Andrea Morandi

Tumori al seno, scoperta la causa della resistenza alla terapia

L’incremento di due molecole sta alla base dei meccanismi di resistenza alla terapia per i tumori al seno che esprimono il recettore degli estrogeni.
È il risultato, pubblicato su Cell Reports, del lavoro di un gruppo di ricerca europeo coordinato dal team di Andrea Morandi, ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche sperimentali e cliniche dell’Università di Firenze. Lo studio – di cui è coautrice Paola Chiarugi, direttrice del dipartimento fiorentino – è frutto di una collaborazione con alcuni dei più importanti centri di ricerca europei del settore (VIB Center of Cancer Biology dell’Università di Lovanio, Institute of Cancer Research di Londra, Manchester Cancer Research Centre, Institut Curie di Parigi) e con l’Università di Bologna.

«La maggior parte dei tumori al seno – spiega Andrea Morandi – dipende per la loro crescita dagli estrogeni. La terapia endocrina, che agisce su questi ormoni femminili, ha notevolmente aumentato la sopravvivenza delle pazienti ma, dopo qualche anno, circa il 40% delle donne non risponde più al trattamento e manifesta recidive insensibili ai farmaci».

La ricerca ha studiato dati retrospettivi di pazienti e modelli animali per capire se le cellule resistenti alla terapia avessero un modo diverso di nutrirsi rispetto a quelle sensibili. «Abbiamo capito – prosegue Andrea Morandi – che le cellule resistenti diminuiscono l’assunzione complessiva dall’ambiente esterno degli aminoacidi, componenti principali delle proteine: questa diminuzione viene compensata con l’aumento di due soli specifici aminoacidi (aspartato e glutammato) e dal riciclo di componenti interne, un processo chiamato autofagia». Il meccanismo è guidato dall’aumento, nei pazienti insensibili alla terapia, di due molecole, il microRNA-23b-3p e il trasportatore di glutammato e aspartato SLC1A2.
«Il monitoraggio dei livelli di espressione delle due molecole – conclude Andrea Morandi – può permettere di stabilire se un tumore presenti un più alto rischio di andare incontro a recidiva: si potrebbero così individuare le pazienti da sottoporre a un regime di follow-up più controllato. Senza dimenticare che l’identificazione dei meccanismi coinvolti nell’acquisizione della resistenza potrebbe essere sfruttata per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici».

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