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Viorica (Maria Pia Costantino)

Avrebbe voluto avvicinarla in qualche modo, tentare di parlarle ma le rare volte che l’aveva fissata in modo tale da attirare la sua attenzione, la piccola aveva distolto velocemente lo sguardo. Era sicuramente impaurita, oppressa da una situazione che si poteva facilmente intuire.
Povera bambina….le faceva una pena infinita….Milena sentiva che doveva provare a fare qualcosa per lei…ma in che modo? Ci pensava e ripensava ma aveva il timore di spaventarla ulteriormente e di conseguenza Milena incrociava l’immagine di quella ragazzina, poco più che una bambina, tutti i giorni, appena prima del semaforo dove svoltava abitualmente per recarsi al lavoro. Minuta, in short appariscenti e tacchi altissimi, t-shirt aderente e trucco pesante che creava un marcato contrasto con il viso dai tratti delicati della giovanissima.
Quando il semaforo dava via libera le macchine partivano velocemente e Milena si attardava con lo sguardo su quella donnina costretta a crescere troppo in fretta. Era l’ultima a ripartire tra le macchine incolonnate e spesso subiva le strombazzate dei clacson degli altri guidatori, a volte accompagnati da gesti insolenti. Chissà dove andavano tutti cosi’ di fretta e già cosi’ nervosi di prima mattina… Probabilmente al lavoro ma nondimeno quella fretta arrogante e manifestata in maniera tanto plateale le risultava fastidiosa. Qualche uomo intorno a lei, notata la ragazzina si lasciava andare a qualche apprezzamento volgare prima di rimettere in moto sgommando, nonostante fosse evidente che la ragazzina fosse minorenne, ma la maggioranza ostentava un’indifferenza glaciale. Le altre donne posavano distrattamente lo sguardo sulla giovanissima per poi volgerlo rapidamente nell’altra direzione, quasi la piccola fosse stata trasparente, in una specie di automatismo acquisito. In una metropoli cosi’ grande del resto, dove la miseria umana di senzatetto e questuanti vari era diventata la triste normalità di tutti i giorni, la gente aveva perso la capacita’ di indignarsi o quantomeno di mostrare sensibilità’ nei confronti dei propri simili, quelli più soli e disagiati, quelli che popolavano le strade della città mostrando tutta la fragilità e la precarietà delle loro esistenze. A chi importava dello squallore e della solitudine che impregnava le loro giornate sempre uguali, a chi interessava delle loro stesse povere vite? Immersi nel tran tran della giornata da affrontare, dei mille problemi di sempre, costretti a vivere una realtà sempre più alienante, sostanzialmente distanti gli uni dagli altri e sempre più soli….
Vivevamo cosi’ ormai, intrappolati in una quotidianità inumana nella quale eravamo costretti a recitare ognuno il proprio ruolo, protagonisti e compartecipanti in una matrix spietata e sempre uguale, una trappola mortale nella quale avevamo smarrito gli ideali più nobili che possano muovere gli esseri umani, soppiantati da un cinismo ed un’indifferenza ormai dilaganti.
Milena rifletteva su questo mentre parcheggiava la piccola e scassata utilitaria prima di raggiungere l’azienda dove lavorava. Ogni mattina la vista di quella ragazzina era un pugno allo stomaco e per il resto della giornata non riusciva a togliersi dalla mente quell’immagine. Decise di chiedere consiglio a sua figlia Giada. Giada non viveva più con lei ormai da un paio d’anni. Era andata ad abitare con il suo ragazzo in un minuscolo borgo del centro Italia dove avevano rilevato una piccola azienda agricola usufruendo di un fondo destinato a giovani imprenditori. Milena era stata d’accordo con la scelta della figlia, la vita in una grande città era diventata difficile e le possibilità di trovare lavoro davvero esigue. Era necessario da parte dei giovani mettersi in gioco, accettare un certo margine di rischio e le sfide di nuove opportunità. Diversamente, non ci sarebbe stato futuro per loro. Naturalmente sua figlia le mancava e anche parecchio. Loro due erano vissute praticamente da sole, aggrappandosi l’una all’altra negli anni difficili, dopo che il marito di Milena e padre di Giada era scomparso in poco più di due mesi a seguito di una breve e dolorosa malattia. Madre e figlia se l’erano cavata in qualche modo e gli anni erano passati velocemente e forse neppure troppo tristemente alla fine. Loro due avevano trovato un nuovo equilibrio dopo la dolorosa esperienza del lutto devastante che avevano dovuto subire, non si erano chiuse alla vita ma anzi la affrontavano con un solido ottimismo di fondo che permetteva ad entrambe di fronteggiare le sfide piu’ impegnative con coraggio e determinazione. In seguito al trasferimento di Giada, Milena era rimasta sola nel piccolo bilocale di periferia con la sola compagnia di Kelly, una cagnetta ormai anziana raccolta dalla strada anni prima.
