Oh, Valentina, non chiedermi come sia possibile che io stia parlando con te, proprio ora. Forse ho esagerato con i tranquillanti, magari sono in piena fase dissociativa.
Tu mi fissi e hai ventidue anni. Hai quelle tette tonde e sode che si esprimono liberamente senza reggiseno. Fai ancora i colpi di sole ai capelli, solo tra qualche anno ti accorgerai che il rosso tiziano che ci è naturale è la miglior cosa. Però, aiutalo con qualche riflesso rame.
Io ti osservo e, di anni, ne ho trentasette. Il seno regge ancora bene, almeno lui. Ti sei resa conto, però, che i nostri identici occhi sono profondamente diversi. I tuoi, grandi e scuri, brillano di festa. I miei, enormi e neri, ombreggiano di pena.
Sì, tu sei me; io sono te, quindici anni dopo. Siamo già alla resa dei conti? No, per favore. Non credo potrei sopportarlo.
Hai le unghie lunghissime e colorate; io ho ricominciato a mangiarle da un po’. Ti ricordi, avevamo smesso di rosicchiarle in quarta ginnasio per piacere ai ragazzi. Soprattutto a quel tipo dell’altra sezione che non ci ha mai calcolato perché eravamo “troppo impegnative”. Sai, lo vedo praticamente tutti i giorni: ha perso tutti quei capelli color miele che sognavamo di accarezzare! Ah, ora ridi, eh!
Cosa vuoi, da me, Vally? No, non te lo dico perché stavo piangendo e perché ho il tricipite mollo. Anzi, forse quello posso anche ammetterlo. È flaccido perché sto invecchiando, è fisiologico. E non faccio attività fisica, quindi sembrerà sempre di più il labbro inferiore di un bull dog, ok? Ricordi, palpeggiavamo sempre a mamma le braccia, in vari raptus d’amore. Lei ci mandava via, dolcemente seccata, perché non voleva percepire i suoi muscoli rilassati. Noi non capivamo, vero Vally? E la riempivamo di baci.
No, non sono triste parlando di mamma, non ti preoccupare.
Comunque dovresti mettere meno brillantini sugli occhi: fa un po’ baldracca. Anzi, no, lasciali, è giusto che sia così. Sei talmente giovane!
Smettila di chiedere di lei, finiscila. Ho desto basta, Valentina! Per favore, no… non voglio riviverlo. Che cazzo sei, una trasposizione dickensiana? Valentina, farà male a entrambe, sappilo.
La mamma è morta. Sì, è morta, dieci anni fa. Dopo sei mesi di malattia. Via, se n’è andata. Sono rimasta con lei, ogni giorno. Anche quando piangevo sangue dagli occhi perché le lacrime le terminavo di notte. Ma mai davanti a lei, mai. Mamma era solo risate e lunghe gambe sgambettanti.
Abbiamo anche progettato un viaggio in Scozia per quando fosse guarita; un itinerario simile a quello che vivrai tu quest’estate con Francesca. Goditelo: sia perché sarà splendido; sia perché quei momenti in cui organizzerai pindaricamente la vacanza con mamma saranno di una dolcezza così disperata e pura, che ti mancherà il respiro per la loro bellezza.
Mamma non camminava più, alla fine, sai? Te l’immagini: lei, ferma? Penso avrebbe voluto estirparsi da sola con un mestolino il midollo spinale malato e darlo da mangiare ai ratti delle fogne cittadine, piuttosto che rimanere così. Invece, cercava di ingurgitare le banane schiacciate che le preparavo e passava lo straccio per la polvere sui mobili che riusciva a raggiungere con le sue lunghe braccia da ombra etrusca.
Se n’è andata ciarlando di una fantastica luce dorata che la stava avvolgendo. Manco fossimo state in una puntata de “Il tocco di un Angelo” o de “la Vita in Diretta”. Probabilmente era un embolo che parlava. Io, però, fatalmente, ci ho creduto.
Forza, vieni qui, dai. Hai ancora del tempo. Non è finita. Te lo giuro. È ancora lì con te.
Ti sei calmata? Meno male. Mi dispiace averti ferita così tanto, Vally.
