X edizione di Italian Council, programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, di cui la nostra istituzione è partner.

The Mountain of Advanced Dreams sviluppa la ricerca pluriennale che Mali Weil sta conducendo sulla necessità di riconfigurare le relazioni culturali, sociali e giuridiche tra esseri umani e other than human, come strumento di emancipazione dalla visione miope e autoreferenziale propria dell’antropocentrismo. Attraverso una narrazione di impianto fictional e un approccio speculativo, Mali Weil attiva uno sfondamento narrativo che proietta il nostro immaginario verso un futuro prossimo. Gli artisti danno consistenza a una diversa cosmologia fondata sui paradigmi relazionali interspecie, usando concetti quali forestazione, diplomazia, reciprocità e co-evoluzione.

The Mountain of Advanced Dreams si concentra in particolare sul concetto di diplomazie interspecie, ovvero sulle possibilità che abbiamo di immaginare interazioni diverse tra esseri viventi, unendo strumenti critici, approcci narrativi e interventi visuali con una riflessione sugli aspetti rituali delle relazioni tra viventi. L’installazione che dà il titolo alla mostra, prodotta nell’ambito di Italian Council X 2021, è messa in dialogo con alcune opere precedenti, tematicamente significative per una lettura più articolata e completa di un’indagine ampia e dal carattere fortemente transdisciplinare.

Nella prima parte della mostra è esposta una selezione di opere realizzate tra il 2018 e il 2022 nell’ambito del progetto Forests. Un racconto polifonico che individua nella foresta lo spazio legale, narrativo e politico da cui è possibile muovere per trasformare alcune categorie fondanti del pensiero occidentale e sviluppare pratiche di social dreaming, volte a esplorare nuove modalità di interazione con l’alterità. Forests genera uno spazio nel quale l’umano abbandona l’idea unificante di individuo per riconoscersi in un essere multiplo, abitante-abitato.

Nella seconda parte, un corpus di lavori inediti (il video a due canali Rituals, l’arazzo Divina et Devorator e la serie Imago) traccia i contorni di un universo possibile, nel quale sono attive e diffuse a livello globale una serie di pratiche che vanno sotto il nome di “diplomazie interspecie”. Il mondo diplomatico immaginato da Mali Weil lavora a tutti i livelli ad una riscrittura delle relazioni tra esseri viventi, abbozzando il racconto di una politica capace di far spazio alle istanze dell’oltre umano su un piano di negoziazione oltre che di conflitto.

*estratto dal testo critico sulla mostra Mali Weil. The Mountain of Advanced Dreams in corso al Museo Nazionale della Montagna “Duca Degli Abruzzi” – CAI di Torino, fino al 17 settembre

Crediti: The Mountain of Advanced Dreams, Video still, Courtesy Mali Weil


Plot di Asad Raza. Un’introduzione, di Leonie Radine*

Plot di Asad Raza si basa sull’installazione site-specific Absorption e sul video, in divenire e dal finale aperto, Ge. Per Absorption il museo è stato riempito con oltre 60 tonnellate di neosoil artificiale, collaborando con scienziati e scienziate del suolo e una coordinatrice che, per creare il terriccio, ha raccolto rifiuti e materiali locali come argilla, sabbia, vinacce, polvere di marmo, fondi di caffè, cenere di forni per pizza, compost, capelli umani, letame di cavallo e segatura. Nel Capitolo I della mostra, questi materiali sono stati quotidianamente aggiunti, mescolati, rivoltati da un gruppo di coltivatori e coltivatrici, per rendere fertile il nuovo terriccio e poi donarlo al pubblico per uso personale. Come in edizioni precedenti, anche questa volta Raza offre l’installazione come palcoscenico per gli interventi di altri artisti e artiste: l’opera subisce così un processo pubblico di metamorfosi.

Nel Capitolo II lo spazio della biblioteca di Museion diventa un deposito e un laboratorio in cui il neosoil viene trasformato da un mattonaio in mattoni: con l’intervento 20x10x5, gli architetti BB Fabrizio Ballabio e Alessandro Bava e l’artista Lydia Ourahmane hanno utilizzato i mattoni per esplorare il concetto di abitazione impiegando una tecnica che risale all’Antico Egitto. I mattoni sono stati utilizzati per costruire il prototipo di una piccola struttura ispirata a vari tipi di ricoveri: dai bivacchi montani ai sacelli sacri del Rinascimento, ai ripari nel deserto algerino. Questo processo nasce dal dialogo pluriennale tra BB e Ourahmane sul simbolismo architettonico, ispirato da fotografie di rovine nel deserto algerino che l’artista ha raccolto negli anni.

Nel Capitolo III questo ambiente ibrido diventa teatro per Out of and Into: PLOT prima italiana della coreografa Moriah Evans, prodotta in collaborazione con Bolzano Danza, una ricomposizione di due opere precedenti, Remains Persist (2022), dedicato alle tracce che le informazioni lasciano sui nostri corpi, e Out of and Into (8/8): Stuff (2012), il suo lavoro d’esordio dove esplora il corpo “isterico”. Assimilando frammenti della propria pratica, l’artista crea una nuova interazione basata su processi di decadenza e rinascita.