Riflettendoci su però Milena decise di non confidarsi con sua figlia per il momento. Conoscendo l’estrema sensibilità di Giada non voleva turbarla con questa vicenda, preferiva lasciarla tranquilla a seguire il suo lavoro decisamente impegnativo. Poi si sarebbe preoccupata per lei e le avrebbe trasmesso un’inutile ansia. Spesso infatti Giada le raccomandava di essere prudente, di chiudere bene la porta di casa e le portiere della macchina quando guidava, di non dare confidenza agli sconosciuti. A volte sembrava che i ruoli si fossero invertiti e Giada pareva un amorevole e saggio genitore che esortava al buon senso. Del resto, con i tempi che correvano e le orribili quotidiane notizie trasmesse ad ogni ora da media e quotidiani, quest’atteggiamento era umanamente comprensibile. “Mamma, fammi stare tranquilla”, era la frase tipica di Giada a conclusione delle loro telefonate. Che tipa sua figlia, saggia, matura ma anche determinata. Aveva ereditato la maggior parte delle qualità di suo padre, la persona più buona e nobile che Milena avesse mai conosciuto. Giorgio aveva lasciato ad entrambe una preziosa eredita’ di vita, composta da valori solidi di altruismo, generosità, lealtà e coraggio ormai sempre più rari e che le avrebbero accompagnate nel tempo, una preziosa risorsa cui attingere nei momenti più difficili dell’esistenza…
Più tardi, era ormai notte inoltrata ma Milena non riusciva a prendere sonno… Il visino di quella ragazzina appostata ai bordi di quella strada di estrema periferia e la sua figuretta esile continuavano a ritornarle in mente… Decise che l’indomani avrebbe tentato di parlarle in qualche modo. Nei pressi del semaforo avrebbe accostato la macchina dopo la curva e si sarebbe fermata. Inutile rimuginarci ancora su, tanto valeva provarci… Se il pensiero di quella ragazzina certamente costretta a vendersi continuava ad affollarle la mente era segno che doveva decidersi a fare qualcosa. Giorgio quando era in vita le ripeteva spesso che se un’idea è buona ed è soprattutto giusta, il nostro cuore ci suggerisce che cosa fare. «Segui sempre il tuo cuore e troverai la strada» diceva. Giorgio che cosa avrebbe fatto al suo posto? Sicuramente non sarebbe rimasto indifferente e non l’avrebbe fatto neppure lei. Leggermente rinfrancata dalla decisione presa, Milena riuscì finalmente ad addormentarsi. Sogno’ degli immensi campi di lavanda, cosi’ come se ne vedono nelle pubblicità della Provenza ed ai lati dei campi gruppi di bambini che giocavano felici. Intorno era tutto pace ed armonia, soltanto il frinire delle cicale d’estate in sottofondo. Si sveglio’ al suono della sveglia, con Kelly ai suoi piedi. Che bel sogno, doveva decidersi ad andare in quei posti un giorno. Ne avevano parlato con Giorgio anni prima ed avevano deciso di andarci in occasione della prossima vacanza…. Non avevano pero’ fatto in tempo, la malattia di Giorgio si era presentata implacabile nelle loro vite…Milena si chiese che cosa potesse significare quel sogno….
Riscossasi da queste riflessioni e vestitasi sommariamente, portò giù velocemente la cagnetta e dopo aver consumato una colazione frugale, fu di nuovo in strada, le chiavi della macchina in mano.
Si sentiva un po’ ansiosa Milena, e se la ragazzina non si fosse fidata? E se avesse chiamato qualcuno? Magari il balordo che la controllava dal momento che aveva notato spesso la giovane guardare con apprensione in direzione di una specie di dosso posto sul lato sinistro della strada, come se temesse di veder sbucare qualcuno da un momento all’altro.
Quella mattina sembrava tutto più lento e la macchina non sembrava arrivasse mai a destinazione. Un veicolo fermo sulla carreggiata ed un altro paio di semafori rossi con annesse code di auto completavano il quadro e fecero salire a mille l’ansia di Milena.