No, non porto la fede all’anulare sinistro, ma l’ho avuta. Era bellissima, di oro bianco, spessa e lucida. La contemplavo sempre, come una gazza innamorata; me la rigiravo tra le dita. Certo, ovvio che abbiamo sposato Davide! Ora è un annetto che è iniziata per te, vero? Ma l’abbiamo saputo da subito che era cominciato un percorso senza ritorno, vero? Le lucciole che ci danzavano nella schiena, la fame costante di lui, il suo odore, che ci permaneva sempre nelle narici e ci faceva immaginare di visitare le regge degli antichi imperatori cinesi, di annusare la polvere che si alza dal suolo lunare, di assaggiare la cioccolata di Babbo Natale.
Sì, piccola, è finita. Da poco, in realtà. È per quello che, prima, mi hai vista piangere. Com’è potuto succedere? Semplice, banale, squallido: l’amore non basta. Non è un guerriero imbattibile. È, anzi, fragile, indifeso, vulnerabile. Non sono stata in grado di proteggerlo come avrei dovuto. Me ne maledico ogni giorno, Valentina. Ma ero sola, in quel momento: Davide si era perso nei meandri di qualcosa che non conoscevo e che avevo paura di affrontare. Comunque sia, non sono stata in grado di custodirlo, quell’adorato amore. È andato via, Vally, come la mamma. Senza luci dorate, oltretutto. Si è bruciata la pellicola. Ed era un pezzo unico. Non verrà più proiettata, noi fan possiamo solo limitarci a sguazzare nei ricordi, sfogliare qualche patinato e impolverato album dei ricordi. Ma lo sai, la carta fa dei tagli così profondi nella carne… fanno tanto male.
Eccomi, Valentina, ecco cosa siamo diventate. Donne piacenti quasi di mezza età, con un lavoro da travet che ci sfregia l’intelletto, due gattini per figli e una casa arredata a metà. Perché non sono una persona intera. C’è un pezzo di Valentina, il resto è rabbia e dolore.
Quando ero te, vedevo la via, pareva una di quelle stradine bianche dei quadri naïf che la zia ha appeso in cucina e che ci piaceva guardare da piccole: mongolfiere in cielo, fiori color pastello, arcobaleni e forme tonde, come pasticcini. Beh, la strada si è rivelata molto diversa.
Non voglio fare la drammatica, Vally, ma ne ho attraversate di foreste oscure piene di suoni ferrosi e paludi della disperazione irrancidite. E tu, povera piccola, con i tuoi riccioli e le guance rosse, devi ancora vivere tutto. E sentire che il corpo ti viene smembrato, pezzo a pezzo. E avere paura: tanta paura, così tanta da prendere un coltellino e ferirti, lacerarti in quella carne che, almeno, senti ancora tua e risponde al dolore come ci si aspetta che faccia. Il resto, vedi, non c’è più. Non lo trovi, non lo vedo… dove cazzo è, Valentina? Dove sono finita, io?
Cosa fai, adesso? Mi abbracci? Sono io che devo consolare te, non il contrario. Ok, va bene, eccomi. Sì, abbiamo i capelli più morbidi, merito dell’olio di cocco.
Valentina, Vally… devi finirla di proteggermi. Vedi? Tu hai sopportato, ce l’hai fatta. Il tuo percorso non è stato come l’avevamo programmato, ma hai imparato che un viaggio in Scozia solo immaginato può ridare vita al cuore. Sai che si possono mangiare banane schiacciate controvoglia e, nel frattempo, pulire l’animo dalla polvere di dolore. Hai imparato che, alle volte, è meglio credere nell’angelo Monica della televisione che ti mostra l’aldilà, per poter accettare un tragico aldiquà (però “La Vita in Diretta” no, eh, mi raccomando!).
Hai amato, quanto hai amato! Hai avuto il tuo uomo Heathcliff, il tuo uomo Peter Pan, il tuo uomo Einstein. Ora scrivi di lui, raccontalo al mondo intero! Lo possiamo fare assieme. Il percorso torna un attimo indietro: riprendimi con te, non temere che io non ce la faccia. Insieme, andiamo avanti. Troviamo le mongolfiere. Togliamoci il reggiseno che noi le “puppappera” non le avremo mai. Piangiamo, segniamo il percorso di lacrime, invece che di briciole: non sia mai che sbocci qualche fiore così! Non temere di accettarmi: quella disarmata, tra noi due, sei tu. Non mi spezzerò, se mi farai entrare dentro il tuo labirinto di acciaio, ti aiuterò a potarlo. E so che non c’è soluzione per ogni cosa. Sono giovane, ma non del tutto sprovveduta. Intanto dammi la mano e cominciamo a camminare. Sento un dolce suono di cornamusa… tu no?
Valentina Martini