Nel Capitolo IV, e fino al 3 settembre, data di chiusura della mostra, i mattoni verranno decomposti per tornare a essere neosoil. I coltivatori e le coltivatrici riporteranno il terriccio a un equilibrio fertile che verrà offerto nuovamente al pubblico, perché possa riutilizzarlo nei propri progetti e dare nuova vita al terreno.

Sullo sfondo della narrazione, il video Ge, come un diario poetico, mappa diversi biotopi sulla Terra. Il titolo del film fa riferimento al nome originario della dea greca Gaia. La prima “strofa” del video esplora il paesaggio costiero attorno al cottage di James Lovelock – scienziato che concepisce la Terra come sistema autoregolante e vivente – mentre la seconda fornisce una ricetta per produrre in casa terriccio artificiale su consiglio di Asad Raza stesso. Durante Plot, vengono aggiunte a Ge due nuove “strofe” ambientate sul lago Erie e all’abbazia in rovina di Ildegarda di Bingen.

La mostra Plot desidera esplorare nuove pratiche collaborative nella produzione di mostre, instaurando un dialogo tra arte visiva, scienza, architettura, danza e territorio, con una forte relazione con la terra e il sapere locale. La parola inglese “plot” del titolo – che può descrivere un lotto di terreno, una mappa o gli sviluppi di una narrazione – allude alle multiple dimensioni concettuali della mostra. Come la trama di un romanzo, infatti, si sviluppa in diversi capitoli, ognuno dei quali genera incontri poetici e sensuali tra naturale e artificiale, vivente e non, tra corpi, architettura e paesaggio.

*testo estratto dal poster della mostra Asad Raza: Plot – feat. BB (Fabrizio Ballabio, Alessandro Bava) + Lydia Ourahmane e Moriah Evans a cura di Leonie Radine in corso da Museion a Bolzano fino al 3 settembre 2023.

Crediti: [1] Asad Raza: Plot feat. BB (Fabrizio Ballabio, Alessandro Bava) + Lydia Ourahmane, and Moriah Evans, curated by Leonie Radine. Museion, exhibition view with cultivator Mahsa Nara. Photo: Luca Guadagnini. [2] Asad Raza: Plot, 2023, Museion. Exhibition view detail, bricks laboratory. Photo: Luca Guadagnini.

[3] Asad Raza: Plot feat. BB (Fabrizio Ballabio, Alessandro Bava) + Lydia Ourahmane, and Moriah Evans, Museion 2023. Exhibition view of Chapter 2 with structure built with “neosoil” bricks. Photo: Luca Guadagnini.


VIDEO

Una pecora in mostra

Fino al 24 settembre al PAFF! International Museum of Comic Art di Pordenone la mostra Shaun the Sheep & Friends. The Art of Aardman Exhibition immerge il pubblico in una meravigliosa avventura fatta di esperienze, artisti straordinari e tantissima plastilina! Protagonisti della mostra bozzetti, pupazzi, animazioni di alcuni dei personaggi più famosi realizzati dagli studios inglesi come Wallace e Gromit, i mitici animali della Fattoria Mossy Bottom di Shaun, vita da pecora, le simpatiche pennute di Galline in fuga e la squinternata ciurma di Pirati – Briganti da strapazzo. Come dice Peter Lord, regista animatore, produttore e cofondatore con David Sproxton degli Aardman Studios, “L’animazione in stop motion è una performance dal vivo. È l’attività più entusiasmante e impegnativa che io conosca” e questa mostra ne restituisce in parte la continua meraviglia, attraverso più di 30 set cinematografici autentici, veri e propri capolavori di scultura.

Nella mostra, curata dal PAFF! insieme ad Art Ludique Le Musée di Parigi e in collaborazione con gli Aardman Studios, anche alcuni contenuti visibili per la prima volta: alcuni estratti dal musical Un pettirosso di nome Patty (2021), nominato agli Oscar® e ai BAFTA®, la nuovissima serie CGI dello studio Lloyd of the Flies (2022), in anteprima nazionale, e lo spettacolo in stop motion per bambini mai distribuito in Italia, e nominato ai BAFTA®, The Very Small Creatures (2021).

