É uno di quei giorni, degli anni ottanta, di metà luglio, nei quali il caldo avvolge la città di Napoli e che oltre a far grondare il sudore fa percepire il cuocere della pelle ed è ciò che blocca Silvio nello scrivere la lettera all’amico lontano.
Dalla finestra, che ha le ante aperte, di fianco alla scrivania davanti alla quale è seduto Silvio, sopraggiunge lo schiamazzo dei ragazzi che giocano in strada, oltre al vocio dei passanti e al rumore delle auto, mentre lui è chiuso in casa, rintanato come al solito nella sua stanzetta dove vi resta per delle intere giornate, rifiutandosi di uscire anche per una breve passeggiata con la famiglia.
Solo nel periodo di scuola lo si vede, malvolentieri, uscire la mattina per recarsi alle lezioni. Durante l’anno scolastico a Silvio le notti sembrano troppo brevi e all’alba gli sopraggiunge
un magone crescente per l’imminente arrivo del genitore, che entrato nella cameretta
e accostatosi al lettino, che è sul lato opposto alla scrivania e accanto alla libreria e all’armadio, gli dice,
spegnendo la luce del lume sul comodino, di alzarsi e prepararsi; non ha mai bisogno di svegliarlo,
essendo che è a trovarlo già sveglio, in preda ad una voglia di gridare, ma il grido gli resta in gola,
per la sofferenza nel doversi recare alle lezioni, nonché ha in quell’istante il desiderio malsano
di volersi essere paralizzato o al meno di essere impossibilitato ad alzarsi.
Vincenzo Patierno
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