Finalmente da lontano scorse la figuretta colorata nel solito posto. Accostò l’auto facendo appello a tutta la sua capacita’ di autocontrollo e scese dall’abitacolo cercando di assumere un atteggiamento calmo e rilassato. Quando le fu di fronte il suo sguardo catturò in rapida sequenza una serie di particolari che potevano notarsi soltanto ad una distanza ravvicinata. Innanzitutto il trucco semiliquefatto intorno agli occhi e l’espressione triste del visetto. Era magrissima e dai pantaloncini sdruciti uscivano due gambette lunghe ed esili che si portavano appresso a fatica delle scarpe alte e pesanti. Milena noto’ che erano chiuse, un modello invernale che creava un contrasto curioso con il resto del look prettamente estivo. La ragazzina le pianto’ in viso i suoi occhioni da bimba truccata da adulta e l’espressione era un misto tra sorpresa, paura e insieme curiosità. Lancio’ un’occhiata furtiva in direzione del solito dosso e fisso’ nuovamente Milena con aria interrogativa.
Milena dal canto suo sentiva il cuore scoppiarle nel petto…doveva decidere in fretta che cosa dire alla ragazzina senza insospettirla, spingerla a fuggire o peggio, chiamare qualcuno con il telefonino.
«Ciao, come ti chiami? Io sono Milena, ti va di parlare un po’ con me?». La ragazzina, di rimando e con una voce piuttosto dura rispose: «Ma chi sei? Che cosa vuoi da me? Va via….»
Milena si accorse che nonostante il tono tagliente le tremava il labbro superiore…. Una morsa di compassione e pietà le strinse il cuore… povera bambina….
«Senti, hai fame? Potremmo andare a prendere un panino qui vicino, ho qui la macchina…così parliamo un po’…». La giovanissima rispose : «Mi chiamo Viorica, ma non posso parlare con te e neppure spostarmi. Ti prego vattene, è pericoloso». Mentre pronunciava queste parole guardava fissa nello stesso posto. Anche Milena guardo’ nella stessa direzione ma non vide nessuno.
«Senti Viorica, chi c’è la’ dietro? Qualcuno che ti controlla?»
Viorica annui’ impercettibilmente, allora Milena prese il pacchetto di sigarette che teneva in borsa, aveva notato la ragazzina fumare qualche volta. Nel pacchetto aveva inserito un foglietto con il suo numero di telefono. Aveva avuto quell’idea la mattina stessa così se anche fossero state spiate, quello poteva sembrare un gesto innocente.
«Va via», ripete’ nuovamente la ragazzina; «Va bene, ma nel pacchetto c’è il mio numero di telefono. Appena puoi chiamami, va bene? Voglio soltanto aiutarti, ti prego, fidati di me…».
«Va bene, ma adesso va via, è pericoloso stare qui».
Milena risale in macchina e mentre avvia il motore fa un gesto di saluto con la mano in direzione di Viorica e le ripete ancora una volta: «Chiamami, ok?».
Arrivo’ al lavoro sudata e appena un po’ più sollevata rispetto a prima. Per il momento aveva fatto tutto quello che poteva. In seguito e con la speranza che la ragazzina la chiamasse in qualche modo, avrebbe deciso il da farsi. Nonostante ciò sentiva morderle dentro una sensazione di profonda solitudine. Ci si sente cosi’ quando si va controcorrente? Quando si sceglie una direzione di marcia vedendo tutti gli altri nella corsia opposta? Si’, forse ci si sente cosi’….
Nei giorni successivi e nonostante Milena aguzzasse la vista nei pressi del semaforo, non vide più Viorica. Non la vide mai più. All’inizio attese invano una sua telefonata ma ben presto capì che probabilmente chi controllava la ragazzina, insospettitosi a causa del suo interessamento, aveva deciso di farle cambiare postazione. Molto meno rischioso. Ciononostante Milena continuo’ a cercarla con lo sguardo per molto tempo ancora ed ogni volta che pensava a lei provava un misto di sensazioni che andavano dalla compassione alla rabbia, alla tenerezza, al senso di impotenza e frustrazione per non aver potuto fare di più. Chissà quante Viorica trascinano ogni giorno le loro esistenze ai bordi delle nostre strade… Potremmo tutti fare qualcosa di più? «Indubbiamente», pensò Milena, cercando ancora una volta, caparbiamente, di scorgere la sagoma della ragazzina in lontananza.

Maria Pia Costantino

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