GUARDA

Crediti immagine: Paff! International Museum of Comic Art, Shaun the Sheep & Friends. The Art of Aardman Exhibition, installation view. Foto Gino Nardo © Paff! International Museum of Comic Art, Pordenone


L’Uruguay del futuro

È la Legge Forestale uruguayana la protagonista della mostra In Opera: scenari futuri di una giovane Legge Forestale, progetto che un gruppo di architetti e artisti uruguaiani, coinvolti con un bando pubblico, presentano nel Padiglione dell’Uruguay alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia. In Opera, a cura di MAPA+INST e Carlos Casacuberta, racconta possibili scenari dell’Uruguay del futuro partendo dall’analisi della legge, considerata come un assemblaggio ecosistemico in progress che dialoga con spazi e territori diversi. Il progetto stabilisce alleanze tra musica, cultura visiva e architettura, in un’opera multimediale e multi-autoriale che trasforma il padiglione in una sala teatrale che ospita, fino al 26 novembre, rielaborazioni visive, performance musicali di giovani artisti afro-uruguaiani, interviste ad attori e un catalogo/blog di approfondimento. Una narrazione che sfugge ai modi tradizionali di comunicare l’architettura e che combina diverse proposte multisensoriali che spaziano dall’olfatto, alla vista, al suono: attraverso questa esperienza i visitatori sono invitati a riflettere sul potenziale dell’Uruguay come laboratorio di futuro che usi in modo consapevole il legno e la ricchezza delle foreste come materia prima.

GUARDA

Crediti immagine: Padiglione Uruguay. MAPA+INST, En ópera: escenarios futuros de una joven Ley Forestal. Installation view


EXTRA

Fluttuare

Da marzo 2023 la galleria IN’EI, nel suo spazio a pochi passi da Rialto a Venezia, realizza mostre con la volontà di superare la distinzione tra arte e design e di far conoscere artisti e opere da Cina, Giappone e Corea. Nata con l’intenzione di lavorare con pochi artisti, valorizzando autori storici e producendo lavori ad hoc, la galleria fino al 20 agosto in concomitanza con la 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia presenta The Floating Realm, mostra dedicata al lavoro dell’art studio h220430, a cura dell’artista e architetto Satoshi Itasaka, che lo fondato nel 2010 con l’obiettivo di sensibilizzare e incrementare la consapevolezza di tutti sui problemi più urgenti della società contemporanea. The Floating Realm vuole essere una rappresentazione simbolica della nostra liberazione da ogni tipo di restrizione: il concetto di levitazione alla base dei lavori presentati, propone un ritorno alla dimensione fluttuante dell’infanzia, facendola riemergere in un presente più consapevole.

Crediti: Galleria IN’EI. The Floating Realm, h220430 © gerdastudio


Il futuro ha il colore della terra

Il Padiglione Nazionale dell’Arabia Saudita alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, è un vero e proprio omaggio al passato e alla tradizione, ma anche un esercizio di immaginazione del futuro. Progettato dall’Architetto AlBara Saimaldahar, ospita la mostra IRTH إرث [eredità], curata dalle sorelle Basma e Noura Bouzo che fino al 26 novembre offre al pubblico un’esperienza unica e multisensoriale che esamina il rapporto simbiotico tra materiale e immateriale. Dentro il Padiglione, una fragranza creata appositamente, a base di lavanda, franchincenso e mirra, fa risaltare note evocative della cultura araba, in un ambiente dove imponenti strutture di metallo a otto facce, pannelli di legno e mattonelle tradizionali di ceramica stampate in 3D, diverse sfumature dei colori della terra, raccontano l’essenza dell’artigianato saudita e un’eredità dinamica di cui ognuno è destinatario. Oggetto simbolico della mostra una colonna in argilla, anche questa stampata in 3D, illuminata da luci interne che, al termine della Biennale, sarà deposta sul fondale del Mar Rosso per stimolare la crescita di un nuovo ecosistema marino.

Crediti: IRTH إرث, National Pavilion of Saudi Arabia at the 18th International Architecture Exhibition – La Biennale di Venezia, 2023. @venicedocumentationproject Courtesy of Ministry of Culture


Appuntamento con la letteratura

Se siete giornalisti, avete ancora qualche giorno di tempo per richiedere il vostro accredito (compilando il form a questo link entro il 22 agosto) alla ventisettesima edizione di Festivaletteratura di Mantova che anche quest’anno dal 6 al 10 settembre porta in città le voci di oltre 300 autori e autrici italiani e internazionali, capaci di raccontare, trovando sempre nuovi spazi di ascolto e di scambio, e tentando operazioni più o meno ardite di aggancio tra linguaggi e narrazioni diverse, la nostra società contemporanea. Trovare le parole è la sfida che attraversa questa edizione e che arriva in un momento storico in cui dare nome alle cose e a quanto succede sembra sempre più arduo e ingannevole: sotto la spinta di generi, cittadinanze e appartenenze che si vanno ridefinendo, il Festival rovescia i canoni, favorisce alleanze tra le arti, si apre al passato recente, si fa portavoce di istanze sociali, ascolta i ragazzi, favorisce confronti, esce dai suoi luoghi tradizionali e inaugura alleanze con centri di studio, musei e altre realtà, per continuare, sempre e soprattutto, a raccontare.

Crediti: ©Festivaletteratura


Sei un giornalista, un critico, un curatore?

Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE?

Scrivici su telescope@larafacco.com

Se vuoi ricevere TELESCOPE anche tu, scrivi a telescope@larafacco.com

L’archivio completo di TELESCOPE è disponibile sul sito www.larafacco.com


Please follow and like us: