Una ricerca delle Acli mostra come la crisi ha cambiato la Toscana

La Toscana è cambiata. Le trasformazioni epocali in corso non hanno risparmiato la regione che non appare più quella cui aravamo abituati. «Crescita, ridistribuzione, welfare diffuso, società viva, aperta e partecipe sono tratti toscani come il Chianti e la Ribollita. Come Chianti e Ribollita oramai sono però caratteristiche riscontrabili solo in alcune zone della nostra Regione. La Toscana felice è solo un ricordo e questo ha inevitabili ripercussioni sul fronte della rappresentanza politica e istituzionale». Parole di Giacomo Martelli, presidente regionale delle Acli, che ha commentato il lavoro dell’Istituto di ricerche educative e formative delle Acli stesse.

Giacomo Martelli presidente Acli Toscana
Giacomo Martelli

S’intitola Le Cinque Italie al voto, fratture sociali e territoriali, scenari politici e i ricercatori dell’Iref hanno lavorato su dati dell’Istat, del Ministero dell’Economia e Finenze e dell’Istituto Tagliacarne. È scaturita così una griglia in base a criteri di inclusione/esclusione, crescita e declino, in cui hanno collocato le varie province italiane. Dati sui quali Acli Toscana ha elaborato uno specifico focus sulla regione. Seppur con una situazione più brillante di altre regioni italiane, anche la Toscana ha le sue ombre e i suoi processi di trasformazione sociali e economici che ne stanno cambiando il profilo politico.

Dalla fotografia della ricerca Iref si nota che delle 10 province toscane solo due, quella di Firenze e Siena, sono Comunità prospere, cioè del benessere diffuso.
È solo in questa parte della Toscana che la crescita economica si accompagna anche a una maggiore equità e a una società civile più forte e partecipativa. Sono queste le province, dicono all’Iref, dove l’export va bene (pesa nove punti percentuali in più rispetto alla media nazionale), dove la ricchezza è maggiormente redistribuita sul territorio e tra gli strati sociali. E dove il disagio sociale è più basso della media (94,7 a fronte di 181,6 dato nazionale) e dove i cittadini si impegnano di più in attività di volontariato e nelle organizzazioni del terzo settore (144 volontari ogni mille abitanti, a fronte di 88 in tutta l’Italia), anche perché queste ultime sono più numerose sul territorio (7,8 ogni mille abitanti rispetto a 5,7 nel totale).

Per i ricercatori quindi non è casuale che i partiti del vecchio schema politico riescono ancora a rendere attuale la loro offerta riformista moderata, sebbene senza più le antiche certezze, dal momento che riescono comunque a presidiare i processi di produzione diffusa di ricchezza e i processi di inclusione sociale tesi a prevenire fenomeni di marginalità e di degrado. Qui dunque il centrosinistra è ancora ascoltato dai cittadini i quali però si sono appropriati di un diritto di recesso in caso di ripensamento, come accaduto nelle recenti elezioni comunali.

All’altro capo di questa asse immaginaria abbiamo Massa-Carrara, che sta fra le province depresse: cioè quelle dell’Italia (quasi tutto il Meridione) in lento declino o immobile in una stasi economica e sociali. E in queste aree gli elettori stanno andando verso un bipolarismo sostitutivo, dove i due partiti populisti suppliscono, ora l’uno ora l’altro, alla caduta del primato dei partiti del bipolarismo classico centrosinistra -centrodestra.

Le restanti sette province toscane (Prato, Lucca, Pisa, Livorno, Arezzo, Pistoia e Grosseto) fanno parte dell’Italia che resiste. Sono luoghi da tempo entrati in un ciclo di sviluppo tipicamente post industriale, una fase nella quale gli occupati nei servizi superano di gran lunga gli addetti nell’industria. Va bene l’export (+4% rispetto alla media nazionale), e anche l’occupazione e il reddito ( +2.256 euro di scarto sulla media nazionale è basso anche grazie a un sistema di welfare con standard più elevati rispetto alla media nazionale. Tuttavia Iref ha riscontrato anche preoccupanti segnali in controtendenza. Il primo riguarda l’incremento delle diseguaglianze tra ricchi e poveri: la forbice è aumentata del 6,3%, +2% sul dato nazionale. Il secondo concerne le crisi aziendali che, almeno in parte, possono compromettere la tenuta sociale. Cosicché la tranquilla continuità del bipolarismo classico centrosinistra-centrodestra si ritrova oramai soltanto non nei quartieri benestanti e centrali. La fragilità sociale ha invece trovato nelle rappresentanze neo-populiste la sua voce politica.

«Solo tra Firenze e Siena è rimasto quel encomiabile mix di crescita e giustizia sociale che ha fatto della nostra regione la Toscana Felix – conclude Giacomo Martelli – Altrove abbiamo o forte depressione come a Massa Carrara o crescita diseguale sia fra persone, i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più emarginati e l’ex classe media del lavoro dipendente che scivola verso il basso, sia fra zone con una sempre più marcata distanza fra centro-città e periferie. È ovvio quindi che anche i toscani cerchino risposte e non si accontentino più delle rassicurazioni troppo spesso solo verbali di chi fin qui li ha governati».

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